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Orcel (UniCredit): "Determinazione e capacità di imparare dagli errori è fondamentale; talento sì, ma ci vuole anche coraggio"

L'intervento di Andrea Orcel, CEO di UniCredit: "Determinazione, passione e coraggio contano più del talento: ho mandato 100 lettere, 90 non hanno risposto, una sola mi ha dato un’opportunità, ci vuole persistenza"

19 Giugno 2025

Andrea Orcel, CEO di UniCreditin occasione della conferenza internazionale “Young Factor 2025: Un dialogo tra giovani, economia e finanza” dell'Osservatorio Permanente Giovani - Editori ha dichiarato:

"Un consiglio che do sempre — e a forza di ripeterlo, prima o poi mi daranno anche le royalties - è di leggere un libro bellissimo scritto da Angela Duckworth, psicanalista e autrice americana, che si intitola Determinazione (Grit, in originale). Per me è stato molto importante, mi ha davvero segnato. Questa studiosa aveva ricevuto un incarico interessante: analizzare cosa rende davvero vincenti le persone con talento. Negli Stati Uniti, dove ogni tipo di talento viene coltivato — sportivo, accademico, artistico, psicologico — ci si aspettava che i migliori risultati fossero direttamente collegati al livello di talento. Ma i dati dicevano tutt’altro: non c’è correlazione diretta tra talento e successo. E questo, ragazzi, è un punto fondamentale: non basta il talento. Ciò che emerge da quello studio è che, spesso, avere meno talento e fallire molte volte, imparare da quei fallimenti e rialzarsi, permette nel tempo di superare chi ha più talento ma non è abituato a perdere. Perché chi ha tanto talento, per definizione, è abituato a vincere. E quando fallisce… non sempre riesce a riprendersi. Quindi, sì, il talento conta. Ma determinazione e capacità di imparare dagli errori sono fondamentali. Il primo passo? Avere un obiettivo e una passione. Ma attenzione: non tutti hanno lo stesso obiettivo, e questo spesso non viene riconosciuto. Io, ad esempio, volevo fare investment banking: lo sognavo la notte. La mia grande difficoltà è stata passare da un ruolo che percepivo come attivo e imprenditoriale a uno che mi sembrava amministrativo — quello del manager, del gestore di persone. Ma avevo un obiettivo chiaro. Volevo quello, e ho fatto di tutto per inseguirlo. Ho convinto persino Federico Caffè, che insegnava politica economica, a farmi scrivere una tesi su fusioni e acquisizioni nel 1987, perché volevo lavorare in quel settore. Parliamo di difficoltà? Beh, eccome. E qui torniamo a persistenza e determinazione. Venivo dall’Università di Roma e volevo lavorare a Londra. Ho mandato oltre 100 lettere di candidatura. Novanta non hanno nemmeno risposto. Dieci mi hanno chiamato per un colloquio. Una sola mi ha dato un’opportunità. Se non vieni da un certo background, da certe scuole o famiglie, devi remare molto di più. Quando sono entrato in Goldman Sachs, mi hanno preso — sì — ma non nel ruolo che sognavo. Mi hanno messo a vendere obbligazioni, sfruttando le lingue che conoscevo. Era quello… o restare fuori dal sistema. Ho resistito un anno. Poi due. Non riuscivo a cambiare ruolo. Per me Goldman Sachs era l’Olimpo, ma ho dovuto fare un passo indietro: andarmene, fare un MBA nel Sud, e solo dopo sono riuscito a rientrare nel sistema e restare lì. La verità è che la strada non è mai lineare. Serve persistenza, determinazione e — secondo me — anche coraggio. Perché ci sono momenti in cui devi prendere decisioni difficili. Ti chiedi: “E se non funziona?”. Ad esempio: lasciare Goldman Sachs, la miglior banca d’affari al mondo in quel momento, per fare un executive MBA… nel bel mezzo di una crisi, senza sapere se avrai un’altra occasione. Lì ti arriva la domanda difficile, quella vera: “Ma io, cosa voglio davvero dalla mia vita?”. La scelta facile è restare. E poi si vedrà.
La scelta difficile è staccarsi… e fare quello che è necessario."

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