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Filippo La Mantia: "Al Mercato Centrale sono tornato a casa e in famiglia: la cucina per me è condivisione e solidarietà"

Filippo La Mantia a Il Giornale d'Italia: "Da circa 28 anni mi occupo degli altri attraverso il cibo. Per me il lavoro è nato da creare benessere agli ultimi e alle comunità che raccoglievano che le persone in mezzo alla strada: è così che ho iniziato a cucinare"

30 Marzo 2022

L'oste cuoco e artigiano Filippo La Mantia a Il Giornale d'Italia:

"Il mio motto è "Ogni giorno è il primo giorno", non importa se nella vita ho fatto cose in cui ho avuto anche successo o  delusioni mettendomi in discussione, per me dall’indomani bisogna rialzarsi e ricreare qualcosa di nuovo. Mai appoggiarsi sugli allori. La gente spesso mi dice che non ho problemi perché nella ho avuto di cose nella vita e nel lavoro, ma questa è un’esperienza nuova, durante la quale mi devo andare a relazionare con altri spazi. Eravamo abituati ad avere delle mega cucine dove ci muovevamo benissimo, mentre qui dobbiamo resettare assolutamente tutto, anche per il periodo che è stato, si tratta di una nuova vita lavorativa. Se prima avevo certezze sul mio operato, adesso queste sono influenzate dagli eventi esterni: magari ora mi impegno e produco, ma tra due settimane potrebbe succede la qualunque, sbarcano gli extraterrestri (ormai manca solamente questo)".

"Cucina come connotazione e da mercato/ street food: in questi anni avendo aperto il luoghi come alberghi a 5 Stelle lusso, avevo una parte di cucina tradizionale ma anche inserito dei piatti un po' più da ricerca. Qui al Mercato Centrale sono ritornato a casa e alla famiglia. Rifaccio le cose della tradizione che mi piaceva fare".

A proposito dell'amico Gino Strada, Filippo La Mantia commenta:

"L’ho conosciuto esattamente una quindicina di anni fa al Festival del Cinema di Venezia, dove facevo un evento per raccogliere fondi per Emergency. Non ci conoscevamo, ma ci ritrovammo a tarda sera nella terrazza dove iniziammo a parlare. Dopo quattro giorni mi fece contattare e mi mandò in Sudan a Khartoum, dove lui si trovava. Lì mi si è aperto un universo, ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. I campi profughi sono un’esperienza al limite tra il misticismo brutale e il e il piangere in continuazione. Lui fino all’ultimo giorno è stato per me un faro, una esempio e un amico fraterno. Durante il lockdown l’ho nutrito quasi tutti i giorni, perché gli mandavo le cose a casa a Milano. Poi, purtroppo, ci ha lasciati".

"La cucina per me è condivisione e solidarietà. Il cibo deve aiutare ad aiutare gli altri, infatti è circa 28 anni che io mi occupo degli altri attraverso il cibo. Per me il lavoro è nato da creare benessere agli ultimi e alle comunità che raccoglievano che le persone in mezzo alla strada: è così che ho iniziato a cucinare", conclude.

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