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Orsini alla prima Assemblea di Confindustria 2024: “Italia punti su competitività, produttività e comunità" - il Discorso integrale - VIDEO

Il Discorso di Emanuele Orsini, Presidente della Confederazione generale dell'industria italiana alla presenza del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni

18 Settembre 2024

Emanuele Orsini, Presidente della Confederazione generale dell'industria italiana, in occasione della prima Assemblea di Confindustria 2024 ha dichiarato:

“Buongiorno a tutte e a tutti voi. Ringrazio per aver accettato di intervenire alla nostra Assemblea il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Apprezziamo molto questa sua sensibilità nei nostri confronti con la sua presenza qui oggi.

Un saluto grato anche a tutti i Ministri e a tutte le Autorità presenti. Un abbraccio a tutti voi imprenditori.

Sono certo di esprimere un sentimento comune se dico che,in un mondo in cui è tornata la drammatica realtà della guerra, sentiamo tutta la responsabilità di fare ciascuno il proprio lavoro e il proprio dovere.Nell’interesse della nostra comunità civile e del nostro Paese.

Siamo grati dell’impegno costante del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del Presidente Meloni, e di tutte le forze politiche, in direzione del dialogo e della pace, auspicando con tutte le nostre energie la risoluzione di ogni conflitto.

Sappiamo di vivere e lavorare in tempi non ordinari, in cui le prospettive economiche e sociali possono cambiare senza preavviso.

Abbiamo attraversato quattro anni difficilissimi, dal Covid alla fiammata inflazionistica 2022-2023, fino ai conflitti bellici.

Le nostre imprese hanno dimostrato grande capacità nell’affrontare situazioni straordinarie e imprevedibili, aumentando il PIL nel 2021 più della media europea,e segnando nel 2023 il record dell’export con 626 miliardi. Un risultato storico, frutto di iniziativa, di innovazione,

di intraprendenza e di capacità. E anche, lasciatemelo dire,di grande senso di dedizione. Ci siamo assunti talvolta dei rischi importanti.

Tutto questo è avvenuto nonostante alcuni Paesi siano stati esclusi dall’acquisto dei nostri prodotti proprio a causa dei conflitti in corso. Ed è per questo che lavoreremo assiduamente per garantirne lo sbocco verso nuovi mercati.

La nostra quota di export aumenta ancora in questo difficile 2024: dopo aver superato nel primo trimestre la Corea del Sud, nel secondo ci siamo lasciati alle spalle anche il Giappone, diventando il quarto Paese esportatore al mondo.

Chiunque avesse predetto un successo simile, avrebbe suscitato incredulità. Invece è quello che sta avvenendo.

Questo si deve a tutti voi, a tutti i nostri associati grandi, medi e piccoli; all’enorme passione e fiducia che continuiamo a metterci ogni giorno, malgrado le incertezze e le difficoltà.

Tuttavia, non possiamo dimenticare che, purtroppo, da diciotto mesi la produzione industriale italiana ha un segno negativo.

Gli ordini di molte nostre filiere sono in calo, sia in Italia che all’estero.La frenata europea, e soprattutto quella tedesca, continuano a spingerci verso il basso.

Il mercato interno continua a mostrare le sue debolezze e molte delle nostre imprese stanno facendo fatica.A maggior ragione, la contrazione dell’industria italiana obbliga a considerare una vera e propria responsabilità collettiva, di tutti i soggetti sociali e politici del nostro Paese, quella di realizzare un deciso balzo in avanti della produttività italiana.

Oggi sono qui, davanti a voi, per ringraziarvi di quello che fate e di quello che facciamo ogni giorno. Per dirvi che sono orgoglioso di rappresentarvi tutti.

Alla mia prima assemblea pubblica, voglio raccontarvi concretamente di come metteremo in pratica la responsabilità sociale di impresa che per noi oggi ha un valore pari, se non superiore, ai nostri risultati economici.

Vi parlerò della necessità vitale del cambio di passo della nostra Europa sulla competitività, in riferimento alle politiche industriali che grandi Paesi come Stati Uniti e Cina stanno adottando, senza farsi trascinare da politiche ambientali autolesionistiche.

Vogliamo che sia centrale il valore sociale della produttività, come denominatore di crescita della ricchezza del Paese.

Abbiamo urgenza di mettere in sicurezza alcuni temi chiave e su questi non ci devono essere né divisioni tra schieramenti politici, né scontri demagogici. Poiché sono in gioco gli interessi generali delle persone, delle famiglie e del lavoro.

Non dimentichiamo che la crescita del 3,1% della massa retributiva in Italia, nel periodo gennaio-giugno 2024, evidenzia segnali importanti anche nel recupero del potere di acquisto. Crescita che è salita ancora nel secondo trimestre, attestandosi al +4,1%, rispetto ad un indice di inflazione del +1,1%. L’incremento retributivo è avvenuto, e continua, anche per effetto degli incrementi salariali erogati nei principali contratti firmati da Confindustria.I risultati ottenuti sono un passo che ci deve motivare per raggiungere stabilmente la media europea.

Per questa ragione, il taglio del cuneo fiscale va reso permanente: poiché se le retribuzioni sono al di sotto della media europea il costo del lavoro è più elevato.

Gli imprenditori e le imprese, nel libero mercato,nella concorrenza e nella trasparenza, sono il grande motore dello sviluppo e della crescita.Questo deve essere il nostro punto di partenza.

Oggi, tuttavia, abbiamo una preoccupazione in più: crescere nonostante le difficoltà di una transizione epocale che investe aspetti diversi e decisivi per le persone, le aziende e gli stessi soggetti politici e sociali.

Mi riferisco alle transizioni energetica, ambientale e digitale.

Transizioni, queste, che costano e costeranno migliaia di miliardi al sistema Paese, che sono vere e proprie rivoluzioni industriali e che potranno cambiare in meglio la vita di ciascuno di noi e il futuro delle nostre imprese.

Transizioni che hanno, però, bisogno di tempo adeguato. Senza che qualcuno, come sta avvenendo in Europa, confonda politiche ambientali autoreferenziali con politiche industriali per la crescita.

Questo approccio non ci aiuta!

Noi abbiamo il dovere di restare con i piedi per terra, la nostra industria ha già raggiunto gran parte degli obiettivi ambientali, investendo sulle proprie tecnologie.

L’inevitabile salto nella quinta rivoluzione industriale è in una fase delicatissima: ci dobbiamo concentrare su poche e chiarissime priorità.

Le riassumo in tre direttrici: competitività, produttività e comunità.

Le prime due le avete sentite spesso in questa sede, sono la nostra ragione d’essere come imprese. La terza per me significa dare senso sociale, valore e dignità alle altre due.

In una fase storica completamente diversa dalle precedenti, sono certo che la tutela dell’industria, della manifattura e della coesione sociale debbano andare di pari passo.Occorre avere una grande attenzione da parte di tutti alle condizioni di vita di ciascuno, per accorciare le distanze, includere, e non farsi travolgere dalla frenesia dei tempi nuovi.

Questa è la motivazione fondamentale alla base di un progetto che mi sta a cuore: il Piano Straordinario di Ediliziaper i lavoratori neoassunti.Rappresenta il modo concreto di rispondere ad un bisogno primario: la casa, quale bene fondamentale per affrontare dignitosamente la propria vita e costruire un futuro.

Noi tutti sappiamo che uno dei maggiori ostacoli per reperire nuovi occupati è la scarsità di abitazioni a un costo sostenibile.

L’idea che abbiamo proposto – e che il Governo ha accolto – è di costituire un tavolo congiunto che coinvolga anche l’ANCE, l’ANCI, le assicurazioni, le banche, la Cassa Depositi e Prestiti,i fondi immobiliari e i fondi pensione, per studiare insieme le migliori formule di garanzie finanziarie, così da consentire a “fondi pazienti” di poter attuare i progetti garantendo un canone sostenibile.

Di questo ringrazio la Presidenza del Consiglio e tutto il Governo, con cui sono già in corso le interlocuzioni per valutare tutti gli aspetti connessi all’attuazione del progetto e alla sua fiscalità.

Sono convinto che questo Piano sia fondamentale per ripristinare quell’ascensore sociale, base della fiducia e della spinta stessa alla natalità, che ha fatto correre il Paese in altre fasi della seconda metà del secolo scorso.

Un’altra sfida sociale riguarda i nostri giovani.

L’Italia è il fanalino di coda nell’Unione Europea per la percentuale di neolaureati e neodiplomati occupati. Secondo l’Istat nel 2023 era pari al 67%, ben al di sotto della media europea dell’83%.

L’Italia ha un enorme deficit di attrattività per le professioni qualificate. Ne sono testimonianza i grandi flussi di giovani laureati e giovani professionisti altamente specializzati che ogni anno emigrano all’estero.

Vogliamo riportare a casa i nostri giovani che hanno maturato esperienze significative, per evitare di disperdere un know-how fondamentale, mantenendo al centro il saper innovare e il saper fare bene.

Questa situazione è particolarmente grave nel Mezzogiorno,e rappresenta un freno alla competitività del Paese, impattando direttamente sulle nostre filiere e sul nostro sviluppo industriale.

Altro tema significativo sono i NEET, ragazzi tra i 15 e i 34 anni che non sono impegnati né nel lavoro né in esperienze formative. Parliamo di oltre due milioni di giovani a cui dobbiamo dire che sono una grande risorsa, e rappresentano una parte vitale del nostro Paese.

Abbiamo il dovere di trasmettere loro la cultura del lavoro e la ricchezza di avere un’ambizione.Se continua a prevalere una cultura anti-impresa non facciamo il bene di nessuno.

Così come è un dovere di Confindustria incrementare l’occupazione delle donne, sostenendole in ogni possibile forma di welfare e di indirizzo al lavoro.

Confindustria si occupa degli interessi generali del Paese,si mette in gioco, crede nel valore del dialogo, avanza soluzioni e cerca di condividerne gli obiettivi, consapevole di come il contributo di tutti gli attori sociali e politici sia necessario.Oggi nessuno può governare da solo processi così complessi.

Riconosciamo il ruolo chiave dell’Europa, dell’istituzione alla quale, nel corso degli ultimi sette decenni, abbiamo delegato in principio le materie prime della ricostruzione – quali il carbone e l’acciaio – fino ad arrivare alla nostra moneta.

È stata la scelta di pace, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, che ha permesso la crescita e la prosperità del nostro continente.

Oggi, tuttavia, lo scenario è completamente cambiato: l’Europa deve mantenere i suoi standard economici e di benessere in una competizione dura con le altre grandi aree del mondo, che nel frattempo sono cresciute di più, e hanno una spinta demografica e una spinta all’innovazione di gran lunga maggiori di quella del vecchio continente.

Non dobbiamo dimenticare che oggi le transizioni, energetica, ambientale e digitale, pongono fondamentali quesiti: industriali, politici ed etici che non possiamo più ignorare.

Lo dico con chiarezza, in accordo con i colleghi delle Confindustrie europee. Il Green Deal è impregnato di troppi errori che hanno messo e mettono a rischio l’industria. Noi riteniamo che questo non sia l’obiettivo di nessuno.

La decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una debacle.

La storia e il mercato europeo dell’auto elettrica che stiamo regalando alla Cina, parlano da soli!La filiera italiana dell’automotive è in grave difficoltà, depauperata del proprio futuro dopo aver dato vita alle auto più belle del mondo e investito risorse enormi per l’abbattimento delle emissioni.

Il packaging, che ha rispettato in anticipo i target ambientali fissati dalla Commissione stessa, si vede cambiato il modo di raggiungerli, vanificando investimenti e tecnologie della propria filiera.

Ma la plastica è sostenibile, se viene riciclata!

La ceramica ha investito oltre 2 miliardi di euro per l’innovazione tecnologica, finalizzata a migliorare le prestazioni ambientali, come la qualità dell’aria, ed è oggi un caso di successo internazionale.

Di contro, a valle di questo gigantesco investimento, l’Europa con gli ETS ha consentito la speculazione finanziaria sulla transizione ambientale, spingendo il prezzo della CO2 fuori dal mercato mondiale.

Bisogna essere chiari: la disciplina degli ETS deve essere assolutamente cambiata.Continuando così, regaleremo ai nostri competitor internazionali, come sta avvenendo per l’automotive, anche l’acciaio, il cemento, la metallurgia, la ceramica, la carta. Con ricadute negative sugli investimenti, sulla crescita e sull’occupazione.

Tra il 1993 e il post Covid, a fronte di un aumento del PIL pro capite negli Stati Uniti pari a +56,6%, quello dell’Europa è stato della metà. Il risultato è severo: ora basta, dobbiamo cambiare passo.

L’industria, italiana ed europea, difenderà con determinazione la neutralità tecnologica, chiedendo un’applicazione più realistica e graduale del Green Deal.

Ecco perché oggi serve più che mai una solida politica industriale europea.

Una reindustrializzazione basata sulle tecnologie di punta, sulla produzione di materie prime, sull’applicazione dell’Intelligenza Artificiale, unita a un’adeguata revisione della politica commerciale e della concorrenza.

Tutto ciò richiede colossali investimenti pubblici e privati, strategie comuni oggi inesistenti, per i conflitti di visione e interessi intra-UE. Una politica economica convergente, per la salvaguardia e la tenuta del mercato unico, e un Patto di Stabilità all’altezza delle sfide che abbiamo davanti.

A tutt’oggi, però, non riusciamo a vedere come l’Europa possa ripartire con la spinta che servirebbe.

Dopo il Covid, vissuto come una rara emergenza collettiva, dopo la rivoluzione del Next Generation EU e relativi PNRRe 750 miliardi di finanziamenti in sei anni raccolti facendo debito comune, il solidarismo europeo sembra essersi fermato: niente New Generation EU 2.0; niente nuovo ricorso al debito comune; niente rafforzamento del bilancio pluriennale europeo 2021-2027; niente bilancio ad hoc per l’eurozona.

Di fatto, il nuovo Patto di Stabilità non si discosta molto dal vecchio, privilegiando prima di tutto la stabilità e non gli enormi investimenti che sarebbero necessari per modernizzare l’economia e l’industria europee.

Come se non bastasse, l’Unione Bancaria europea continua a boccheggiare.

Dell’Unione del mercato dei Capitali si parla invano da dieci anni, anche se potrebbe diventare il polmone indispensabile per sfruttare appieno la montagna del risparmio europeo.Si tratta di oltre 330 miliardi l’anno che vengono investiti negli Stati Uniti per finanziare le imprese statunitensi.

E tutto questo mentre il costo del denaro resta elevato, poiché le banche centrali, a cominciare da quella europea, si mostrano più prudenti del necessario.

Ma allora ci chiediamo: Come si fa a parlare seriamente di competitività se l’Europa investe appena 20 miliardi in dieci anni sull’Intelligenza Artificiale, mentre la Cina ne investe 100 e gli Stati Uniti ben 330? Come possiamo parlare di competitività senza un mercato unico dell’energia, con l’Italia (seconda manifattura d’Europa) che paga una bolletta elettrica fino al 40% superiore alla media europea? Come facciamo ad essere indipendenti per gli investimenti relativi alla difesa, se rinunciamo alla produzione e alla trasformazione delle materie prime? E ancora: quando verrà annunciato lo spostamento allo stop al motore endotermico oggi fissato per il 2035?Non possiamo aspettare il 2026. Le sfide da affrontare per l’Unione dei 27 sono ciclopiche.

E ci conforta che il Rapporto del Presidente Mario Draghi abbia riportato con profondità e completezza le istanze delle nostre imprese, su cui da tempo richiamiamo l’attenzione.

Confindustria conta sulla presenza costante del nostro Governo a Bruxelles, sull’azione comune dei nostri europarlamentari di tutte le forze politiche, e sulla cooperazione sempre più stretta con le altre organizzazioni d’impresa europee. Per lavorare uniti e aiutare la Commissione a fare un bagno di realtà in termini di tempi, modi strategici e mezzi finanziari per risolvere davvero a favore della competitività le grandi transizioni.

Ma se l’Europa deve cambiare marcia, anche l’Italia è chiamata a nuove scelte coraggiose.

Per cominciare, siamo convinti che il ritorno al nucleare sia strategico.

Tutti noi abbiamo imparato che l’indipendenza energetica è questione di sicurezza nazionale: allora perché tutti insieme non appoggiamo il nucleare di ultima generazione, invece di continuare a rifornirci a prezzi crescenti dalle vecchie centrali nucleari francesi?

Sì, nel nuovo piano energetico se ne parla. Ma sappiamo tutti che, se cominciassimo oggi, ci vorrebbero almeno dodici anni per poterlo utilizzare.Non possiamo perdere altro tempo.

E sappiamo bene che è arrivato il momento, insieme alle categorie economiche e sindacali, di spiegare all’opinione pubblica la svolta e illustrare come i piccoli reattori modulari siano molto più sicuri e meno invasivi sui territori rispetto alle grandi centrali di vecchia generazione.

Pensate che sia possibile continuare a pagare l’energia fino al 40% in più della media europea?Noi no.

E pensate che solo l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili possa soddisfare il nostro fabbisogno energetico? Noi no.

Un altro tema è quello dell’Intelligenza Artificiale.In Italia c’è un dibattito in corso sull’etica digitale che rischia di diventare un grande freno, quando invece abbiamo l’esigenza di accelerare sperimentazioni industriali sull’Intelligenza Artificiale applicata.

Dobbiamo cogliere tutte le opportunità che essa offre. Pensiamo, ad esempio, ai vantaggi che si otterranno per la sanità di prossimità e per la cura di temibili patologie, una vera e propria rivoluzione che coinvolgerà ogni comparto economico, ogni offerta di beni e servizi.

Abbiamo tutte le capacità per essere all’avanguardia da ogni punto di vista, sviluppando le nicchie verticali dell’Intelligenza Artificiale, dove possiamo eccellere sfruttando tutta l’inventiva di cui siamo capaci.

All’inizio di questa mia relazione, ho sottolineato come ciascuno di noi in questa fase storica debba aumentare il proprio impegno e il proprio senso di responsabilità. Noi e i sindacati, ad esempio, abbiamo tanto da fare insieme, e noi siamo pronti ad avviare un confronto.

Su una questione ci siamo ripromessi da subito di fare tutto quello che è in nostro potere per contenerla, ridurla, abbatterla. Ed è mia ferma convinzione andare fino in fondo.

Parlo degli infortuni sul lavoro, una catena tragica di vite spezzate, di persone strappate alle proprie famiglie, ai propri affetti mentre lavoravano per dare loro una prospettiva migliore. Noi e i sindacati dobbiamo fare in modo che questa catena di lutti per le famiglie e per le aziende si fermi. Dobbiamo istituire un tavolo permanente di monitoraggio e di verifica delle normative di sicurezza.

In questi ultimi mesi, il nostro sistema ha capovolto la prospettiva basata sull’aggravamento delle sanzioni a morti avvenute. Ha proposto invece un nuovo patto per la sicurezza nei cantieri, un accordo condiviso preventivo degli incidenti.

Un patto che introduca nuove regole per l’ammissione alle gare pubbliche di opere e costruzioni, che elevi l’asticella dei requisiti minimi di sicurezza, per impedire a troppe microimprese occasionali di essere ammesse nella sequela dei subappalti a catena.

La nostra responsabilità sociale verso il lavoro, verso la sua dignità e verso la salute delle persone, ci impone di proporre soluzioni efficaci.Non dobbiamo dimenticare che parliamo dei nostri collaboratori, patrimonio inestimabile delle nostre imprese.

Sempre a proposito di lavoro, c’è il nodo delle retribuzioni.

Come alcuni sembrano non voler ricordare, Confindustria prevede nelle sue qualifiche contrattuali retribuzioni ben più elevate del salario minimo per legge di cui si parla.Noi difendiamo il principio che il salario, in tutte le sue componenti, si stabilisca nei contratti, nazionali e aziendali, trattando con il sindacato.

Al sindacato diciamo che è tempo di un’azione comune per contrastare i troppi contratti siglati da soggetti di inadeguata rappresentanza.È tempo di unire le forze per indicare una via diversa ai troppi settori in cui convivono salari incongrui e irregolarità fiscali e contributive.

Allo stesso modo dobbiamo accrescere la produttività̀.Si tratta di una parola che suona quasi divisiva; invece, deve essere intesa come sinonimo di ricchezza del Paese: poiché un suo aumento porta a una crescita del PIL, ovvero ad un miglioramento del tenore di vita, con un vantaggio per tutti.

Nel periodo 1995-2022, secondo Eurostat la produttività̀ del lavoro in Germania, rispetto all’Italia, è cresciuta di 23 punti. Un dato che spiega molto, anzi dice tutto.

Siamo alle porte della stesura della Legge di Bilancio e, come capita ogni anno, fioccano ipotesi, timori e speranze.Diamo atto al Governo di voler tenere la barra dritta sui conti pubblici, e di questo lo ringraziamo.

Entro novembre, gli Stati membri dell’Unione Europea dovranno presentare un piano fiscale strutturale di medio termine.Ci aspettiamo che il nostro Piano Strutturale di Bilancio includa quelle riforme e quegli investimenti che sono assolutamente necessari. Bisogna prevedere serie politiche industriali e rilevanti incentivi agli investimenti, la risposta al post PNRR.

Si tratta di una questione per noi estremamente importante: dobbiamo pensare ora a come proseguire con gli investimenti, come la spinta che ci deve dare Industria 5.0.Altrimenti rischiamo lo stallo o, addirittura, un passo indietro.

Dobbiamo definire le priorità, e far convergere le risorse disponibili, immaginando una cornice pluriennale di finanziamenti pubblici e privati per difendere e potenziare le filiere industriali strategiche.

Le scelte del Piano Strutturale di Bilancio non saranno essenziali solo per le transizioni, ma anche per gli investimenti nelle infrastrutture e nel potenziamento della logistica.È necessario garantire migliori afflussi e sbocchi di merci del nostro sistema produttivo: verso l’Europa via terra e verso il mondo via mare, con visione e risorse che non possono che mirare oltre l’orizzonte del PNRR.

Il Piano Strutturale di Bilancio è lo strumento in cui incardinare la continuità del sostegno agli investimenti nel Mezzogiorno.

Noi abbiamo apprezzato il rifinanziamento da parte del Governo delle risorse destinate alla ZES unica per il Sud.Ma, contemporaneamente, siamo preoccupati del rischio di un eventuale spacchettamento delle competenze del Dipartimento per il Sud, che nell’ultimo anno ha garantito un coordinamento centrale efficace degli interventi a tutto campo peril Mezzogiorno.Si tratta di un tema essenziale per gli investimenti, soprattutto nelle infrastrutture, che al Sud restano carenti e che sono il settore che rischia di compromettere molti progetti collegatial PNRR.

La connessione del Ponte sullo Stretto ad un adeguato sistema ferroviario e stradale è imprescindibile: bisogna dar seguito a tutti gli investimenti che sono stati previsti.

Noi siamo convinti che, se si adottano queste priorità concrete, sia possibile trovare nel bilancio pubblico le risorse necessarie. Serve un intervento graduale di risparmio sugli oltre 1200 miliardi della spesa pubblica.

Ciò consentirebbe di non compromettere gli obiettivi di rientro del bilancio e contestualmente di finanziare le misure a favore della crescita, in modo strutturale e deciso.

Tra queste, come primo passo, serve: introdurre l’aliquota premiale sull’IRES per gli utili reinvestiti; abolire l’IRAP per le società di capitali e non sostituirla con una sovraliquota IRES; ripristinare l’ACE, poiché la patrimonializzazione delle nostre imprese è elemento essenziale per investire.

Però noi non ci limitiamo solo a chiedere. Siamo pronti a un esame serio e dettagliato con il Governo di molte fiscal expenditures, detrazioni e deduzioni d’imposta che, nel corso dei decenni, si sono accumulate a centinaia e molte non corrispondono a vere finalità di crescita. Presenteremo inoltre al Governo – entro poche settimane – una serie di misure a costo zero, che sono essenziali per la certezza del diritto e la sburocratizzazione degli oneri che soffocano oggi le nostre imprese, tanto da trasformare l’imprenditore in una sorta di funzionario pubblico aggiuntivo.

Qualche esempio.

Quello della 231 uguale per tutte le imprese, a prescindere dalla loro dimensione, è una pazzia.Sappiamo tutti quanto gli adempimenti burocratici a cui le aziende sono sottoposte impattino direttamente sulla redditività, specie delle piccole imprese.

Un altro esempio. Ci sono oltre cento cantieri fermi a Milano, per investimenti che sono stati stimati complessivamente in 12 miliardi. Sono fermi per una diversa interpretazione delle norme edilizie, che erano state varate. Ma veramente possiamo fermare 12 miliardi di rigenerazione urbana per un’interpretazione?

Cosa devono pensare gli investitori italiani ed esteri?

E ancora, il MIMIT si adopera per sbloccare importanti iniziative, quali per esempio quella dell’osservatorio astronomico in Sicilia e il rilancio di un sito strategico come quello di Priolo, indispensabile per il nostro sistema. E il TAR vanifica tutti gli sforzi fatti?

Noi sappiamo bene che c’è un’Italia che manda avanti l’Italia superando ostacoli di ogni tipo, e sappiamo bene che c’è un’Italia che frappone ostacoli, che si nasconde dietro la burocrazia e che evita le responsabilità.

Segnaliamo infine l’esigenza strategica di misure che devono trovare posto nel Piano Strutturale di Bilancio.

Pensiamo all’emergenza demografica, all’invecchiamento della popolazione e al sostegno alla natalità.Sono questioni di estrema urgenza.Tutte le proiezioni indicano che senza interventi strutturali il trend negativo non potrà che continuare.

Contestualmente, sollecitiamo una riflessione su come sostenere i flussi migratori regolari (ad esempio, in tema di formazione), per poter colmare il divario tra domanda e offerta di lavoro per le nostre imprese.

Noi siamo qui, pronti a fare la nostra parte.

La Confindustria che vogliamo è una Confindustria dei risultati.

Una Confindustria unita e aperta al dialogo, legata ai propri valori e alla propria identità.

Per noi, lo sviluppo significa non solo ascensore sociale. Significa anche rispetto dei diritti. E il progresso non sarà mai solo mera innovazione e produzione di utili, ma avanzamento sociale, industriale, civile e culturale per tutto il nostro Paese.

Lo diciamo con determinazione: siamo una forza fondamentale per il Paese e siamo in grado di indicare una prospettiva per il futuro, forti di una grande presenza nel mondo, grazie ad un network di oltre 150.000 imprese e oltre cinque milioni di persone. Un’organizzazione unica.

Noi imprenditori abbiamo tenacia, fiducia e spesso ottimismo al limite dell’impossibile, per progettare ed investire anche in tempi incerti.

Forti, affidabili e coesi. Lo dimostriamo tutti i giorni: ci crediamo, amiamo il nostro Paese, vogliamo vedere crescere qui i nostri figli perché crediamo che l’Italia sia il Paese più bello del mondo.

Ci mettiamo passione e chiediamo solo di poter fare il nostro lavoro in un confronto leale e con regole certe, che rivolga la propria attenzione alle persone, coltivando sempre la cultura del saper fare. Perché Made in Italy significa fatto bene.”

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