13 Febbraio 2023
Chi l'avrebbe detto, a scalare posizioni nella classifica dei settori green c'è la siderurgia. Tra i più convinti alfieri della «svolta verde» Giuseppe Pasini, alla guida di Feralpi, gruppo bresciano specializzato negli acciai per l'edizia (90% della produzione). E in edilizia vince chi garantisce edifici a basso impatto ambientale, costruiti con acciaio verde, realizzato con energie rinno-vabilli e forni elettrici.
Nel 2021 Feralpi ha chiuso un anno stra-ordinario, con un fatturato di 1,93 miliardi dagli 1,3 del 2019. I dipendenti l'anno scorso hanno superato quota 1.800 contro i1.570 di due anni prima. Nello stesso periodo l'Ebit (il risultato aziendale prima delle imposte e degli oneri finanzia-ri) è triplicato: da 71,2 a 218,7 milioni.
Il gruppo ha annunciato nei mesi scorsi 400 milioni di investimenti da qui al 2026. Ma nel quartier generale di Lonato l'impressione è che qualcosa d'altro stia bollendo in pentola.
Pasini, 61 anni, bresciano di Odolo, l'acciaio ce l'ha nel sangue. Nonna Giulia Tolettini gestiva una piccola fucina. Ma fu il padre Carlo a fondare nel 1968 l'acciaieria affacciata sul lago di Garda, a due passi da Desenzano.
Oggi la famiglia Pasini mantiene il controllo del gruppo. Garbo e schiettezza, Pasini rivendica con orgoglio l'appartenenza all'associazione degli Alpini.
Quando non è in fabbrica più che scendere verso il lago preferisce salire in montagna. O andare allo stadio: Pasini presiede la FeralpiSalò.
Tra i momenti di svolta della sua attività imprenditoriale da segnalare nel 1992 il salvataggio in Sassonia di una acciaieria, la Elbe Stahlwerke, che, dopo la caduta del Muro e la ricomposizione delle due Germanie, era destinata alla chiusura.
Sul rilancio dello stabilimento è stato prodotto un docufilm ora su Primevideo. Oggi il sito produce un milione di tonnellate di acciaio l'anno con 800 dipendenti. Flessibilità italiana e rigore teutonico. «Dobbiamo ancora presentare i conti, ma nel 2022 supereremo i 2 miliardi di fatturato a fronte di una produzione che è diminuita circa del 10%, anticipa Pasini-. Possiamo dire di avere chiuso un 2022 positivo».
Questo significa che avete aumentato i prezzi dei prodotti venduti...
«Il 2022 è venuto dopo due anni di pandemia, l'industria è ripartita in un colpo solo. Il conflitto in Ucraina ci ha messo in costante apprensione per i costi dell'energia. Ma il mercato aveva una tale fame dei nostri prodotti che è stato possibile scaricare buona parte dell'aumento dei costi sui prezzi di vendita».
Non c'era un'altra strada? Questo avrà contribuito a creare inflazione...
«Un'altra strada ci sarebbe stata e passava dall'Europa. Il mercato è rimasto abbandonato a se stesso, orfano di una po- litica energetica europea. Il cap sul prezzo è stato un topolino partorito tra l'altro troppo tardi. Oggi non serve perché i prezzi di mercato del gas sono già più bassi, ma l'emergenza energetica non è finita. E ancora oggi paghiamo il prezzo dell'energia più alto d'Europa. Un volta che abbiamo deciso di staccarci dalla Russia, l'Europa ha mostrato di non essere in grado di proteggere il sistema manifatturiero».
Segni di frenata?
«Nell'ultimo trimestre dello scorso anno c'è stato un rallentamento. C'era da aspettarselo, d'altra parte».
Come si aspetta il 2023?
«Ci sarà stagnazione della domanda ma prezzi dell'energia sono in calo, almeno in questo frangente. Confido in una ripartenza nella seconda metà dell'anno. Sono moderatamente ottimista sul 2023».
Con tassi più alti diventerà più oneroso finanziare gli investimenti. E il vostro è un piano da 400 milioni...
«Parte dei crediti che abbiamo ottenuto sono agevolati in virtù del rispetto di parametri Esg virtuosi. Non abbiamo problemi con le banche anche perché la posizione finanziaria netta è solida».
Ma avrebbe senso in prospettiva pensare alla Borsa?
«Beh, qualche idea ce l'abbiamo, non escludiamo certo questa possibilità, aprirsi a capitali esterni in certi momenti può essere un bene».
Feralpi si è data un piano per aumentare l'energia green da destinare al processo produttivo. Come procede l'attuazione?
«Abbiamo imboccato la strada dell'energia green ben prima che arrivasse l'emergenza legata alle forniture di gas dalla Russia. Entro il 2030 vogliamo portare al 20% l'aprovvigionamento di energia da fotovoltaico. L'obiettivo è avere a disposizione da 120 a 130 Megawatt da fotovoltaico l'anno per l'autoconsumo degli stabilimenti italiani».
Con parchi fotovoltaici vostri o di terzi?
«Entrambi. Certo il fotovoltaico non può essere l'unica strada. C'è anche il restante 80% di energia da fonti fossili da rimpiazzare. Per questo puntiamo anche su altre fonti rinnovabili: il biometano, Teolico, lidrogeno. E al tempo stesso stiamo elettrificando i processi con tecnologie innovative come previsto dalla nostra strategia di decarbonizzazione».
Nessuna criticità nella transizione green?
«Servirebbe più chiarezza sulle modalità di certificazione dell'acciaio verde».
Poco meno del 50% del fatturato di Fe-ralpi viene dagli stabilimenti in Germania. Cosa abbiamo da invidiare ai tedeschi?
«Meno di quanto pensiamo. Gli iter autorizzativi sulle fonti rinnovabili sono lunghi anche a Berlino e dintorni. L'Italia oggi è più grande produttore in Europa di acciaio da forno elettrico, 20 milioni contro 11 milioni di tonnellate della Ger-mania. Su economia circolare ed emissioni siamo in vantaggio».
Federacciai sta valutando la possibilita di partecipare all'ampliamento di una centrale nucleare in Slovenia per dare energia verde ai suoi associati. Che ne pensa?
«Un comitato tecnico sta valutando. Si parla di un ampliamento da 400 Megawatt. Difficilmente lItalia a breve rientrerà nel nucleare, d'altra parte un settore come il nostro ha bisogno di grandi quantità di energia verde. L'idea di partecipare a centrali all'estero puo essere una strada. Ancorata a un pragmatismo scientifico che deve superare le ideologie».
Ormai la gran parte dell'acciaio è prodotto a partire dal rottame.
«I forni elettrici saranno in prospettiva di più e aumenterà la domanda di rottame. Abbiamo 19 milioni di tonnellate di rottame che escono dai confini Ue: non ce lo possiamo più permettere».
Fonte: Il Corriere della Sera
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