27 Novembre 2025
Diverse Ong di tutto il mondo hanno denunciato la terribile carestia e crisi alimentare a Gaza. Il report di The Good Shepherd ha evidenziato come l'inflazione sia cresciuta del 700% dal 2022 a oggi, con i costi dei generi alimentari di base aumentati in modo esorbitante. Oltre ad aver portato alcuni esempi, come le uova, che ora costano 180 dollari a cartone, lo studio ha analizzato come la crisi alimentare ora in corso sia strutturale e voluta da Israele.
Nella Striscia di Gaza i prezzi dei beni essenziali hanno raggiunto livelli insostenibili, in un contesto in cui la ricostruzione economica è impossibile e l’ingresso di merci resta rigidamente limitato. Secondo monitoraggi citati da Ong locali, istituti di ricerca economica e osservatori internazionali, l’inflazione media su 42 prodotti alimentari e di prima necessità è intorno al 700%, con aumenti estremi su alcuni beni chiave come uova, carburante e verdure. Le conseguenze sono devastanti: famiglie senza reddito, infrastrutture distrutte e un mercato che ormai funziona solo in base alla scarsità artificiale.
I dati più recenti mostrano incrementi drammatici: un cartone di uova passato da 3,42 a 180 dollari, il carburante aumentato da 1,74 a 66,67 dollari al litro, il pollo da 4,10 a 25,87 dollari al chilo. Le uova, considerate una fonte accessibile di proteine prima della guerra, segnano un’inflazione del 4400%. Anche prodotti tradizionalmente economici, come melanzane e cetrioli, hanno registrato aumenti a tre cifre. La scarsità d’acqua fa precipitare i costi: un camion da 1000 litri, fondamentale per una settimana di consumo familiare, oggi costa quasi 62 dollari, contro i 6 pre-genocidio.
Organizzazioni come Euro-Med Monitor e gruppi di ricerca che seguono l’economia di guerra sostengono che l’attuale crisi non sia il risultato di normali dinamiche inflattive ma di un sistema di restrizioni, controlli e interruzioni dell’ingresso di aiuti che ha reso il mercato totalmente dipendente da ciò che viene autorizzato a passare. Le stesse analisi denunciano che la quantità di aiuti attualmente ammessa – circa 1500 tonnellate al giorno – copre solo una frazione del fabbisogno dei 2 milioni di residenti. Inoltre, una parte degli aiuti finirebbe intercettata o ostacolata prima della distribuzione, aggravando ulteriormente la scarsità.
Secondo testimonianze raccolte da Ong e agenzie umanitarie, in alcune aree gruppi armati locali e milizie incaricate della sicurezza avrebbero controllato o disperso con la forza folle di civili che tentavano di raggiungere i punti di distribuzione, contribuendo a un clima di caos e pericolo. Le autorità israeliane negano l’esistenza di un intento deliberato di affamare la popolazione e sostengono che le restrizioni siano legate a criteri di sicurezza; tuttavia, gli organismi internazionali continuano a segnalare un rischio crescente di aggravamento della carestia già in corso.
Il risultato è una crisi alimentare strutturale: prezzi fuori controllo, accesso irregolare ai beni e una popolazione costretta a scelte impossibili. Dietro ogni cifra c’è una famiglia che salta i pasti, bambini che vanno a letto affamati e un sistema economico che, secondo ricercatori e osservatori, è troppo fragile per riprendersi finché i flussi di aiuti e merci non verranno stabilizzati e ampliati.
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