26 Novembre 2025
fonte: Twitter @Isa_Adinolfi
Il Parlamento Europeo ha bocciato tre obiezioni presentate da Verdi, The Left e Socialisti contro il nuovo regolamento che restringe significativamente la definizione di armi vietate e quindi escluse dai finanziamenti. Difatti, l'emiciclo ha quindi aperto a nuovi investimenti bellici decisamente non etici, accelerando ulteriormente sulla via del riarmo.
Il Parlamento Europeo ha respinto il 26 novembre le tre obiezioni presentate da Verdi, The Left e Socialisti contro il regolamento che ridefinisce la categoria delle armi escluse dagli standard della finanza sostenibile. Con il sostegno determinante delle destre, il Partito Popolare Europeo ha garantito il via libera alla proposta della Commissione von der Leyen.
Il testo delinea un cambio semantico e politico rilevante: la sostituzione del termine “armi controverse” con “armi vietate”. Una modifica che, secondo i gruppi progressisti, restringe l’area dei sistemi d’arma esclusi agli investimenti sostenibili a sole quattro categorie: mine antiuomo, munizioni a grappolo, armi biologiche e chimiche, già proibite da convenzioni internazionali sottoscritte dalla maggioranza degli Stati membri. Tutto il resto, compresi armamenti che sollevano gravi interrogativi etici e umanitari, rientra ora potenzialmente nel perimetro degli investimenti “ammissibili”.
Le risoluzioni bocciate chiedevano esplicitamente di reinserire tra i criteri di esclusione armi come testate nucleari, uranio impoverito, ordigni incendiari al fosforo bianco, armi accecanti laser, frammenti non rilevabili e sistemi d’arma autonomi letali, i cosiddetti “robot killer”. Una richiesta in linea con le preoccupazioni di molte Ong e giuristi, secondo cui queste tecnologie rappresentano una minaccia crescente al diritto internazionale umanitario.
La scelta della Plenaria arriva in un contesto europeo segnato dall’aumento dei bilanci militari e dall’ambizione, esplicitata nel Libro Bianco sulla difesa Readiness 2030, di costruire una filiera industriale bellica più autonoma e competitiva. Per le opposizioni, questa decisione è il segnale più recente di un’Ue che “si sta trasformando in un’economia di guerra”, come denunciato dal Movimento 5 Stelle subito dopo il voto. Nel bilancio 2026, infatti, gli stanziamenti per il programma europeo di produzione della difesa crescono di 619 milioni di euro, accompagnati da un rafforzamento dei fondi per la mobilità militare.
Il voto di Strasburgo non solo orienta il futuro dell’industria della difesa europea, ma acuisce anche la frattura politica tra Ppe e forze centriste, aprendo una legislatura che appare sempre più segnata da una corsa al riarmo.
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