09 Ottobre 2025
Lo scorso martedì 7 ottobre tutta la Germania ha manifestato in ricordo dell'attacco sferrato da Hamas contro i kibbutz della Striscia. Anche in Italia, anche in altri Paesi l'anniversario è stato ricordato, ma in Germania quella data è stata il pretesto, per il governo tedesco, di rivendicare l'incrollabile (e incondizionato) sostegno a Israele. La dichiarazione più forte di tutte è arrivata da Johann Wadephul, ministro degli Esteri: "In quanto tedesco, sono inevitabilmente il più chiaro difensore di Israele, non solo in quanto Johann Wadephul".
Parole che fanno riflettere, rilasciate da Wadephul al conduttore del podcast di attualità Paul Ronzheimer. L'attenzione ricade inevitabilmente sulla premessa di questa affermazione, "In quanto tedesco", che pone i riflettori sul delicato rapporto storico che ha unito Germania e Israele negli anni Trenta e Quaranta del Novecento. È un dato di fatto: tra tutti gli Stati membri dell'Unione, la Germania si autoproclama come il più stretto alleato di Tel Aviv. Nonostante il genocidio compiuto - e ancora in corso a dispetto dei primi sviluppi concreti sul presunto accordo "di pace" - e i crimini di cui si è macchiata Israele, il sostegno tedesco a Netanyahu vive di ragioni storiche: la persecuzione e lo sterminio di oltre sei milioni di ebrei ad opera del regime nazista di Hitler. Un passato con cui i tedeschi non vorrebbero più fare i conti, ma che si riaffaccia, e che radicò nel 1949 (anno del ritorno della democrazia in Germania) un concetto indefettibile: "vergangenheitsbewältigung". Cioè la piena assunzione di responsabilità verso ciò che è stato. Perciò non solo, dagli anni Cinquanta in poi, si è affermato una sorta di obbligo alla difesa di Israele, ma la comprensibile lotta verso tutto ciò che può minacciare il ritorno all'antisemitismo.
Anche quando l'antisemitismo è solo uno spauracchio: "L'antisemitismo in Germania è vergognoso. Ora e sempre" ha dichiarato il cancelliere Merz in un video social. "Siamo al fianco del popolo ebraico del nostro Paese, oggi, a due anni dal brutale attacco di Hamas contro Israele, e ogni giorno". Anche quando proteggere Israele significa proteggere Netanyahu e le atrocità di cui si è macchiato, al pari di Hitler. Ciò spiega anche perché la Germania si configuri come il secondo fornitore di armi di Israele, appena dopo l'alleato di sempre, gli Stati Uniti. Fornitore, tra le varie cose, anche di sottomarini nucleari, motori per carri armati e munizioni. Solo nel 2023 Berlino sembra aver esportato equipaggiamenti militari per 300 milioni di euro, dieci volte in più rispetto al 2022. Sebbene Merz, a fronte delle decisioni omicide di Netanyahu, abbia scelto di "congelare parzialmente" aiuti militari ad Israele, la sostanza non cambia. "La strage degli ebrei è iniziata in Germania. (...) Ciò conferisce a ogni governo tedesco la responsabilità perpetua della sicurezza dello Stato di Israele e della protezione della vita ebraica" aveva detto l'ex cancelliere Scholz nel 2022.
E, difatti, secondo quanto emerso lo scorso 1° ottobre dalla risposta del Ministero federale dell'Economia ad un'interrogazione parlamentare della Linke, il governo tedesco ha approvato 2,4 milioni di euro in forniture militari, cioè "altro equipaggiamento militare" che non siano armi da guerra. Senza parlare dell'accordo da 408 milioni firmato con l'industria bellica israeliana Rafael, grazie a cui la Germania può contare su sofisticati sistemi bellici per ammodernare la Bundeswehr. Accordo che prevede importazioni, non esportazioni, ma che di nuovo interroga sulla coerenza della politica di Berlino. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, Berlino infatti aveva dato, tra il 2023 e il 2025, licenze di export armi verso Israele per oltre 485 milioni di euro.
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