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La sfida della Global Sumud Flotilla: come i civili stanno trasformando il blocco navale israeliano in un caso mondiale

L'intercettazione della nave Marinette, ultima imbarcazione rimasta della Global Sumud Flotilla, segna non solo un episodio nell'interminabile crisi di Gaza, ma una svolta nell'evoluzione delle strategie civili in contesti di conflitto

03 Ottobre 2025

Freedom Flotilla, rimpatriati gli attivisti pro-Palestina del veliero Madleen, sequestrati da Israele in acque internazionali mentre diretti a Gaza con aiuti

La nave Madleen della Freedom Flotilla

L'intercettazione della nave Marinette, ultima imbarcazione rimasta della Global Sumud Flotilla, segna non solo un episodio nell'interminabile crisi di Gaza, ma una svolta nell'evoluzione delle strategie civili in contesti di conflitto. A circa 42,5 miglia nautiche dalla Striscia, in acque internazionali, la marina israeliana è intervenuta per bloccarne l’avanzata. Le immagini trasmesse in diretta – interrotte bruscamente nel momento dell’abbordaggio – hanno mostrato quanto la posta in gioco non sia solo logistica, ma politica, legale e mediatica.

In 38 ore, le forze israeliane hanno intercettato tutte le nostre 42 imbarcazioni”, ha dichiarato la Flottilla. Ma quella che a prima vista appare come una serie di respingimenti è, in realtà, un laboratorio geopolitico galleggiante: una sfida deliberata al concetto stesso di blocco navale in epoca di sorveglianza globale, diritto internazionale e pressione dell’opinione pubblica.

Intanto, circa 200 attivisti, tra cui quattro parlamentari italiani (tra essi il senatore Marco Croatti e l’eurodeputata Annalisa Corrado), sono stati trattenuti, trasferiti in carcere, e successivamente rilasciati. La Farnesina ha gestito direttamente la crisi diplomatica, segnalando come lo spazio operativo si stia spostando sempre più verso la diplomazia preventiva e il diritto consolare, piuttosto che su un piano puramente militare.

La reazione dell’ONU non si è fatta attendere: il portavoce Farhan Haq ha definito l’intercettazione in acque internazionali potenzialmente illegale, sottolineando che "le leggi del mare devono essere rispettate". Sebbene non si tratti ancora di una condanna formale, il messaggio è chiaro: il blocco israeliano è osservato con crescente perplessità dalla comunità internazionale, soprattutto quando si scontra con iniziative non armate.

In questa cornice, emerge con forza il modello dello “swarming civile: una strategia che non punta a sfondare militarmente un blocco, ma a saturarlo dal punto di vista operativo, giuridico e reputazionale. La Flottilla Sumud non è un semplice convoglio umanitario: è una operazione strategica di logoramento a bassa intensità, che mette alla prova la sostenibilità del blocco stesso nel lungo periodo.

Israele ha il diritto, sancito dalle leggi internazionali, di difendersi da minacce concrete. Ma la pressione che riceve non è più quella delle armi, bensì delle telecamere, delle testimonianze, dei parlamentari a bordo. Il punto non è tanto se fermare una barca sia lecito – lo è, in determinate circostanze – ma a quale prezzo e con quali conseguenze legali, mediatiche e politiche.

Un parallelo illuminante viene dal Mar Cinese Meridionale, dove la Cina utilizza pescherecci e cooperative civili per rivendicare territori marittimi in modo non convenzionale. Anche qui, la chiave non è la forza, ma l’ambiguità: il nemico non è armato, la nave è piccola, il messaggio è pacifista. Ma l’effetto è strategico: ogni abbordaggio produce documentazione, proteste, mobilitazioni. Ogni arresto genera contenziosi diplomatici. Ogni resistenza passiva mette a disagio l’interdicente.

Nel contesto di Gaza, la Flottilla Sumud ha alzato l’asticella: non più singole barche, ma ondate organizzate; non più volontari isolati, ma parlamentari, medici, giornalisti, con tutto il bagaglio di garanzie che la loro presenza comporta. La barca diventa argomento politico, il blocco si trasforma in oggetto di dibattito globale. Non si cerca lo scontro fisico, ma l’usura morale e legale del dispositivo.

Per Israele, il rischio è quello di dover impiegare mezzi sproporzionati per affrontare una minaccia simbolica. Intercettare decine di barche civili significa mobilitare motovedette, droni, elicotteri, strutture di detenzione, squadre legali, interpreti, e affrontare l'opinione pubblica internazionale. Se la pressione cresce, il sistema rischia la saturazione. Il blocco non crolla, ma si consuma. Il mare, che fino a poco fa era considerato esclusivo terreno di manovre militari, diventa un tribunale a cielo aperto, dove ogni metro navigato diventa spazio di dibattito legale. Il diritto internazionale del mare – con le sue regole su soccorsi, ispezioni, proporzionalità – si trasforma in arma retorica e operativa per chi vuole forzare l’accesso a Gaza non con i razzi, ma con i verbali.

La stessa ambiguità delle bandiere, delle rotte dichiarate, dei porti di partenza e arrivo, moltiplica i contenziosi: ogni nave ha una storia diversa, una giurisdizione potenzialmente differente, un trattamento consolare che varia. La Flotilla non è più una sola entità: è un arcipelago di casi legali, ognuno capace di sollevare una questione. Il messaggio della Sumud è chiaro: "non vogliamo spezzare il blocco con la forza, vogliamo renderlo insostenibile". E in questo senso, la strategia funziona. Israele dovrà decidere se mantenere il blocco nella sua forma attuale – rischiando isolamento diplomatico e logoramento – o trasformarlo in un corridoio regolato, con ispezioni condivise e slot autorizzati. L’alternativa è una crisi permanente a bassa intensità, ma ad alto costo. L’intercettazione della Marinette non è solo un fatto di cronaca. È il segnale che la guerra dei blocchi è entrata in una nuova fase: quella dove il civile diventa strategico, il mare diventa spazio politico e il blocco – da strumento militare – si trasforma in argomento giuridico. Una partita che si gioca tra radar e codici marittimi, tra abbordaggi e articoli di diritto internazionale, tra atti simbolici e costi reali. E in questa partita, ogni barca è molto più di una barca: è una domanda che costringe a rispondere.

Di Riccardo Renzi

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