22 Settembre 2025
Funerale Charlie Kirk, fonte: Instagram, @avvenire
Lo State Farm Stadium di Glendale si è trasformato in un santuario patriottico per l’ultimo saluto a Charlie Kirk, l’attivista conservatore ucciso il 10 settembre in un campus dello Utah. Oltre 200.000 persone hanno affollato lo stadio, vestite di bianco, rosso e blu, come richiesto da Turning Point Usa, l’organizzazione fondata da Kirk e ora guidata dalla vedova Erika.
Sul palco, un parterre da vertice internazionale: il presidente Donald Trump, il vicepresidente JD Vance, Marco Rubio, Pete Hegseth, Tucker Carlson e persino Robert F. Kennedy Jr. hanno reso omaggio a Kirk, definito da molti “un moderno San Paolo”. L’arcivescovo Timothy Dolan ha parlato di lui come un “eroe missionario”, sottolineando la dimensione religiosa della sua militanza.
Il momento più toccante è stato l’intervento di Erika Kirk. Ex Miss Arizona, imprenditrice e attivista, ha raccontato gli ultimi giorni del marito con una lucidità struggente: “Aveva un mezzo sorriso consapevole, simile a quello della Monna Lisa. Come se fosse felice. Come se Gesù lo avesse salvato”. Erika ha promesso di raccogliere l’eredità spirituale e politica di Charlie, portando Turning Point USA verso una direzione ancora più radicale.
Non era solo un funerale. Era un rito di passaggio. Un momento in cui la destra americana ha celebrato non solo un uomo, ma un’idea. Ho visto le immagini dello stadio, i versetti biblici sui poster, i braccialetti con la scritta “We Are Charlie Kirk”. E mi sono chiesto: cosa resta di un uomo quando se ne va? Forse proprio questo: la capacità di trasformare il lutto in movimento, il dolore in azione.
Di Nico Combattelli Popoli (Pe)
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