08 Settembre 2025
Proteste pro Palestina a Londra, fonte: Instagram, @bbc
Lo scorso 5 settembre, durante un incontro pubblico presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, Francesca Albanese ha espresso in modo chiaro il dolore e l’insofferenza di chi trova inaccettabile la complicità e l’immobilità che ne deriva dei governi occidentali nei confronti di Israele. “E’ vergognosa l’assenza di iniziative da parte dei governi per fermare il genocidio in Palestina. Non dovrebbe essere la Global Sumud Flotilla a rompere l’illegale assedio israeliano di Gaza, bensì la Marina Militare italiana.” Sarebbe una cosa buona e giusta vedere le navi della marina militare italiana, spagnola, francese, greca, turca, ecc. unirsi alla Global Sumud Flottilla per forzare il blocco marittimo imposto dal governo israeliano al territorio della Striscia di Gaza. Ma è chiaramente solo un sogno di chi, ostinatamente, non si rassegna al Male, al genocidio e alla pulizia etnica programmati e organizzati da uno stato colonialista e razzista, sempre più paradossalmente simile al Terzo Reich. Francesca Albanese, con il suo intervento a La Sapienza, mette in evidenza il fatto che ciascuno di noi può e deve agire per fermare Israele, la pressione dei cittadini sui governi è fondamentale.
Davanti all’orrore abbiamo il dovere di manifestare tutta la sacrosanta indignazione e la rabbia per un capo di stato o, perfino, per un papa che incontrano il presidente di Israele fingendo di ignorare che Herzog, non solo sostiene e appoggia il governo criminale di Netanyahu, Ben Gvir, Smotrich, ecc., ma si è perfino spinto a firmare un lotto di bombe destinate ai civili di Gaza a favore di telecamere.
È fondamentale che i cittadini capiscano che il tempo dell’indifferenza e dell’immobilità è finito. Al di là degli alibi e delle formulette retoriche con cui i rappresentanti politici esprimono qualche timido accenno di indignazione, i governi hanno infatti molte possibilità per intervenire in modo efficace e risolutivo per fermare Israele. Alcune di queste possibilità sono state elencate, con grande chiarezza e lucidità, da Jeffrey Sachs e da Sybil Faresin un intervento pubblicato su other-news.info che riportiamo qui di seguito.
Israele, con la complicità degli Stati Uniti, sta commettendo un genocidio a Gaza affamando in massa la popolazione, oltre agli omicidi di massa e la distruzione fisica delle infrastrutture di Gaza. Israele fa il lavoro sporco. Il governo degli Stati Uniti lo finanzia e fornisce copertura diplomatica attraverso il suo veto all’ONU. Palantir, attraverso “Lavender”, fornisce l’intelligenza artificiale per un efficiente omicidio di massa. Microsoft, attraverso i servizi cloud Azure, e Google e Amazon attraverso l’iniziativa “Nimbus”, forniscono l’infrastruttura tecnologica di base per l’esercito israeliano.
Questo segna i crimini di guerra del 21° secolo come una partnership pubblico-privata tra Israele e Stati Uniti. La fame di massa inflitta da Israele alla popolazione di Gaza è stata confermata dalle Nazioni Unite, da Amnesty International, dalla Croce Rossa, da Save the Children e da molti altri. Il Consiglio norvegese per i rifugiati, insieme ad altre 100 organizzazioni, ha chiesto la fine dell’uso del cibo come arma da parte di Israele. È la prima volta che la fame di massa viene ufficialmente accertata in Medio Oriente.
La portata della fame è sconcertante. Israele sta sistematicamente privando del cibo più di 2 milioni di persone. Oltre mezzo milione palestinesi affrontano una fame catastrofica e almeno 132.000 bambini sotto i cinque anni rischiano di morire di malnutrizione acuta. La portata dell’orrore è documentata in modo approfondito da Haaretz in un recente articolo intitolato “La fame è ovunque”. Coloro che riescono in qualche modo ad accedere ai siti di distribuzione del cibo vengono regolarmente presi di mira dall’esercito israeliano.
Come ha recentemente spiegato un ex ambasciatore statunitense in Israele, l’intenzione di affamare la popolazione era presente fin dall’inizio. Il ministro israeliano del Patrimonio Amichai Eliyahu ha recentemente dichiarato: “Non esiste nazione che dia da mangiare ai propri nemici”. Il ministro Bezalel Smotrich ha recentemente affermato: “Chi non evacua, non lasciatelo fare. Niente acqua, niente elettricità; possono morire di fame o arrendersi. Questo è ciò che vogliamo”.
Eppure, nonostante queste dichiarazioni lampanti di genocidio, i rappresentanti degli Stati Uniti all’ONU negano ripetutamente i fatti e coprono i crimini di guerra di Israele. Gli Stati Uniti da soli hanno posto il veto all’ammissione della Palestina all’ONU nel 2024. Gli Stati Uniti ora negano i visti ai leader palestinesi per venire all’ONU a settembre, un’altra violazione del diritto internazionale.
Gli Stati Uniti hanno usato il loro potere e soprattutto il loro veto nel Consiglio di sicurezza dell’ONU per favorire il genocidio dei palestinesi da parte di Israele e per bloccare anche le più elementari azioni umanitarie. Il mondo è sgomento, ma sembra paralizzato di fronte alla macchina assassina israelo-statunitense. Eppure il mondo può agire, anche di fronte all’intransigenza degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti rimarranno nudi e soli nella loro complicità criminale con Israele.
Siamo chiari. La stragrande maggioranza dell’umanità è dalla parte del popolo palestinese. Lo scorso dicembre, 172 paesi, con oltre il 90% della popolazione mondiale, hanno votato a favore del diritto della Palestina all’autodeterminazione. Israele e Stati Uniti sono rimasti sostanzialmente isolati nella loro opposizione. Maggioranze schiaccianti simili si esprimono ripetutamente a favore della Palestina e contro le azioni di Israele.
Il governo prepotente di Israele ora conta esclusivamente sul sostegno degli Stati Uniti, ma anche quello potrebbe non durare a lungo. Nonostante l’intransigenza di Trump e i tentativi del governo statunitense di soffocare le voci filopalestinesi, il 58% degli americani vuole che l’ONU riconosca lo Stato di Palestina, contro solo il 33% che non lo vuole. Inoltre, il 60% degli americani si oppone alle azioni di Israele a Gaza.
Ecco alcune misure concrete che il mondo può adottare.
In primo luogo, la Turchia ha intrapreso la giusta strada interrompendo tutti i legami economici, commerciali, marittimi e aerei con Israele. Israele è attualmente uno Stato canaglia e la Turchia fa bene a trattarlo come tale fino a quando non cesserà la fame di massa causata da Israele e lo Stato di Palestina non sarà ammesso all’ONU come 194° membro, con i confini del 4 giugno 1967. Gli altri Stati dovrebbero seguire immediatamente l’esempio della Turchia.
In secondo luogo, tutti gli Stati membri dell’ONU che non l’hanno ancora fatto dovrebbero riconoscere lo Stato di Palestina. Finora, 147 paesi riconoscono la Palestina. Decine di altri dovrebbero farlo al vertice dell’ONU sulla Palestina del 22 settembre, anche nonostante le veementi obiezioni degli Stati Uniti.
In terzo luogo, i firmatari arabi degli Accordi di Abramo, Bahrein, Marocco, Sudan ed Emirati Arabi Uniti, dovrebbero sospendere le loro relazioni diplomatiche con Israele fino alla fine dell’assedio di Gaza e all’ammissione dello Stato di Palestina all’ONU.
In quarto luogo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con un voto dei due terzi dei presenti e votanti, dovrebbe sospendere Israele dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite fino a quando non revoca il suo sanguinoso assedio su Gaza, sulla base del precedente della sospensione del Sudafrica durante il regime dell’apartheid. Gli Stati Uniti non hanno diritto di veto nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
In quinto luogo, gli Stati membri delle Nazioni Unite dovrebbero interrompere l’esportazione di tutti i servizi tecnologici che sostengono la guerra, fino alla fine dell’assedio di Gaza e all’adozione dell’adesione della Palestina alle Nazioni Unite da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Le aziende di servizi al consumo come Amazon e Microsoft che continuano ad aiutare le forze di difesa israeliane nel contesto di un genocidio dovrebbero affrontare l’ira dei consumatori di tutto il mondo.
Settimo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dovrebbe inviare una forza di protezione dell’ONU a Gaza e in Cisgiordania. In genere, sarebbe il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a mandare una forza di protezione, ma in questo caso gli Stati Uniti bloccheranno il Consiglio di Sicurezza con il loro veto. C’è un altro modo.
In base al meccanismo “Uniting for Peace”, quando il Consiglio di Sicurezza è in una situazione di stallo, l’autorità di agire passa all’Assemblea Generale. Dopo una sessione del Consiglio di Sicurezza e l’inevitabile veto degli Stati Uniti, la questione verrebbe sottoposta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in una decima sessione speciale di emergenza sul conflitto israelo-palestinese. In tale sede, l’Assemblea Generale può, con una maggioranza dei due terzi non soggetta al veto degli Stati Uniti, autorizzare una forza di protezione in risposta a una richiesta urgente dello Stato di Palestina. C’è un precedente: nel 1956, l’Assemblea Generale autorizzò l’impiego della Forza di Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF) per entrare in Egitto e proteggerlo dall’invasione in corso da parte di Israele, Francia e Regno Unito.
Su invito della Palestina, la forza di protezione entrerebbe a Gaza per garantire aiuti umanitari di emergenza alla popolazione affamata. Se Israele dovesse attaccare la forza di protezione delle Nazioni Unite, questa sarebbe autorizzata a difendere se stessa e gli abitanti di Gaza. Resta da vedere se Israele e gli Stati Uniti oserebbero combattere una forza mandatata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per proteggere gli abitanti di Gaza affamati.
Israele ha superato il limite invalicabile commettendo crimini atroci: affamando i civili fino alla morte e sparando loro mentre sono in fila, emaciati, per ricevere del cibo. Non c’è più alcun limite da superare, né tempo da perdere. La comunità internazionale è messa alla prova e chiamata ad agire come non lo è stata da decenni.
Di Jeffrey Sachs* e Sybil Fares*, other-news.info
01.09.2025
*Jeffrey D. Sachs, professore e direttore del Centro per lo sviluppo sostenibile della Columbia University.
*Sybil Fares, consulente senior per il Medio Oriente e l’Africa della Rete delle Nazioni Unite per le soluzioni di sviluppo sostenibile.ù
Di Marco Pozzi
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