07 Agosto 2025
Unità di terapia intensiva nel reparto di pediatria dell'ospedale Nasser (reuters)
Senza alcuna spiegazione da parte delle autorità. 33 ventilatori polmonari, prodotti da un’azienda italiana e destinati agli ospedali della Striscia di Gaza grazie a una donazione dell'Unicef, sono stati respinti da Israele dopo essere stati bloccati per 7 mesi all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.
Dopo essere rimasti bloccati da febbraio all’aeroporto David Ben Gurion di Tel Aviv, i 33 ventilatori che l’Unicef intendeva consegnare agli ospedali della Striscia di Gaza sono stati ufficialmente respinti. Le autorità israeliane non hanno fornito alcuna motivazione, né sul prolungato blocco né sul rifiuto definitivo del carico.
Prodotti dalla Siare International Engineering Group di Bologna, i 33 ventilatori polmonari neonatali Siareton erano destinati a Gaza con l’obiettivo di salvare la vita a migliaia di neonati con gravi difficoltà respiratorie, come nel caso delle nascite premature. Avrebbero dovuto essere consegnati a febbraio, ma non sono mai arrivati a destinazione — e, con ogni probabilità, non ci arriveranno mai.
Per mesi sono rimasti inutilizzati all’aeroporto Ben Gurion, fino a quando non è stata presa la decisione di rimandarli indietro. “A Gaza i bambini muoiono per mancanza di respiro. Non muoiono perché sono troppo fragili. Non muoiono per carenza di medici o infermieri. Muoiono perché i macchinari che potrebbero salvarli sono bloccati oltre un confine, vittime di una scelta politica”, aveva denunciato a Repubblica Loris De Filippi, operatore del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, da poco rientrato dalla Striscia dopo nove mesi di lavoro sul campo.
Durante una breve tregua nel tardo 2024, le Nazioni Unite erano riuscite a far entrare alcune apparecchiature essenziali: sistemi Cpap, monitor, pompe infusionali, lampade per la fototerapia. Tuttavia, i ventilatori — cruciali per i casi più gravi di distress respiratorio nei neonati — sono rimasti esclusi. De Filippi aveva raccontato le condizioni estreme in cui operano gli ospedali della Striscia e il senso profondo di impotenza, unito a una stanchezza devastante, che colpisce gli operatori sanitari ogni volta che assistono alla morte evitabile di un bambino.
E i 33 ventilatori Siareton non sono gli unici dispositivi a essere stati respinti. Secondo la documentazione che attesterebbe il diniego all’ingresso del materiale sanitario, Israele ha bloccato anche altri strumenti fondamentali: quindici monitor per il controllo dei parametri vitali, dieci pompe infusionali per la somministrazione precisa dei farmaci e ulteriori apparecchi necessari per la ventilazione non invasiva dei piccoli pazienti.
A Gaza, dunque, si continua a morire non solo per le bombe, la fame o la carenza di cure. Si muore anche per effetto di decisioni politiche deliberate, che impediscono agli operatori sanitari e umanitari di fornire l’assistenza necessaria.
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