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Le bombe di Trump hanno distrutto più il MAGA del rischio nucleare in Iran, ora Russia e Cina sono più forti degli Usa

Qui c’è tutto l’insuccesso politico di Donald Trump che ieri ha distrutto l’opzione MAGA. È caduto nella tentazione del rilancio mettendosi anch’egli la stella dello sceriffo globale

23 Giugno 2025

Ipotesi accordo a 3 USA-Russia-Cina;

Putin, Trump, Xi Jinping

"Tutti i siti nucleari in Iran hanno subito danni monumentali, come mostrato dalle immagini satellitari. Annientamento è un termine esatto!”.

Ormai il linguaggio di Donald Trump lo conosciamo: l’efficacia dell’azione è inversamente proporzionale al rigonfiamento della retorica. Sui dazi è stato così, sulla Cina così ed è così anche sul “successo spettacolare” dell’attacco ai tre siti nucleari di Isfahan, Natanz e Fordow. «Ieri abbiamo tolto la bomba dalle mani dell'Iran», ha dichiarato. Ma non è vero: l’unico obiettivo che gli Stati Uniti hanno raggiunto è un rallentamento del programma nucleare. Ma a quale prezzo? Altissimo. E qui c’è tutto l’insuccesso politico di Donald Trump che ieri ha distrutto l’opzione MAGA. È caduto nella tentazione del rilancio mettendosi anch’egli la stella dello sceriffo globale.

Aveva promesso un isolazionismo proficuo per gli americani e invece Trump si è scoperto interventista, gonfio di una retorica che porta pure jella: «Sei mesi fa erano morti, freddi come il ghiaccio, oggi siamo caldi come una pistola». Trump si è fatto mettere il guinzaglio da quel fanatico di Netanyahu, il quale con una bella faccia tosta è andato pure a pregare al Muro del pianto per l’amico Donald. Che, ieri, era talmente in trance agonistica da accoppiare la fesseria della distruzione dei siti nucleari con l’auspicio del cambio di regime: "il termine non è politicamente corretto, ma se l'attuale regime iraniano non è in grado di rendere l'Iran di nuovo grande, perché non dovrebbe esserci un cambio di regime??? Miga!!!". Che cretinaggine.
L’invito agli ayatollah di scegliere fra la «pace o la tragedia» fa parte di un copione di dichiarazioni scomposte, perché rivelano la consapevolezza di una decisione assunta fuori dal margine: gli americani non vogliono né perdere soldi per fare guerre né piangere altri figli per quel Medio Oriente dove già si sono schiantati in Iraq e in Afghanistan e dove l’unico precedente in Iran riporta ai tempi di Carter e al sequestro di alcuni americani nell’ambasciata a Teheran che durò, dopo il disastroso blitz ordinato dal Presidente , la bellezza di 444 giorni (e toccò a Reagan trattare la liberazione).

Trump chiede di rimettersi al tavolo dei negoziati, perché sa che il caos è dietro l’angolo: l’opzione terroristica per mano o di cellule dormienti o di nuovi kamikaze che Hamas ed Hezbollah recluteranno facilmente dopo il massacro di Israele a Gaza; il contraccolpo economico se l’Iran (perso per perso) strozzerà Hormuz o se gli Houthi fermeranno le navi in transito per lo Yemen. E soprattutto ci sono Russia e Cina che si sono messe al fianco dell’Iran.

Le reazioni di Russia (vera potenza nucleare) e Cina (che invece vera potenza nucleare non è) non sono affatto da sottovalutare. Medvedev ha affermato che “il programma di arricchimento dell’uranio, da parte dell’Iran, proseguirà e che altri Paesi sono pronti a fornire le loro testate nucleari all’Iran”. Vuol dire che la Russia aiuterà il regime degli ayatollah a ripartire per raggiungere quell’obiettivo? Quanto alla Cina - che pure ha condannato fermamente l’attacco “all'Iran e agli impianti nucleari sotto la supervisione dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica” e sottolineando il pericolo tensioni in Medio Oriente - non vanno sottovalutati i suoi interessi nell’area e in special modo con Teheran, paese da cui compra in grandi percentuali il petrolio e verso cui ha un export assolutamente a suo vantaggio, incardinato in accordi recentemente sottoscritti.

Perché allora Trump, che pur aveva siglato un mese fa intese di business durante il tour nel Golfo, ha ceduto alla logica interventista di Netanyahu? Il nucleare… Può darsi che il regime avesse raggirato gli ispettori dell’agenzia di controllo sull’energia atomica, ente sotto egida dell’Onu; e può anche darsi che si avviasse verso un arricchimento dell’uranio in percentuali preoccupanti ma non lo possiamo dire nel senso che la stessa agenzia non aveva elementi per affermarlo. E comunque è una escalation non di oggi e che invece oggi si poteva arginare attraverso la Politica.

La questione di fondo dopo l’attacco americano impone alla politica la domanda più scomoda: sicuri che non fosse meglio tenere dentro l’Iran in Trattato di non proliferazione nucleare, giocando con il potere della mediazione? Cosa succede se l’Iran dovesse replicare quel che ha fatto la Corea del Nord, cioè uscire dal Tnp e farsi la propria arma nucleare?

Con l’inutile bombardamento l’Iran potrebbe proseguire nel programma appoggiato dalla Russia e accettato dalla Cina come leva negoziale per trattare in posizione di vantaggio con la Casa Bianca, che deve uscire da questa situazione in fretta se non vuole restare impaludata. Il Trattato di non proliferazione nucleare smarrisce la sua architettura. Se l’Iran, replicando lo schema della Nord Corea, dovesse uscire per sentirsi più sicura, obbligherebbe a quel punto anche gli altri Paesi della regione (penso all’Arabia Saudita, Turchia, Egitto) non per usarla, ma per non essere gli unici a non averla in un contesto dove il diritto internazionale è evidentemente insufficiente a garantire sicurezza. La proliferazione diventa la nuova normalità geopolitica. Sarebbe un guaio peggiore.

di Gianluigi Paragone

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