20 Maggio 2025
Fonte: imagoeconomica
L'Europa vuole esserci. O perlomeno i Paesi che si considerano i più importanti in Europa – Francia, Gran Bretagna (pur fuori dall'Unione Europea) e Germania – hanno deciso che l'eventuale trattativa tra Donald Trump e Vladimir Putin deve essere condizionata dalla loro visione degli interessi ucraini. È comprensibile la volontà di non essere tagliati fuori, ma l'approccio di questi "volenterosi" in realtà sta rallentando la possibile trattativa con la Russia, in quanto spingono una linea che non mira affatto al compromesso con Mosca, ma invece al rafforzamento delle difese dell'Ucraina nel contesto di una guerra continua.
Anche questa posizione è legittima, da parte di chi crede che la Russia abbia torto al cento per cento. Se l'obiettivo è ripristinare il controllo di Kiev su tutti i territori gestiti prima del 2014, nel tentativo di contrastare ogni tentativo di cambiare i confini con la forza, allora un compromesso non è concepibile. Questa visione, tra l’altro, è stata dichiarata esplicitamente fino a poche settimane fa: sia il presidente ucraino Zelensky sia i Paesi europei più attivi avevano inizialmente affermato che nessuna trattativa con Putin sarà possibile finché la Russia rimarrà dentro il territorio ucraino.
Donald Trump ha un'idea diversa: crede che sia necessario un compromesso in cui Mosca tiene essenzialmente i territori che ha conquistato militarmente, e il resto del Paese rimane sotto il controllo di Kiev, che stringerà ulteriori legami con il mondo occidentale. E nei primi mesi della sua presidenza ha insistito, con pressioni anche pesanti, perché Zelensky e gli europei accettassero questa prospettiva.
Vladimir Putin non è ancora convinto, per vari motivi. Da una parte sa di avere un vantaggio sul campo di battaglia in questo momento: seppur a un costo relativamente alto, sono i russi ad avanzare, quindi più si allunga questo processo più è probabile che possano rafforzare la loro posizione. Dall'altra, c'è un problema di opinione pubblica, e istituzionale, all'interno della Russia. Fermarsi ora, con il controllo di appena la Crimea e poco più delle aree già in mano alle cosiddette repubbliche separatiste prima dello scoppio del conflitto, non sarebbe un grande risultato. Tra i nazionalisti, in particolare nel mondo militare e della sicurezza, è vista più come una sconfitta che come una vittoria.
C'è un terzo elemento, però, su cui i Paesi occidentali possono influire: la credibilità di chi vuole trattare con la Russia. Non c'è fiducia totale verso il presidente americano, ma a Mosca perlomeno si vede il Tycoon come onesto nelle intenzioni, e non parte della fazione che vuole fare di tutto per indebolire la Russia nel solco dei neoconservatori. Verso i Paesi europei, invece, la sfiducia è alta, perché non si percepisce una vera volontà di negoziare.
Si considerino le iniziative della scorsa settimana. I volenterosi europei hanno deciso di appoggiare la proposta di Trump di un cessate il fuoco. In quale modo? Minacciando la Russia di nuove sanzioni se non dovesse accettare. E alcuni funzionari di Bruxelles sono stati espliciti: la mossa europea è stata mirata non a creare una trattativa, ma invece a convincere Trump che Putin non vuole affatto negoziare. In questo modo il presidente USA dovrebbe adottare una posizione più dura nei confronti di Mosca.
Non è così che si pongono le basi per un confronto diplomatico realistico. Riconoscere che bisogna discutere di temi sostanziali con l'altra parte non significa darla vinta a Putin. Piuttosto, può essere il primo passo verso un negoziato reale, oltre la modalità "fate quello che vogliamo e così si può trattare". Sapendo che Putin stesso ha problemi interni, la cosa più intelligente sarebbe intavolare una discussione sull'assetto securitario dell'Europa orientale. Senza ritirarsi o indebolire la NATO, ma piuttosto rispolverando il tipo di accordi che si facevano in passato, in merito ai missili e al dispiegamento delle truppe. Se invece entrambe le parti sono convinte che l'altra aspetti solo l'occasione per riprendere le azioni di destabilizzazione o lo scontro militare, non si potrà mai fermare le armi.
E se, invece, da queste parti non si pensa che Putin abbia alcun diritto a lamentarsi, in quanto ha agito soltanto in base alle proprie aspirazioni imperiali (dimenticando le tensioni sull'allargamento della NATO e le operazioni più o meno coperte per colpire gli alleati di Mosca), basta dirlo. Ma questo significa continuare la guerra, piuttosto che fare finta di cercare il compromesso senza l'intenzione di fermare davvero il conflitto.
Di Andrew Spannaus
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