05 Dicembre 2022
Oggi si apre il maxi-processo sugli attentati terroristici di matrice jihadista di Bruxelles che causarono 32 morti e 300 feriti il 22 marzo 2016: stiamo parlando dei cosiddetti "attentati di Bruxelles" che si articolarono in tre attacchi terroristici coordinati, avvenuti nell'area metropolitana di Bruxelles, nel Belgio. Due attacchi avvennero presso l'aeroporto di Bruxelles-National, nel comune di Zaventem, e uno alla stazione della metropolitana di Maelbeek/Maalbeek, nel comune di Bruxelles.
Gli attentati terroristici di Bruxelles sono una ferita aperta nel paese: il 22 marzo 2016 è consideratala giornata di violenza più intensa mai avvenuta nella capitale belga, dai tempi della Seconda Guerra mondiale.
Ora la verità giudiziaria dovrà sostituirsi a quella giornalistica, confermando una volta per tutte le responsabilità degli aguzzini, le disgrazie delle vittime e, forse, anche le pecche delle forze di polizia.
Alla sbarra siedono dieci imputati (uno di loro, Oussama Atar-Oussama Atar, sarà giudicato in absentia) e molti di loro sono già stati condannati per gli attentati a Parigi del 2015 in cui morirono 130 persone.
La cellula di Molenbeek, dal nome del quartiere di Bruxelles in cui era basata, ha infatti progettato entrambi gli attacchi ed era legata allo Stato Islamico.
Gli investigatori credono che le indagini, con i vari raid della polizia, abbiano accelerato gli attentati di Bruxelles del 22 marzo: alle 7:58 del mattino le prime due esplosioni nell'area check-in dell'aeroporto di Zaventem, alle 9:11 quella nella metropolitana presso la stazione di Maalbeek, a un passo dalle istituzioni europee.
Osama Krayem, uno degli imputati, avrebbe dovuto essere il secondo kamikaze di questa operazione ma si tirò indietro all'ultimo minuto mentre gli altri tre attentatori sono rimasti invece uccisi dallo scoppio delle bombe.
Le 32 vittime appartenevano a 13 nazionalità diverse, testimonianza dell'internazionalità della capitale belga, e tra queste ci fu anche l'italo-belga Patrizia Rizzo. In aula ci saranno tutti: dai parenti delle vittime ai sopravvissuti, che esporranno un grido di dolore e una testimonianza nell'aula che, in precedenza, era una sede della NATO, dove si terrà il processo (l'unico edificio abbastanza grande e adatto ad ospitare i lavori).
La loro voce di dolore talvolta si frappone a chi non è riuscito ad ascoltarlo. Ma l'eredità di sofferenza, per alcuni prosegue anche oggi. Christian De Coninck, ad esempio, oggi ha 62 anni ma, all'epoca, fu uno dei primi poliziotti a intervenire nella stazione di Maalbeek, dove fu testimone della carneficina: i corpi straziati erano ovunque. Un anno dopo a De Coninck fu diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico, il suo comportamento si fece sempre più aggressivo e, dopo aver consultato uno psichiatra, lasciò la polizia.
Philippe Vandenberghe stava invece lavorando nell'area del personale dell'aeroporto Zaventem quando i due attentatori hanno fatto esplodere i loro ordigni nel terminal. All'epoca era un tecnico informatico di 51 anni e si mise subito a prestare soccorso. Vandenberghe lavorò per un'ora, spinse ad esempio i carrelli dei bagagli intrisi di sangue, attività che serviva a organizzare barelle di fortuna per trasferire i morti e i moribondi al posto di primo soccorso. Alla fine un collega lo riportò a casa "in stato di shock". Anche lui fu divorato dallo stress post-traumatico. "La mia vita è stata completamente distrutta, ho perso i miei amici, i miei hobby, il mio lavoro", racconta Vandenberghe.
L'onda lunga degli attentati è arrivata sino ai nostri giorni. Lo scorso ottobre, infatti, una ragazza belga di 23 anni, originaria di Kontich, ha deciso di sottoporsi all'eutanasia a causa delle "sofferenze psicologiche intollerabili" a cui era ormai sottoposta. Il giorno degli attacchi l'allora 17enne era in fila all'aeroporto di Bruxelles per prendere parte alla gita scolastica a Roma: sei anni dopo, una vita ancora davanti, l'orrore patito era ancora troppo forte da sopportare.
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