12 Marzo 2022
Vladimir Putin (fonte: Twitter @Agenzia_Ansa)
Il filosofo e studioso di teoria dei giochi interviene in esclusiva per Il Giornale d'Italia commentando la situazione in Ucraina. L'attuale guerra, sottolinea, ricorda molto da vicino il classico dilemma del prigioniero. Il problema riguarda proprio il mancato funzionamento della deterrenza. Nessuno degli attori ha paura di attaccare. E questo porta al conflitto aperto.
La riguarda moltissimo. E’ uno strumento che ci premette di capire meglio che cosa sta succedendo e in certa misura di prevedere ciò che potrà accadere. La teoria dei giochi, fin dalla propria nascita, dopo la seconda guerra mondiale, affronta e modellizza con strumenti matematici il tema del conflitto e della cooperazione. Si occupa specificamente delle interazioni strategiche e delle decisioni in cui è necessario tener conto delle decisioni degli altri. Gli attori del conflitto attuale, che sono essenzialmente due, Putin da un lato e il mondo occidentale dall’altro, possono essere visti come due giocatori ognuno dei quali ha i propri obiettivi da perseguire. La teoria dei giochi permette di esplicitare in maniera plausibile il sottotesto di buona parte delle loro mosse e contromosse, di interpretare con il massimo realismo i vicoli ciechi in cui si sono cacciati, a scapito di vittime innocenti e forse dell’umanità intera, di vagliare reciprocamente il grado di affidabilità delle dichiarazioni del proprio antagonista, la possibile tenuta o fragilità degli accordi negoziali, la fiducia o la sfiducia che si può accordare alla razionalità dell’altro, i bluff e la valutazione del momento in cui un bluff va smascherato: il tutto per cercare di intravedere qualche possibile scenario che ci porti fuori dalla crisi. Non a caso von Neumann paragonava i giochi della sua teoria al poker e non agli scacchi, più facili da modellizzare. Bluff, inganni, defezioni sono le caratteristiche fondamentali di questi giochi reali. Ma mentre nel poker ci sono un vincitore e un perdente, in una crisi come quella attuale l’equilibro che si cerca è quello che in prospettiva accontenti entrambe le parti e ponga fine al conflitto o perlomeno ai suoi aspetti più inquietanti.
A grandi linee direi che l’attuale conflitto ricorda il più famoso dei dilemmi della storia della teoria: il dilemma del prigioniero. Due prigionieri, interrogati separatamente da un giudice avrebbero entrambi tutto l’interesse a non confessare un crimine incolpandosi reciprocamente, ma poiché non possono fidarsi l’uno dell’altro entrambi confessano ottenendo un risultato che non è ottimale per nessuno dei due. Questo perché, per come sono modellizzati gli incentivi, la situazione da scongiurare per entrambi è quella in cui chi fa la scelta cooperativa, cioè non confessare, se l’altro non fa altrettanto, si troverà nella situazione peggiore in assoluto mentre l’altro ne avrà un vantaggio. E’ la tipica situazione dei furbi e dei fessi disegnata da Giuseppe Prezzolini nel suo geniale Codice della vita degli italiani. In una situazione del tipo “dilemma del prigioniero”, pur essendo teoricamente possibile un equilibrio (il famoso equilibrio di Nash: ricordate la Beautiful Mind!) è impossibile raggiungerlo in pratica. Anche potendosi accordare, se so che l’altro è propenso a rispettare l’accordo, questo diventa un incentivo ancora maggiore a non rispettarlo. E’ un tipico modello di gioco non cooperativo. Ma poiché i giochi reali nella vita reale presuppongono una continuità nei rapporti tra gli attori in gioco, un gioco non cooperativo si può rivelare utilissimo proprio per capire come può funzionare la cooperazione. Il dilemma del prigioniero ripetuto mostra che gli individui, dopo poche ripetizioni del gioco, comprendono che a lungo andare la cooperazione è più conveniente del conflitto.
E’ vero. In effetti è molto difficile essere ottimisti. Per un motivo molto semplice quanto drammatico, ben riassunto dalla dichiarazione del primo ministro Draghi: “Putin non vuole la pace”. Cerchiamo allora di capire perché siamo arrivati a questo punto così drammatico, che ci riporta agli albori dell’era nucleare. La domanda fondamentale è se dobbiamo aspettarci una continua escalation o se è possibile un negoziato che ponga fine al conflitto e stabilisca un equilibrio accettabile tra le parti. A me pare abbastanza convincente, tra diversi modi possibili, modellizzare la situazione nel seguente modo. Il principale attore è Putin. A lui vanno ascritte le pesantissime responsabilità dell’attuale situazione. Ma questo ha poco a che vedere con i modelli della teoria dei giochi, che devono funzionare indipendentemente dai nostri giudizi di valore. Alla vigilia del conflitto pochi avrebbero scommesso sulla scelta da parte di Putin di invadere, come minacciato e pianificato, l’Ucraina. Se ha deciso di attaccare è perché non riteneva accettabile una ulteriore espansione della Nato che minacciava sempre più i confini della Russia, fino a includere la stessa Ucraina. Una volta presa questa decisione, il suo antagonista, che per semplificare chiamiamo semplicemente l’Occidente, aveva due possibilità. O lasciare a Putin la vittoria di questa guerra, oppure intervenire, nei limiti del possibile, con sanzioni alla Russia e aiuti alla resistenza ucraina. Se la Nato avesse scelto di lasciar correre, questo sarebbe diventato un precedente e un incentivo per future analoghe vittoriose azioni di forza da parte di Putin. Sembra dunque razionale, in questa fase, aver scelto di reagire prendendo di petto il problema e intensificando il conflitto. La risposta di Putin è stata una ulteriore escalation, incurante della possibile durata della guerra, che comporta però un costo molto alto in termini di isolamento dalla comunità internazionale e di credibilità come paese. Un prezzo che a quanto pare per Putin non è però così alto. Non solo. La scelta alternativa sarebbe stata per lui poco allettante: avrebbe dovuto dichiarare persa la guerra da lui stesso iniziata e quindi abbandonare il proprio obiettivo principale: l’arresto dell’avanzata della Nato. Ciò comporta come contromossa dell’Occidente non una ulteriore prosecuzione del conflitto, che vedrebbe un confronto diretto tra Nato e Russia, ma un inasprimento delle sanzioni e maggiori aiuti alla resistenza ucraina, che rimane la sola protagonista del conflitto bellico. A questo punto la scelta della Russia è quella di continuare un conflitto che si protrarrà molto a lungo con perdite umane enormi e che determinerà un sempre maggiore isolamento dalla comunità internazionale, consolidando l’unità europea in chiave antirussa, con ulteriori inasprimenti delle sanzioni rivolte all’intera oligarchia. L’obiettivo di Putin non può essere che quello di vincere la guerra con l’Ucraina, determinare un cambio di regime oppure costringere il presidente attuale a un pesante negoziato, spingendo anche la Nato ad accettare un compromesso non dissimile da quello che nel secondo dopoguerra portò alla divisione della Germania in due sfere d’influenza. C’è ovviamente da sperare che questo scenario non si realizzi. Ci ritroveremmo di colpo, dopo trent’anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, in una situazione simile a quella dell’inizio della guerra fredda. Con un enorme problema in più: che mentre allora la deterrenza nucleare funzionò e la catastrofe fu evitata, ora ciò che sembra non funzionare è proprio la deterrenza.
Ci può aiutare soprattutto nell’analisi dei problemi. Io peraltro, sia chiaro, non sono un vero esperto di teoria dei giochi. L’ho però studiata e applicata a molte analisi di fenomeni diversi facendone tesoro nel mio lavoro di giornalista culturale e di filosofo della scienza, facendola diventare un capitolo importante della mia concezione della scienza come parte integrante della cultura portata avanti sul supplemento Domenica del Sole 24 Ore e in diversi libri, tra cui l’ultimo La pandemia dei dati. Ecco il Vaccino (Mondadori Università) scritto con la matematica Antonietta Mira. Ho analizzato per esempio, ai tempi di mani pulite, il fenomeno delle tangenti e nel 1993 gli accordi di Oslo tra palestinesi e Israeliani, e ho sempre divulgato i risultati straordinari della teoria dei giochi mano a mano che ai suoi protagonisti veniva conferito il premio Nobel per l’Economia.
Rispetto alla situazione attuale il suo aiuto nell’analisi è importante. Ritornano purtroppo di attualità i temi che hanno caratterizzato la sua storia - l’idea dell’attacco preventivo, l’equilibrio del terrore, la costituzione della linea rossa e dunque la possibilità di evitare escalation devastanti – cui ho dedicato il mio saggio contenuto nel catalogo della recente mostra sull’Incertezza al Palazzo delle esposizioni. Lì ricordo l’enorme ruolo che ebbe il premio Nobel Thomas Schelling nella soluzione della crisi dei missili di Cuba, che portò a un accordo negoziale tra Usa e Urss che scongiurò il peggio. Ma Schelling ha anche ispirato lo Stranamore di Kubrick e battute come la seguente: “La deterrenza è l’arte di creare nell’animo dell’eventuale nemico il terrore di attaccare”. La mancanza di tale estrema capacità persuasiva forse è ciò su cui dobbiamo maggiormente riflettere ora.
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