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Generali e Mediobanca, per Caltagirone e Delfin 6 miliardi di plusvalenze ottenuti grazie ai Ceo che vorrebbero cacciare

Tra Piazzetta Cuccia e la compagnia assicurativa triestina la holding degli eredi di Leonardo Del Vecchio ha immobilizzato 8 miliardi, mentre le società dell’ingegnere romano hanno asset nelle due realtà finanziarie per 4,5 miliardi. E grazie ai nemici Philippe Donnet ed Alberto Nagel possono godere di una plusvalenza di almeno il 100% in pochi anni

29 Marzo 2025

Philippe Donnet, Generali; Alberto Nagel, Mediobanca; Francesco Gaetano Caltagirone, Gruppo Caltagirone; Francesco Milleri, Delfin

Philippe Donnet, Generali; Alberto Nagel, Mediobanca; Francesco Gaetano Caltagirone, Gruppo Caltagirone; Francesco Milleri, Delfin

Da anni rastrellano con metodo e pazienza certosina titoli di Generali e Mediobanca, il cuore del sistema finanziario italiano. E da anni, Francesco Gaetano Caltagirone e lo scomparso Leonardo Del Vecchio, con la scatola lussemburghese di famiglia, la Delfin, oggi gestita dal fido Francesco Milleri, rimproverano ad Alberto Nagel, la guida di Mediobanca, e in particolare a Philippe Donnet, l’ad di Generali, un certo qual immobilismo.

Le critiche di Caltagirone e Delfin a Mediobanca e Generali

Mediobanca, hanno sempre detto, vive di rendita sul 13% di Generali, non ha ambizioni di vera grande banca d’affari a livello europeo. Mentre Generali dorme sugli allori: non ha mai fatto la grande acquisizione di stampo europeo, è troppo piccola rispetto ai grandi competitor del Nord Europa e non è presente sui mercati dinamici come quello Usa.

Esplicativo della loro contrarietà alla gestione dei simboli della finanza tricolore lo slogan “Risvegliare il Leone” con cui avevano provato l’assalto alla compagnia triestina tre anni fa con un loro piano alternativo alla gestione del capo-azienda francese.

L’assalto naufragò, ma ora è in scena quello forse decisivo.

Acquisti all’unisono fin dal 2016

La manovra a tenaglia sta per compiersi in questa stagione. Sempre attenti a non finire bollati come assalitori che agiscono di concerto tra loro, si sono però di fatto mossi all’unisono fin dalla lontana stagione del 2016-2017 con i primi acquisti su Generali e poi dal 2019 anche su Mediobanca.

Due ricchissime famiglie imprenditoriali che vogliono trasformarsi in banchieri pur non avendo i requisiti per poter gestire imprese finanziarie.

Se l’offerta di scambio di Mps su Mediobanca andrà in porto il duo si troverà a governare a cascata anche su Generali, il vero obiettivo neanche tanto recondito. Consegnando il loro 27% cumulato di Mediobanca (il 19,8% di Delfin e il 7,66% dell’imprenditore romano) si ritroverebbero primi due azionisti della banca senese, con il Tesoro diluito al 5%, che avrebbe in pancia Mediobanca con il suo 13% di Generali, in cui Caltagirone e Milleri detengono quasi il 17%. Così il sogno della presa del potere inseguito da anni sarebbe compiuto. Primi soci stando molto attenti a non superare le soglie dell’opa obbligatoria su Mps.

Il controllo a cascata

Come si vede una scalata sul modello delle scatole cinesi di antica memoria che permetterebbe alla coppia di novelli raider di esercitare di fatto il controllo su Generali. Il tutto senza aver avuto bisogno di lanciare offerte dispendiose e impossibili o sulla stessa Generali o su Mediobanca, dato che non c’è esborso di denaro trattandosi nell’Ops di Mps su Piazzetta Cuccia di puro scambio azionario. Figurine contro figurine, amano dire gli uomini di mercato.

Tutto è ovviamente in mano ai fondi di investimento e ai soci retail. Dipenderà da loro il successo o meno del Grande assalto alla Magnifica preda che è il Leone di Trieste. Un fatto però è certo: comunque andrà la partita, sarà stato comunque un ricchissimo affare.

Già, perché proprio grazie alla gestione di Donnet da loro ripetutamente criticata, sia Caltagirone che Delfin possono contare già oggi su plusvalenze miliardarie della loro caccia a Mediobanca e Generali. Qualche conto può dare l’idea, anche se approssimativa.

Le performance di Delfin e di Caltagirone

A fine marzo 2025 per Delfin la quota del 9,93% in Generali vale ai prezzi di borsa 5 miliardi di euro. L’assai più consistente quota del 19,8% in Mediobanca è di 3 miliardi. Totale per Delfin le due partecipazioni assommano un valore odierno di 8 miliardi.

Per Caltagirone la quota del 6,92% del Leone vale 3,5 miliardi, mentre la quota del 7,66% di Mediobanca vale 1,15 miliardi. Anche per lui sommate quelle due partecipazioni finanziarie valgono oltre 4,5 miliardi.

Già, ma quanto hanno speso nel tempo e qual è il guadagno virtuale di cui dispongono? Difficile valutarlo con esattezza, ma a livello di approssimazione si può tranquillamente calcolare una plusvalenza pari a oltre il 100% in pochi anni.

In particolare, solo negli ultimi tre anni vissuti da «sconfitti», da Mediobanca Caltagirone ha ottenuto 500 milioni di capital gain e 160 milioni di cedole, e Delfin rispettivamente 1,5 miliardi e 450 milioni; da Generali, Caltagirone ha ricavato plusvalenze per 1,7 miliardi e dividendi per 0,6 miliardi, e Delfin invece due miliardi di capital gain e 700 milioni in dividendi.

Se si allarga l’orizzonte, il ritmo dei guadagni non muta.

L’ingresso nel capitale di Mediobanca

Mediobanca oggi vale 18 euro. I primi acquisti di Del Vecchio sono del lontano 2019 con il titolo a 10 euro. Il prezzo nel 2020 precipitò a 5 euro e da allora è volato in contemporanea con i successivi acquisti di Delfin. Nel 2021 la quota era già salita al 15% e poi nel 2022 oltre il 19%.

I primi acquisti di Caltagirone risalgono invece al 2021 con l’ingresso con il 3% delle quote di Mediobanca; poi in progressione fino al 7,66% attuale con il titolo Mediobanca passato da 10 euro ai 18 euro di questi giorni.

L’assedio a Generali

Ancora più promettente il guadagno su Generali: i primi acquisti sia di Caltagirone che di Del Vecchio risalgono al 2016-2017 con un 3% ciascuno. Poi il rush al rialzo man mano che l’azione saliva.

Nel 2016 Generali all’arrivo del tanto vituperato Donnet sulla tolda di comando valeva poco più di 10 euro. Oggi quota oltre tre volte di più a quota 32,5 euro. Valore triplicato mentre gli acquisti salivano fino al 6,92% per il dominus di casa Caltagirone e il 9,8% di Delfin.

Sei miliardi di plusvalenze complessive

Alla fine si può dire che i guadagni di Caltagirone complessivi superano i 2 miliardi mentre Delfin può contare su almeno 4 miliardi di plusvalenze latenti: 6 miliardi di maggior valore in poco più di cinque anni per i due liquidi e ricchi imprenditori, comunque andranno le cose.

Un tesoretto accumulato anche e soprattutto per gli ottimi conti sfornati negli anni dai tanto criticati Donnet e Nagel.

Le performance di Generali sotto Donnet

Generali dal 2016, anno di insediamento di Donnet, ha visto l’utile operativo salire da 4,8 miliardi di euro ai 7,3 miliardi del 2024. I premi lordi sono passati da 70,6 miliardi del 2016 a 95 miliardi del 2024. L’utile netto è passato in 8 anni da 2 miliardi a 3,8 miliardi con una crescita del 90%.

I dividendi sono stati progressivamente alzati da 80 centesimi per azione del 2016 a 1,43 euro del 2024.

In termini assoluti il monte dividendi dato ai soci nel corso dei tre piani industriali che si sono succeduti sotto la gestione Donnet assomma a 13,7 miliardi, di cui 5,5 miliardi nel solo triennio 2022-2024. Inoltre Generali ha effettuato due buyback, uno nel 2022 e l’altro nel 2024 per 1 miliardo di euro complessivi. Complessivamente, negli otto anni di Donnet i due imprenditori hanno incassato 2 miliardi di euro in dividendi.

Il total shareholder value (dato dalla somma dell’apprezzamento del titolo, dei dividendi incassati e del riacquisto di azioni operato dal Leone) è superiore al 200% negli otto anni di gestione Donnet. A confronto, Axa e Allianz hanno reso meno, il 129% e il 147% rispettivamente. Questi sono i risultati del sonnacchioso Leone.

La redditività di Piazzetta Cuccia

Analogo copione per Mediobanca. Dal primo ingresso di Del Vecchio nell’azionariato ormai più di sei anni fa, seguito poi da Caltagirone nel 2021, la banca guidata da Nagel ha visto i ricavi salire del 76%, con gli utili netti passati da poco più di 800 milioni agli oltre 1,3 miliardi attesi dal consenso di mercato per giugno del 2025, con una redditività netta di oltre il 35% sui ricavi totali.

E questo, continuando a fare la banca d’affari ma aggiungendo all’antico business della Mediobanca di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi le attività più che profittevoli nel risparmio gestito e nel credito al consumo, con un business che si distingue per il basso assorbimento di capitale rispetto al resto del sistema bancario.

Come si vede, non certo due colossi finanziari decadenti e a bassa redditività, che hanno permesso alle due famiglie tra le più ricche e liquide del Paese di realizzare investimenti finanziari di grande solidità e di grande ritorno.

Per Delfin che vale 40 miliardi, grazie soprattutto al valore di Essilux, la finanza con gli acquisti solo su Mediobanca e Generali pesa per il 20% dell’intero portafoglio.

Più marcata la predisposizione finanziaria di Caltagirone, che ormai trae più ricchezza dagli investimenti che non dalle attività industriali. Ormai chiamarlo, come fanno le cronache, l’immobiliarista o il re del cemento romano appare sempre più fuori luogo e datato. Basti pensare che le attività cosiddette industriali, da Cementir a Vianini a Caltagirone editore, riunite sotto la Caltagirone Spa presentano ricavi per poco più di 2 miliardi con un utile di 260 milioni. Business in salute e interessante, ma lontani mille miglia dai guadagni del Caltagirone scalatore di borsa.

Fonte: Milano Finanza

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