21 Novembre 2023
Il MEF ha ceduto il 25% di Mps per 920 milioni di euro a investitori istituzionali, attraverso l'operazione di Accelerated Book Building lanciata poche ore fa, scendendo dal 64,2% al 39,2% del capitale. A fronte della domanda raccolta, dopo aver registrato una domanda di cinque volte superiore all’offerta, l'offerta è stata aumentata dal 20% al 25% del capitale, per un totale di 315 milioni di azioni ordinarie. L’operazione è stata affidata ad un consorzio costituito da Bank of America, Jefferies e Ubs.
Il corrispettivo per azione è pari a € 2,92 per un controvalore complessivo pari a circa € 920 milioni. Il corrispettivo incorpora uno sconto pari al 4,9% rispetto al prezzo di chiusura delle azioni della Banca registrato in data 20 novembre 2023 ed è superiore di quasi il 50% rispetto al prezzo di sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale della Banca realizzato nel novembre 2022.
Il Tesoro così perde il controllo di diritto del Monte, nel cui azionariato cresce il peso degli investitori istituzionali e dei grandi fondi.
In una nota del Mef si legge che l'operazione è stata fatta “con l'obiettivo di promuovere il collocamento delle suddette azioni presso investitori qualificati in Italia e investitori istituzionali esteri" e che "rappresenta la prima fase del più ampio processo che porterà il Mef a valorizzare pienamente la banca, nell'interesse della stessa e di tutti gli stakeholders, nel contesto del solido quadro patrimoniale e reddituale”.
A fronte dell'ampia domanda raccolta pari a oltre 5 volte l'ammontare iniziale, l'offerta è stata incrementata dal 20% al 25% del capitale sociale di BMPS.
Il MEF si è impegnato con i Joint Global Coordinators e Joint Bookrunners a non vendere sul mercato ulteriori azioni BMPS per un periodo di 90 giorni. Il regolamento dell’Operazione avverrà il prossimo 23 novembre 2023.
All'inizio del mese di ottobre il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha dichiarato: “Il Tesoro uscirà dal Monte dei Paschi di Siena quando il prezzo e le condizioni di mercato saranno congrue. Usciremo quando è opportuno uscire, realizzando anche un obiettivo di sistemazione del sistema bancario italiano. Non c'è una data specifica, dipende semplicemente dalle opportunità del momento in cui farlo”.
La mossa del Tesoro cavalca un momento felice per il Monte, reduce da 9 mesi chiusi con 929 milioni di utili, grazie al lavoro di ristrutturazione dell'amministratore delegato Luigi Lovaglio. La banca è tornata a generare capitale, con dei ratio patrimoniali tra i più alti in Italia (Cet1 al 16,7%), e a essere redditizia, grazie al taglio dei costi, alla pulizia del portafoglio crediti dagli npl e al vento in poppa dei tassi, che ha fatto decollare il margine di interesse.
La vendita rappresenta anche un segnale forte all'indirizzo di Bruxelles sulla determinazione del Tesoro di rispettare l'impegno a privatizzare Siena entro la fine del 2024, termine entro il quale dovrebbe scadere la proroga concessa dall'Ue per dismettere la quota. Ma potrebbe anche servire da arma negoziale nel caso in cui il Mef avesse bisogno di più tempo per trovare un partner, considerato che al momento i candidati più quotati - Banco Bpm, Bper e Unicredit - sembrano tutti, per una ragione o per l'altra, non volersi accasare a Siena.
Con la suddetta operazione di vendita si accende il risiko per gli acquirenti. Nell’elenco dei candidati troviamo in cima Unicredit, subito seguita da Banco Bpm e, infine, da Bper.
In particolare per Unicredit, la discesa del Mef nel capitale di Monte dei Paschi di Siena fa aumentare la desiderabilità dell’istituto e rende plausibile una conseguente operazione di mercato.
Non solo, si apre anche l’interessamento straniero da parte di istituti esteri che hanno intenzione di mettere le mani sulla banca italiana per espandere la propria presenza all’interno del Paese.
Nel caso in cui non dovessero esserci potenziali acquirenti interessati a rilevare Mps nel breve termine, si procederà al collocamento delle partecipazioni direttamente sul mercato.
Ciò che sembra certo è che gli istituti sopracitati, quali Unicredit, Bpm e Bper, hanno mostrato una certa reticenza ad un’eventuale ipotesi di aggregazione, desiderata dal Governo Meloni.
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