02 Dicembre 2021
Tasse (foto Pixabay)
Oramai è noto ai più che gli strumenti di cui dispone l’Amministrazione finanziaria per controllare i contribuenti sono tra i più sofisticati al mondo. Una mole impressionante di dati che i sistemi informatizzati verificano, controllano e incrociano, per accertare la loro veridicità e congruenza.
Chi dichiara e non paga, prima o poi (oggi sempre più prima che poi), verrà attinto da un avviso bonario – un invito a pagare, con una sanzione ridotta al minimo – o da un atto esattivo. Chi non dichiara, prima o poi, riceverà un accertamento. Il debito tributario, per semplicità espositiva, viene iscritto nei ruoli (ordinari e speciali) e poi notificato al contribuente. Un complesso meccanismo nel quale giocano un ruolo dirimente l’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia delle Entrate Riscossione, l’INPS e la SCCI (Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS) e, una versione “amichevole” – almeno secondo gli originari e forse apparenti intenti del legislatore che l’ha rinominata e diversamente agghindata – della temuta Equitalia.
Come tutti i meccanismi, anche quelli più complessi possono incontrare qualche problema di funzionamento.
Tra le tante anomalie, nel mastodontico impianto esattivo, può accadere che un atto (una cartella di pagamento o un avviso di addebito) non venga notificato correttamente al contribuente, che dunque potrebbe non sapere di aver commesso un errore, o per contro che l’errore sia stato commesso a monte da uno dei predetti Enti.
La notifica di un atto della riscossione (esattamente come quello dell’accertamento) è un momento fondamentale, perché è attraverso quest’attività il contribuente scopre di essere debitore verso lo Stato. In un limitato lasso temporale, il contribuente è chiamato a prendere una decisione: pagare o reagire, proponendo ricorso.
Può tuttavia accadere (e ciò avviene molto spesso) che la notifica non si perfezioni e che il contribuente abbia modo di conoscere l’esistenza di quel debito, solo casualmente. Tutte le volte in cui si verifica questa ipotesi, al contribuente è (almeno fino ad oggi) consentito di impugnare l’estratto di ruolo, facendo così valere quel diritto che avrebbe potuto esercitare se la notifica fosse stata compiuta correttamente.
Con la Conversione in legge del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili, questo diritto non potrà più essere esercitato. Nell’emendamento contenuto all’art. 3 del Fascicolo emendamenti n. 1 al DDL 2.426. Si legge, infatti, testualmente: “L'estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dalla iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto (…) o, infine, per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione …”.
Il Consiglio Nazionale Forense, con nota del 2 Dicembre 2021, rivolgendosi al Presidente del Senato, al Presidente della Commissione Finanze ed al Presidente della Commissione Lavoro Pubblico e Privato e Previdenza sociale del Senato, ha chiesto a gran voce di ritirare l’emendamento, dopo l’inascoltato comunicato UNCAT (Unione Nazionale Camera Avvocati Tributaristi) del 25/11/2021. Si tratta di una norma che, evidentemente, limita i diritti del contribuente e viola i principi espressi a più riprese dalla Suprema Corte, anche a Sezioni Unite.
Di Andrea Migliavacca
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