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Le collezioni d'arte di Agnelli e Berlusconi accomunate dall'annosa incredibile dimenticanza dell'arte moderna

La collezione del Cavaliere ammonta a circa  24.000 opere ed è stata considerata di scarsa qualità da diversi esperti. Eppure é costata 20 milioni di euro mentre quella dell'Avvocato, ancora da definire, sui 400 milioni, ma non si sa dove sia finita. C’è il rischio che una fetta consistente del patrimonio moderno italiano vada perduto

02 Novembre 2023

Le collezioni d'arte Agnelli e Berlusconi accomunate dall'annosa incredibile dimenticanza dell'arte moderna

Berlusconi e Agnelli, fonte: imagoeconomica

Nel campo del collezionismo d’arte Silvio Berlusconi (Milano, 1936 – Milano, 2023) sembra in parte assomigliare a Gianni  Agnelli (Torino, 1921 – Torino,  2003) ma il suo coinvolgimento in politica ricorda forse piú Giulio Andreotti (Roma, 1919 – Roma, 2013).  Tre grandi accumulatori di opere d'arte le cui collezioni alla luce di nuovi fatti, non si sa che fine abbiano fatto, di che si tratti, cosa farne.  Enigmi di cui si fa fatica a immaginare una soluzione nel caotico contesto italiano che invece, da un punto di vista amministrativo e politico, é obbligato a rispondere. Parliamo di tre modus operandi diversi: Andreotti  non aveva un compulsivo istinto ad acquistare a piccoli mercanti o direttamente all'artista, come Berlusconi, ma da buon politico accontentava quasi a mo’ di beneficenza chi,  citofonandogli a casa, lo pregava di acquistare dei quadrucci. Opere quindi che rientrano più in quel settore difficilmente identificabile dell’antropologia anziché dell’estetica, orientativamente naif o di scarsa qualità, se non dilettantesca. Una collezione di cui non si sa niente in effetti e di cui si sono perse le tracce, eppure ci chiediamo:  perché i presidenti del consiglio italiani devono cadere nell'oblio?

Qualcosa di dilettantesco è contenuto anche  nella collezione Berlusconi che sembrerebbe molto di più: si tratta di 25.000 quadri comprati -si narra- tramite aste in tv ma anche costituita da doni e cimeli accumulati in anni di politica. E da qui che partono le fantasiose ricostruzioni giornalistiche, poco specialistiche, secondo cui sarebbe 'incredibile' il costo di 800.000 € l'anno per l'affitto “dell'hangar che contiene l'intera collezione e che i tarli stiano distruggendo le opere”;  desta stupore il fatto che si parli di un Berlusconi intento a comprare in 'aste televisive in notti insonni' forse facendo confusione con le televendite di cui si occupavano le reti Fininvest: nulla a che vedere con le opere d’arte, diverse dai set di pentole. Addirittura viene riportato che i figli vogliano 'liberarsene' (“Quei quadri sono da buttare”. Un fardello per la famiglia la pinacoteca di Berlusconi" di Michele Lauria in Repubblica, 19/10/23) -intenzione poi smentita dai figli mezzo stampa- e che il sottosegretario Vittorio Sgarbi -ora al centro di qualche polemica per le sue attività professionali- avrebbe dichiarato che anche un falò non sarebbe stata una cattiva idea, come suggerito sul quotidiano Il Foglio: "Ce ne saranno solo sei o sette interessanti. Un falò? Non sarebbe un delitto". 

Si, molti quadri saranno del tipo riscontrabile in quello che abbiamo definito, come per Andreotti, gusto demo-etnoantropologico, costituito migliaia di regali e feticci.  Ma in numerose trasmissioni televisive, Berlusconi aveva mostrato anche opere del Rinascimento, del Settecento e della modernitá appese nelle sue residenze, che rappresenterebbero pur sempre l’interesse di un collezionista superiore alla media: ciò non sorprende, se per anni Berlusconi è stato considerato il più importante imprenditore italiano. Declassare una collezione del genere a puro folklore sarebbe assurdo.

Nel caso di Agnelli invece abbiamo una collezione che si stima comprenda una grande fetta dell’eredità dell’Avvocato,  secondo lo scrittore Moncalvo (Gigi Moncalvo, “Agnelli Coltelli”, ed. Vallecchi, Firenze, 2023) che ammonta a diversi miliardi di euro finiti in Svizzera all’oscuro del fisco italiano.  Per la collezione dell’ex proprietario della Fiat ci sarebbe un vero e proprio giallo: mancherebbero all’appello ben 636 opere, tra cui tele di Picasso, Monet, ma anche opere di De Chirico (in foto), Giacomo Balla e molti altri. Quindi parliamo di opere che potrebbero da sole tener in piedi un museo a Parigi o a New York, figuriamoci in Italia, povera di patrimoni d’arte moderna. lI pezzo più pregiato di cui si disconosce la collocazione, forse estera -secondo le cronache giornalistiche- è l'Arlecchino' di Picasso,  (sui 50-100 milioni di euro), c'è poi un Monet del 1894, anch’esso battuto all’asta da Sotheby's per 16 milioni sempre a New york nel 2013, ormai espatriato. Durante la trasmissione del 15 ottobre scorso nella trasmissione televisiva  Report, un funzionario della soprintendenza di Torino, reso irriconoscibile, ha testimoniato che: "La collezione Agnelli per noi è sempre stata una no-fly zone", mentre un soprintendente, ora in pensione, ha risposto alla sollecitazioni dicendo: "Non ho memoria di nulla che riguardi la collezione Agnelli". 

In soldoni l’eredità di arte moderna di Gianni Agnelli è andata si, agli eredi, ma poi finita altrove anche se vincolata: l’Italia ha forse così già perso un patrimonio di enorme valore. Ma chi doveva controllare, legiferare, dibattere, acquisire?

L’impressione è che non siamo abituati alla tutela del patrimonio moderno, visto che negli ultimi 30 anni almeno, sono state fatte leggi a difesa del patrimonio archeologico, forse sull’onda di vari scandali spesso strumentali, sull’incuria di Pompei o altri siti di vasta portata ambientale, fino ad obbligare ciascuno dei comuni italiani ad avere almeno un ‘antiquarium’, che necessita di una direzione e di una catalogazione; che ha assunto da qualche anno una funzione permanente ancor piú delle biblioteche considerate facoltative.

Nel frattempo ci si è dimenticati di tutelare quel patrimonio che al pari di quello archeologico necessita di politiche adeguate, apertura di spazi, acquisizione di collezioni, progetti architettonici al passo coi tempi. E oggi lo scandalo della collezione Agnelli ne é la prova. Incapacità anche di riconoscere la propria storia, come nel caso della collezione Berlusconi.

Di Davide Tedeschini.

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