30 Settembre 2025
L'export di armi italiane verso Israele è calato drasticamente: si è passati dai 5,8 milioni di euro del 2024 ai 158 mila euro dei primi sei mesi del 2025. Un elemento che sembra positivo e che porterebbe lo Stivale ad allontanarsi, non solo a parole, dal genocidio dei palestinesi a Gaza. Ma, guardando meglio, ci si accorge che non è così: è aumentata la vendita di beni "dual use", ossia prodotti che non sono nati come bellici, ma che potrebbero essere utilizzati comunque, come acciaio, software e composti chimici.
L’Italia oggi dichiara di vendere “pochissime” armi a Israele. Secondo i dati Istat, da gennaio a giugno 2025 l’export di armamenti veri e propri è stato di appena 158 mila euro, con mesi – come aprile e giugno – in cui la cifra si è azzerata. Nel 2024, già con il genocidio in corso, il valore era stato di circa 5,8 milioni di euro, contro i 31,6 milioni del 2021, quando la Striscia di Gaza non era ancora devastata dall’attuale offensiva.
Lo stop è stato giustificato dalla legge 185/1990, che vieta l’invio di armi a Paesi in conflitto armato o che violino le convenzioni internazionali. La premier Giorgia Meloni ha sottolineato che anche i contratti già firmati prima del 2023 sono stati valutati “caso per caso” per evitare un utilizzo diretto nei massacri in corso a Gaza.
Ma questa riduzione, salutata come un atto di responsabilità, cela un’enorme contraddizione: il commercio dei cosiddetti prodotti “dual use” – materie prime e tecnologie con usi civili ma anche militari – non si è mai fermato. Tra questi, composti chimici per la produzione di esplosivi, acciaio per veicoli militari, software per droni. Solo nel comparto chimico, l’Italia ha venduto a Israele quasi 20 miliardi di euro di prodotti negli ultimi anni, materiali che possono alimentare direttamente l’industria bellica israeliana.
Mentre l’export ufficiale cala, le importazioni dall’apparato militare-industriale israeliano verso l’Italia crescono vertiginosamente: nel 2024 hanno raggiunto 154,9 milioni di euro, il 20,8% del totale, contro i 31 milioni del 2023. Israele diventa così secondo fornitore di armamenti per Roma.
Il risultato è un paradosso che pesa sulla credibilità del nostro Paese: da un lato si proclama neutralità e rispetto della pace, dall’altro si continuano a nutrire le industrie che alimentano la guerra. Intanto, a Gaza, decine di migliaia di civili restano sotto le bombe.
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