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Di cosa è morto Massimo Cotto? Più si glissa e più si sospetta, ma l’omertà sulle possibili reazioni avverse non è più lecita

Un giornalista molto noto, molto esposto, scompare e come sempre nessuno chiede niente, tutti si rifugiano nel coccodrillo sentimentale: no, non è più sostenibile, a questo punto occorre chiarezza

02 Agosto 2024

Massimo Cotto

Massimo Cotto era un giornalista dello spettacolo, giornalista promotore di se stesso, di quelli che, partiti dai giornali musicali di nicchia, riescono a salire di grado, a diffondersi dappertutto, radio, premio Tenco, teatro, Sanremo, eccetera. Invidiato, mormorato come tutti quelli emersi grazie a plurimi talenti tra cui quello di sapersi muovere. Su questo non potrei dire niente, mai incontrato anche se condividevo l’origine, il “Mucchio Selvaggio” che di giornalisti o presunti tali in 40 anni ne ha sfornati tanti prima di affondare nelle sabbie mobili delle sue disinvolture gestionali e finanziarie. Altra storia, la cronaca oggi dice che Cotto è morto a 62 anni più o meno improvvisamente. Più o meno, perché la notizia della morte era uscita una settimana fa, salvo smentita seguita da conferma. Cotto versava da giorni in stato vegetativo, era questione di ore. Ho girato le fonti, le testate: come al solito, vigliacco se son riuscito a capire di che è stato stroncato questo collega caledoscopico, dalla vitalità professionale inesausta. Le formule sono alla vasellina, “breve malattia”, “evento traumatico”, e l’immancabile “malore improvviso”. Dagli scarnissimi elementi trapelati, pare si sia accasciato ai primi di luglio in casa sua entrando in coma per discendere, irreversibilmente, verso la fine. Malore improvviso ma, soprattutto, atipico, inspiegabile. Difatti a spiegarlo neanche ci provano. Cordoglio, costernazione, gli amici più o meno vip, i colleghi più o meno vip, le lettere, i baci, i fai buon viaggio, che la terra ti sia lieve, la fiera della banalità funeraria che Dio almeno scampami quella quando toccherà a me, se mai qualcuno ci farà caso (non credo). Cotto era personaggio sovraesposto, uno che “comunicava”, che informava e intratteneva ed è paradossale, anche se nell’ordine delle cose di questa informazione tartufesca, che della sua fine non si sappia praticamente niente. Io invece vorrei fosse notiziato, a questo punto per obbligo, deontologico ma inderogabile, quanto segue: lo stato di salute generale del vip improvvisamente stroncato, se avesse avuto patologie pregresse, se avesse mai sofferto di problemi cardiaci, se avesse patito avvisaglie, e, dulcis in fundo, quante dosi di vaccino si era fatto. Perché su questo ci sono pochi dubbi anche se l’informazione, more solito, glissa.

Solo che a forza di glissare si è finiti nella glassa della censura: i casi di morti improvvise, non spiegate, glissate, sono centinaia di migliaia, ripeto: centinaia – di – migliaia, e se questo a voi pare normale, se all’informazione delle tre scimmiette pare normale, allora è inutile stare qui a parlare: non è più informazione, è la società del controllo di Deleuze, un controllo fondato sull’omertà. Talmente tante, queste morti folgoranti, che nessuno più si azzarda a rubricarle nella normalità storica, “è sempre successo”. Mettici i casi di malattie fulminanti, mettici quelle che nascono imprevedibilmente croniche, e ottieni un quadro catastrofico, da olocausto. Ultimo caso, fino a domani, quello della diva dei reality, la modella Hailey Merkt che cede a 31 anni, ridotta in tre, quattro settimane da giovane radiosa a pianta essiccata da una “turboleucemia”.

Non credo proprio di essere l’unico, anzi, come diceva la canzoncina, “sarà capitato anche a voi” di imbattervi continuamente, ossessivamente, in interlocutori che o si sono ammalati loro o accusano un decesso quando non sterminio familiare. Non esiste nucleo che non sia stato raggiunto, travolto da questa curiosa ordalia per cui parenti o amici ti volano via falciati, e fino a un mese o un minuto prima scoppiavano di vita, di forza, di normalità. Ed è davvero incredibile, è inverecondo che l’informazione ballerina non si accorga di tutto questo ovvero lo dirotti per le cause più improbabili e offensive per l’intelligenza, dai cambiamenti climatici agli stili di vita al destino cinico e baro. Credo che, dopo anni di questo abominio, avremmo il diritto, e l’informazione certificata il dovere, di specificare almeno l’esistenza e l’incidenza delle dosi vaccinali assunte dalla vittima di turno: poi si potrà discutere, ci si potrà confrontare sull’esistenza o meno degli effetti avversi, possibilmente a termini di scienza, non di esoterismo o di superstizione o di tuttologia da slot machine. Ma una cosa è certa, questo continuare a glissare, ad ignorare l’esistenza di correlazioni che il mondo ammette, salvo l’Italia, non fa che confermarle. Non pretendo che tutti si regolino come il sottoscritto il quale, da personaggio a sua volta esposto, non ha esitato a ipotizzare un nesso tra le dosi assunte nel 2021 e il linfoma scoperto due anni dopo (nesso, peraltro, confermatomi da plurimi oncologi ed esperti). Basterebbe il beneficio del dubbio, che in salute come nell’informazione dovrebbe essere eticamente e deontologicamente doveroso. Se si pensa che a riconoscere un rapporto di causa effetto sono ormai non solo gli scienziati, non solo le povere vittime che nessuno ascolta, ma per primi i produttori di queste mele avvelenate. E l’informazione che fa? Fa finta di niente, si rifugia nel coccodrillo sentimentale per il vip di turno? No, non ci sta bene.

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