26 Gennaio 2023
Pamela Mastropiero e Innocent Oseghale
Dove non basta lo splatter ci pensa la Giustizia. No, non bastava che Pamela Mastropiero, la giovane sbandata in fuga da una comunità di recupero del Maceratese, venisse intercettata da una cosca di spacciatori nigeriani che l'avrebbero ammazzata, fatta a pezzi e lasciata in un trolley. Adesso si sta anche a disquisire se il principale responsabile dello scempio, Innocent Oseghale, meriti o meno l'ergastolo che gli era stato comminato in primo grado: eh no, bisogna vedere, se prima l'ha violentata sì, altrimenti quella condanna gli va tolta e merita massimo trent'anni. Di questo si discute in corte d'Assise d'Appello a Perugia, per una di quelle ordinarie follie cui siamo ormai abituati. La distinzione è cavillosa ma sostanziale: con l'ergastolo, anche se ormai nessuno lo subisce più davvero, certi tempi si allungano, coi 30 anni entro cinque o sei anni sei fuori coi primi permessi.
Non basta che la giovane Pamela, ricoverata da Roma e fuggita dalla comunità, dopo un paio d'incontri sbagliati, un tassista con pochi scrupoli, un notorio spostato dell'entroterra, caschi nelle grinfie di un giro di farabutti nigeriani che la prendono, le danno l'eroina, poi chissà cosa succede e una volta uccisa la smembrano; non basta che li sentano nelle intercettazioni mentre vanno oltre ogni limite, “ma non era meglio se la mangiavi?”; no, la faccenda decisiva sarebbe, per la procedura giuridica, capire se prima ci sia stata penetrazione e, in caso, a quale livello di mancato consenso. La prova del diavolo! Nel nome del garantismo dei mostri, dei necrofili e dei maniaci da internamento. Cosa cambia ai fini della verità? In cosa sarebbe diversa la sostanza se ci fosse stata o meno la violenza, in questa storia dove tutto, dove ogni momento è violenza? Già in due l'hanno fatta franca, pene residue per spaccio e tante scuse: subito spariti, ossia ancora operativi nel fingere di non sapere generale. Resta il principale condannato, che è tronfio, ha capito alla svelta che in Italia più sei arrogante e cialtrone anche nell'efferatezza e più la scampi o almeno limiti i danni.
C'è un senso del garantismo che via via si è perso, imbastardito come quello del perdono: una miseria da recitare, uno strumento per l'impunità, da applicare per pura libidine del formalismo, quasi per vedere, si direbbe, dove si riesce ad arrivare nello scempio della giustizia e dell'equità. L'Occidente è vittima di un cupio dissolvi che non lascia niente a cominciare dalla umana dignità. Davvero un omicidia che ha vilipeso un cadavere che non ha fatto in tempo a mangiarsi ha diritto a evitare l'ergastolo nella improbabile ipotesi che non abbia infierito sessualmente sul corpo, vivo ancora, agonizzante o già inanimato? La madre di Pamela si è presentata in aula con una maglietta con i pezzi della figlia, anche questa una trovata discutibile che non si riesce bene a capire se figlia dell'esasperazione, della follia del dolore, della provocazione più o meno lucida o di quel demone dell'esibizionismo che ormai non fa prigionieri, che prende tutti, vittime, carnefici, parenti, amici, concessionari di automobili. L'importante è esagerare, come cantava Enzo Jannacci. Che un collegio giudicante si lasci influenzare da simili trovate è fuori discussione, ma forse non era questo lo scopo; dice la madre, Alessandra Verni in questo paese per una pacca sul culo ci si rovina la vita e poi si fa un processo per capire se si debba eliminare un ergastolo a uno che ha infierito su un corpo oltre ogni ferocia. Ma i garantisti sofisticati le rispondono: ih, qualunquista, populista, assetata di vendetta.
Certo non sarebbe male recuperare un senso del garantismo in favore di chi ha subito l'atrocità, non sempre solo per chi l'ha perpetuata. Sembrano aspetti secondari, desolatamente tecnici, invece contribuiscono per loro parte ad una crisi dell'Occidente che sembra definitivamente incapace ad applicare le categorie di umanità, di giustizia compiuta, di severità sociale, di buon senso o, se si preferisce, di senso della realtà. Qui si parla molto, si agisce poco e male e puntualmente in favore dell'orrore. Se, come è probabile, il signor Oseghale, dalla Nigeria, dovesse cavarsela con una pena a 30 anni, 4 dei quali già scontati, con ravvicinata fruizione degli sconti di pena previsti dalla legislazione garantista, cosa dovremo concludere? Che lo stato ha fatto il suo dovere nell'interesse dei cittadini? Se i maceratesi dovessero ritrovarselo davanti a spacciare ai loro figli o a puntare le loro figlie, per violentarsele, per mangiarsele, dovranno essere contenti perché il garantismo ha trionfato? Perché conviene soffocare la vicenda un po' torbida per cui questo e i suoi compari erano ospiti in un centro di accoglienza della città, contiguo al PD, senza controlli e senza altra occupazione che lo spaccio alla luce del sole? A volte si è tentati di sospettare che il senso di certo garantismo a sfondo maniacale sia proprio questo, chiuderla sul nascere con certe domande sgradevoli quanto a ONG, accoglienze, latitanza dei pubblici poteri, corresponsabilità di politica e clero, irresponsabilità generale. La giovane Pamela è stata distrutta e annientata non una baracca ma in un appartamento signorile di un palazzo residenziale di Macerata. Chi glieli dava i soldi per l'affitto a Oseghale, che in più non lavorava e manteneva una italiana con cui era legato? “Sono una vittima, sono un oppresso” ha dichiarato lui lasciando l'aula con fastidio e magari con sdegno. Manca solo che si definisca prigioniero politico o magari bersaglio dei razzisti. Ma ci arriveremo, vedrete. Ai tempi, quando il balordo Luca Traini (che sta scontando 12 anni) mise in atto un allucinante tiro al bersaglio ai neri di Macerata, ferendone sei, PD, centri sociali e la stessa chiesa si scatenarono nel chiederne la testa. Giustamente. Ma nessuno disse una sola parola per la giovane Pamela e sui suoi macellai e aspiranti cannibali.
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