09 Agosto 2025
Condominio (Pixabay)
Il condominio non è solo un luogo fisico, né una semplice soluzione abitativa: è un dispositivo narrativo, un crocevia di vite, una macchina sociale che costringe all'incontro, alla tolleranza, al conflitto. Nella cultura italiana, dove la prossimità è da sempre al centro delle dinamiche familiari e sociali, il condominio ha assunto nel tempo una valenza simbolica che lo rende protagonista di numerose opere teatrali, film e serie televisive.
Nell’immaginario italiano il condominio è l’arena del confronto quotidiano: qui si gioca la partita della convivenza, tra burocrazia spicciola e drammi personali. Un microcosmo che riflette, amplifica e mette in discussione la società intera. Nel grande racconto dell’abitare italiano, il condominio non è soltanto un luogo fisico, ma un teatro permanente delle relazioni umane. È lo scenario di storie quotidiane, piccoli drammi, convivenze forzate e solidarietà inattese.
Cinema, teatro e televisione lo hanno scelto più volte come spazio narrativo d’elezione: dal palazzo popolare napoletano di Eduardo De Filippo alla Garbatella de I Cesaroni, passando per le grottesche assemblee condominiali raccontate dal cinema degli anni ’90. Attraverso muri sottili e pianerottoli affollati si riflette una intera società che - tra urla, silenzi e risate - continua ad interrogarsi su cosa significhi davvero “vivere insieme”.
Non si può parlare di condominio in chiave culturale senza partire da Eduardo De Filippo il quale ne ha fatto la scena ideale delle sue riflessioni sulla natura umana. In Questi fantasmi! (1945), il palazzo napoletano in cui si svolge l’azione è abitato da presenze che forse non esistono e, proprio per questo, rappresentano meglio di ogni altra cosa le illusioni, le aspettative e i fraintendimenti della vita condominiale. Eduardo coglie con precisione come il confine tra pubblico e privato, tra realtà e finzione, venga costantemente ridisegnato da chi abita “tra i muri”. Nel suo teatro, il condominio è teatro della vita nel senso più puro: luogo di maschere, di atti unici quotidiani, di drammaturgia spontanea. Lo spazio condiviso costringe alla rappresentazione continua, alla commedia e al dramma anche nei gesti più piccoli.
Negli anni '90 il cinema italiano ha riscoperto il condominio come contenitore ideale per raccontare l’Italia urbana, multietnica e contraddittoria. In Condominio (1991), Felice Farina mette in scena una palazzina romana del quartiere Prenestino, popolata da una varia umanità che incarna le tensioni, ma anche le potenzialità di una società in trasformazione. Qui il palazzo non è solo lo sfondo, ma il vero protagonista: con i suoi rumori, le sue regole non scritte, le sue occasioni mancate e i suoi atti di improvvisa solidarietà. La commedia si fa riflessione sociale, il sorriso diventa amaro, e la vita condominiale si trasforma in una metafora dell’Italia stessa.
Altrettanto significativa, sebbene con toni più farseschi, è Cose da pazzi (2005) di Paolo Costella. Il film gioca con il paradosso burocratico dell’amministrazione condominiale trasformando i dettagli più banali (le spese, le pulizie, le riparazioni) in detonatori di situazioni grottesche e rivelatrici. Si ride, ma si ride di noi stessi: delle nostre rigidità, dei nostri pregiudizi, del bisogno di controllo che si scontra con l’imprevedibilità dell’altro.
Nella serialità televisiva italiana, il condominio si è imposto come ambientazione stabile per la narrazione del quotidiano. A partire da I Cesaroni (2006-2014), ambientata nella popolare Garbatella romana, il palazzo diventa fulcro di una “famiglia allargata” fatta di amici, ex, vicini e negozianti. Il condominio non è più solo il contenitore: è la comunità, l’identità collettiva che unisce i personaggi e li fa crescere, cambiare, sbagliare, perdonare. Un approccio simile - anche se più sfumato - si ritrova in Un medico in famiglia (1998-2016), dove le dinamiche di convivenza, generazionali e familiari rimandano continuamente all’idea di uno spazio condiviso e vissuto come punto d’incontro e di scontro.
Più recentemente, anche i format semi-realistici come Casa a prima vista (Real Time, 2023-) sfruttano l’immaginario condominiale per evocare una Italia fatta di suoni familiari, portoni che cigolano, ascensori che non funzionano e interni tutti troppo simili ai nostri. È il ritorno di una estetica domestica e riconoscibile che rende il palazzo un luogo simbolico dell’“italianità abitativa”.
Forse nessuna scena è più rappresentativa dell’Italia condominiale dell’assemblea di condominio. Nella narrazione teatrale e cinematografica, questo momento è spesso caricato di tensione narrativa: vi si condensano nevrosi, rancori, pretese e deliri di onnipotenza. Ma vi si cela anche un paradossale desiderio di partecipazione, una richiesta d’ascolto. Il teatro contemporaneo ha spesso riletto l’assemblea come metafora della democrazia imperfetta. In opere satiriche e tragicomiche - come quelle di compagnie indipendenti che ritraggono la “guerra civile da pianerottolo” - l’amministratore diventa figura mitologica, il verbale uno strumento di potere, il regolamento condominiale una Bibbia arbitraria.
Ciò che emerge in tutte queste rappresentazioni è che il condominio è lo specchio dell’essere umano nella sua dimensione più fragile: quella della convivenza. Ogni parete che separa un appartamento da un altro è anche un confine tra culture, storie, solitudini. E ogni tanto, attraverso quelle pareti, qualcosa trapela: un gesto di gentilezza, una risata, un litigio che commuove, un silenzio che parla. Il condominio, nel racconto italiano, ci ricorda che vivere accanto non è vivere insieme, ma che tra questi due poli si gioca ogni giorno una partita autentica, fatta di tolleranza, compromessi e - a volte - affetto vero.
Nella stratificazione dei piani, delle voci e delle storie il condominio è una metafora architettonica della società italiana: caotica, ma vitale, imperfetta, ma ancora capace di empatia. Attraverso le sue rappresentazioni teatrali, cinematografiche e televisive, ci interroghiamo su chi siamo quando non possiamo evitarci. Su come ci raccontiamo - e su cosa scegliamo di nascondere - quando l’altro è a un solo muro di distanza. Che lo si veda dal cortile o dal tetto, il condominio resta una delle scene più autentiche del nostro vivere comune. Ed è forse per questo che, più di ogni altra ambientazione, continua a raccontare l’Italia a sé stessa.
Di Fulvio Pironti
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