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Gucci al vertice del primo Cultural Currency Index: quando la cultura diventa una valuta misurabile

17 Ottobre 2025

Cultural Currency Index™ Miah Sullivan

La moda parla sempre più la lingua dei dati. E oggi, per la prima volta, anche la cultura ha un indice che ne misura l’impatto economico. A guidare questa nuova frontiera è Gucci, che si posiziona al primo posto del Cultural Currency Index™ (CCI), il modello pionieristico che collega la risonanza culturale alle performance di mercato.

Il CCI, presentato a Milano da Annex, consultancy che connette cultura e commercio attraverso i dati, combina analisi culturale e strategia per aiutare i brand a comprendere, prevedere e attivare l’impatto economico delle proprie iniziative culturali. Co-fondata da Miah Sullivan, ex global CMO e veterana del fashion system — nasce da una collaborazione con WeArisma, piattaforma di intelligenza artificiale specializzata in creator e social intelligence.

L'evento, tenutosi presso il Ristorante Cracco in Galleria, ha ospitato manager, opinion leader, giornalisti del mondo fashion internazionale, che hanno potuto così approfondire direttamente la metodologia e i risultati dell'indice.

Quando la cultura si trasforma in valore misurabile

Frutto di due anni di ricerca, il CCI è il primo modello capace di tradurre la forza dell’engagement culturale in dati concreti: correlando attività social, ricerche online e traffico web con indicatori economici come la domanda dei consumatori e la performance azionaria.
Come CMO potevo misurare l’esposizione, ma non le sue conseguenze,” racconta Sullivan. “Con il Cultural Currency Index vogliamo colmare quel vuoto e offrire ai leader un indicatore chiaro del momento in cui l’energia culturale inizia a trasformarsi in trazione di business.

Miah Sullivan

La classifica: Gucci, Fendi e Bottega Veneta guidano il ritmo culturale

Il beta test ha analizzato venti maison protagoniste della Milano Fashion Week S/S 2026. Gucci domina la classifica, seguita da Fendi, Bottega Veneta, Prada e The Attico.
I dati, provenienti da undici piattaforme globali — da Instagram a TikTok, da Weibo a Google e Yahoo!Finance — sono stati organizzati su tre dimensioni chiave: brand involvement, brand popularity e purchase intent. Ogni marchio riceve un punteggio normalizzato (0–100) che consente un confronto trasversale tra stagioni e mercati.

A differenza dei tradizionali modelli basati sull’esposizione, il CCI adotta filtri statistici che riducono le distorsioni e restituiscono una visione più stabile della “brand momentum”. I primi risultati? Una correlazione positiva (r = 0.63) tra i punteggi dell’indice e la sovraperformance azionaria rispetto al mercato: un segnale chiaro che la fiducia degli investitori tende a seguire la scia della rilevanza culturale.

Il caso Gucci: engagement digitale e impatto economico

La presentazione digitale “The Tiger” di Gucci ha generato livelli eccezionali di engagement e ricerche online, confermando la forza del marchio nell’attivare conversazioni globali. Bottega Veneta ha mostrato un equilibrio solido tra i tre pilastri del modello, mentre Fendi ha brillato per la sua capacità di coinvolgere creator asiatici, dimostrando come una strategia culturale mirata possa tradursi in intenzione d’acquisto misurabile.

Verso una nuova metrica per il lusso

Il lancio milanese segna solo l’inizio: Annex prevede di ampliare il CCI includendo dataset aggiuntivi e una validazione accademica, con prossime edizioni dedicate alle settimane della moda di Parigi, New York e Shanghai.
Obiettivo: trasformare il CCI in un indicatore predittivo e non retrospettivo, capace di anticipare i trend di domanda e di orientare le decisioni strategiche di brand, investitori e buyer.

Sullivan lo definisce “un complemento, non un sostituto, dell’intuizione creativa”. In un’epoca in cui le decisioni strategiche si muovono tra arte e algoritmo, il CCI offre un linguaggio comune a marketer, creativi e CFO: una metrica trasparente per valutare come l’attenzione culturale si converta in performance di mercato.



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