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Vaccarono (Multiversity): “L'Italia deve colmare il ritardo nelle competenze digitali con formazione continua e innovativa tramite la tecnologia”

L’intervento di Fabio Vaccarono, Ceo di Multiversity: “Il mismatch tra domanda e offerta di competenze frena la crescita del Paese, il 40% dei lavoratori è impiegato in settori non correlati alla loro formazione”

28 Febbraio 2025

Fabio Vaccarono, Ceo di Multiversity, in occasione del Forum in Masseria a Saturnia, la quinta edizione della rassegna stampa economica e politica organizzata da Bruno Vespa con il supporto di Comin & Partners, ha dichiarato: 

Devo dire che, essendo ormai il primo gruppo di formazione, soprattutto universitario italiano. Mi sono permesso di portare qualche dato. Uno dei nostri atenei è Mercatorum, l'Università delle Camere di Commercio, e quindi ho estratto alcuni dati dal bollettino annuale del sistema informativo di Unioncamere.

Partiamo dai dati sul mismatch. Abbiamo osservato un aumento della difficoltà per le imprese nel reperire profili professionali adeguati nel 2004: il 48% delle assunzioni programmate nel sistema produttivo italiano ha incontrato difficoltà nel trovare i profili richiesti, con un incremento di tre punti percentuali rispetto al 2023. Un dato interessante è che il 40% dei lavoratori è impiegato in settori non correlati al percorso di formazione che hanno seguito. Lo skill mismatch è quindi uno degli elementi che attualmente frena la nostra crescita.

Un'istituzione come il Boston Consulting Group stima che, nel contesto italiano, il costo dello skill mismatch, cioè della disomogeneità tra le ricerche e l'offerta di lavoro, valga circa tre punti percentuali del PIL, con un costo annuale compreso tra i 40 e i 50 miliardi di euro all’anno. Il nostro Paese occupa il 34º posto nella classifica globale dello skill mismatch, dopo il Cile e la Malesia. C'è quindi una strada lunga e importante da percorrere.

Se mi metto un altro cappello, sono stato dieci anni in Google. Chiaramente, il mondo che ci si prospetta è molto più tecnologico rispetto a quello che abbiamo conosciuto fino a poco tempo fa. Il tema delle competenze digitali è molto dibattuto, ma forse non messo a fuoco nel modo giusto. Anche qui, un dato significativo: nel 2023, solo il 45% delle persone possiede competenze digitali di base, contro una media dell'Unione Europea che è 10-15 punti percentuali più alta. Per competenze digitali di base, intendo la capacità di operare con successo e naturalezza in un contesto lavorativo e produttivo sempre più digitalizzato.

Dico sempre che spesso si dimentica un dato importante: il giorno di Codogno, ovvero il 21 febbraio 2020, quando il Covid si conclamato in Italia, fino a quel momento, un nostro connazionale su quattro non era mai andato in rete. Va detto che grazie a Paesi come il Messico e la Colombia, l'Italia non è stata l'ultima nella classifica dei paesi OCSE. Quindi, strutturalmente, l'Italia ha un ritardo nello sviluppo di competenze tecnologiche e digitali. Abbiamo il tasso di istruiti terziari, chi ha conseguito un credito formativo post diploma più basso dell'Unione Europea, con l'unica eccezione della Romania. Tuttavia, la Romania produce tre volte più laureati in queste discipline scientifiche, tecnologiche e matematiche, rispetto all'Italia.

Tutti i temi sollevati nell'intervento precedente li condivido pienamente. Oggi, non solo dobbiamo formare queste persone e aiutarle a incrociare la domanda di nuovi lavori, ma dobbiamo anche mantenerle costantemente aggiornate. Si fa un gran parlare di "learning" e "upskilling", ma non c'è altro modo per risolvere un ritardo così generalizzato se non ricorrendo alla tecnologia e applicandola convintamente a tutti i processi formativi.

Il ruolo degli atenei digitali e della trasformazione digitale nel sistema della formazione superiore è assolutamente imprescindibile in un Paese dove ormai il 59% delle persone ha un'opinione positiva sull'intelligenza artificiale, ma con un mismatch interessante, l'Italia ha mostrato una certa resilienza. Infatti, siamo la seconda potenza manifatturiera in Europa, dopo la Germania, con oltre 4 milioni di piccole e medie imprese. Tuttavia, il medio-piccolo imprenditore ha maggiori difficoltà ad adottare innovazioni tecnologiche. Attualmente, l'81% delle grandi aziende italiane ha avviato progetti di intelligenza artificiale, mentre solo il 15% delle medie e piccole imprese lo ha fatto.

Uno dei temi legati al ritardo in termini di competenze e skill in Italia è proprio la natura del nostro tessuto produttivo, che fino a poco tempo fa era protetto da un ambito competitivo geograficamente più delimitato. Ma in un mondo in cui siamo collegati globalmente, con sei miliardi di persone a portata di click, abbiamo il dovere di accelerare e colmare questo ritardo. Se non lo facciamo, rischiamo di trovarci in una sorta di "bimotore al contrario". Ritardo nella digitalizzazione, ritardo nella formazione delle competenze: sono questi i problemi che dobbiamo affrontare.

Nel mio ruolo nell’azienda precedente, abbiamo visto che non c'è accelerazione della crescita di un Paese senza un'accelerazione della digitalizzazione del suo sistema educativo. Il ritardo è talmente grande che non possiamo che rispondere a questo bisogno di formazione continua e innovativa attraverso strumenti tecnologici.”

 

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