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Cina bacchetta Israele su Gaza, il ministro Wang Yi: "Guerra nella Striscia una vergogna per la civiltà, stop all'occupazione - VIDEO

Il massimo diplomatico cinese non fa sconti e chiede il riconoscimento internazionale dello Stato palestinese

07 Marzo 2024

Ha parlato di "aggressione israeliana" e di "guerra a Gaza come vergogna della civiltà". Parole, quelle del ministro degli esteri cinese Wang Yi dette durante il 14° Congresso nazionale del popolo (NPC) a Pechino, non proprio a caso: molto indicative e che mirano a condannare l’aggressione di Tel Aviv contro i civili di Gaza. L'auspicio di Wang Yi inoltre è che la Palestina entri di diritto nelle Nazioni Unite e per farlo ha intimato alcuni membri del Consiglio di Sicurezza (tra cui gli Stati Uniti) "a non creare ostacoli".
La Cina dall’inizio del sanguinosa disputa ha proposto subito un cessate il fuoco immediato e ha chiesto a Israele di rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite che in larga parte condannano l’occupazione nei territori di pertinenza palestinese.

Wang Yi e la tradizione cinese a supporto della Palestina

La forte presa di posizione del maggior diplomatico cinese si colloca in un contesto storicamente favorevole alla nascita dello Stato palestinese. Le relazioni bilaterali tra il Dragone e la Palestina sono state sempre ottime: il supporto alla causa palestinese è sempre stato visto da Pechino come fondamentale per ostacolare l'influenza dei Paesi occidentali in Medio Oriente (Israele è per la Cina un avamposto occidentale vero e proprio). Lo stesso fondatore della Cina comunista, Mao Zedong, definiva la presenza militare israeliana come la massima espressione dell’imperialismo a trazione statunitense. Dunque, non c’è niente di atipico nelle parole della diplomazia attuale sul conflitto in corso: la Cina ha riconosciuto per la prima volta la Palestina nel 1988, ma i rapporti tra le parti risalivano già al 1965, anno in cui tra l’altro l’OLP aprì il suo primo ufficio di rappresentanza a Pechino, convertito poi in vera e propria ambasciata.
Se all'inizio il supporto cinese a favore di Yasser Arafat e degli altri leader fu evidente, nel corso degli anni e dopo la sua emersione definitiva come seconda potenza globale alle spalle degli Stati Uniti, Pechino ha leggermente raffreddato i suoi rapporti con Ramallah: pur continuando a sottolineare la sacralità della lotta dei palestinesi, oggi la Cina si pone in modo meno netto. Anche perché, soprattutto per via dello sviluppo della Belt and Road Iniziative, ha dovuto per forza di cose sviluppare relazioni commerciali con Israele, che rimane la potenza con cui fare i conti in MO: tra Tel Aviv e Pechino i rapporti sul piano economico sono fruttuosi ed evidenziano la volontà che ha la Cina di sviluppare le proprie infrastrutture senza mettere in mezzo questioni politiche. Con l'arrivo dell'attuale presidente Xi Jinping le relazioni sino-israeliane sono migliorate e dal 7 ottobre, nonostante come detto la Cina sia intervenuta a gamba tesa contro Israele, non ha mai condannato gli attacchi di Hamas e designato tale organizzazione come terroristica (come hanno fatto quasi tutti i paesi occidentali). Un segnale evidente del modus operandi della diplomazia cinese che si muove tra mediazione e sviluppo bilaterale.

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