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De Felice (Intesa Sanpaolo): "Rischio guerra finanziaria dagli USA; inflazione boomerang, Trump verso toni più concilianti"

Gregorio De Felice, Chief Economist e Responsabile Research Department di Intesa Sanpaolo, ha dichiarato: "Segnali di distensione sui dazi e crescita dell'1% annuo dal 2026, ma il 2025 sarà ancora interlocutorio"

21 Maggio 2025

Gregorio De Felice, Chief Economist e Responsabile Research Department di Intesa Sanpaolo, in occasione del 107° Rapporto Analisi dei Settori Industriali "Protezionismo e Sfide Globali: quali impatti per l'industria italiana?" ha dichiarato.

C'è anche un altro rischio oltre i dazi, ossia quello del debito americano che potrebbe andare fuori controllo. Cosa ne pensa?

"Il grande rischio di questa situazione è quello di avere non solo una guerra commerciale, ma anche una guerra finanziaria. Per questo l'amministrazione deve essere prudente nella politica fiscale espansiva e non può contare su un forte supporto da parte della Federal Reserve, sia con tassi più bassi che con forti acquisti di titoli di Stato. Pertanto, credo che darà una mano la supervisione bancaria, il cambiamento nelle regole per quanto riguarda le banche, con la possibilità, riducendo i coefficienti patrimoniali, che le banche americane possano acquistare ancora di più Treasuries su tutte le scadenze, in particolare su quelle lunghe perché avvantaggiate come classe di attività dove non c'è un coefficiente di capitale importante, però questo crea una bella discriminante nei confronti dell'Europa, perché in Europa combattiamo il cosiddetto doom loop, cioè il doppio rischio di avere il rischio del debito sovrano e il rischio bancario. Quindi si sta facendo di tutto in Europa per togliere per ridurre il portafoglio titoli nei nei nei nella pancia delle banche e negli Stati Uniti facciamo il contrario. E una delle contraddizioni del mondo in cui viviamo."

Può riassumere brevemente i punti salienti di oggi?

"Il rapporto sui settori fornisce una visione fino al 2029 in un contesto particolarmente incerto. L'incertezza deriva principalmente dalla politica commerciale degli Stati Uniti, anche se si iniziano a intravedere segnali di distensione. Si pensi, ad esempio, all’accordo con la Cina che prevede 90 giorni di dazi al 30%, all’intesa raggiunta con il Regno Unito e alla sospensione, sempre per 90 giorni, dei dazi con 57 Paesi, tra cui l’Italia e l’Unione Europea. Perché questo clima di cauto ottimismo? Perché ritengo che l’amministrazione americana sia ben consapevole del rischio di un effetto boomerang sulla propria economia: una minore crescita e una maggiore inflazione. E l’inflazione è una variabile alla quale gli americani sono estremamente sensibili. Trump ha vinto proprio perché l’elettorato ha ritenuto Biden incapace di contrastare efficacemente l’aumento dei prezzi. Se ora Trump dovesse favorire un ritorno dell’inflazione verso l’alto, metterebbe seriamente a rischio il risultato delle elezioni di midterm previste per novembre 2026. Per questo motivo, mi aspetto un atteggiamento più conciliante. L’area euro ha già manifestato la disponibilità ad acquistare 100 miliardi di dollari di beni statunitensi. Considerando il nostro avanzo commerciale di 200 miliardi, si tratta comunque di un passo significativo in avanti per il settore manifatturiero. Il 2025 sarà ancora un anno interlocutorio, con segnali di miglioramento verso la fine. Per il medio termine, si prevede una crescita del fatturato a prezzi costanti tra il 2026 e il 2029 di circa l’1% annuo."

In questo panorama di incertezza concretamente le imprese italiane come dovrebbero reagire secondo lei?

"Le imprese italiane stanno già reagendo puntando a diversificare i loro mercati di sbocco e guardando per esempio al Medio Oriente, in parte al Nord Africa, all'India ad altri Paesi asiatici. L'altro aspetto significativo è che molte imprese italiane, considerando gli incentivi che avrebbero andando a insediarsi negli Stati Uniti, incentivi che peraltro c'erano già con Joe Biden, stanno pensando di andare a costruire insediamenti produttivi proprio sul territorio americano."

Ha senso distinguere per settore il peso dei dazi o è un impatto più o meno omogeneo?

"Ha senso perché alcuni settori saranno colpiti maggiormente rispetto ad altri: penso all'acciaio, l'alluminio, l'auto, il farmaceutico. Peraltro, molte imprese farmaceutiche in Europa sono multinazionali americane, quindi anche lì ci sarà da capire. In termini di previsioni siamo positivi sempre nel periodo 26-29 sul settore della meccanica, dell'elettronica, dell'elettrotecnica, del farmaceutico e del largo consumo."

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