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Auto elettriche flop in Italia, nel 2023 vendute 66mila contro le 300mila in Francia, pochi incentivi ma anche costi alti. E manca un produttore nazionale, Stellantis è ormai francese

Pochi incentivi ma anche costi alti per vetture e colonnine. E sicuramente non entrare nel capitale di Stellantis come ha ventilato un ministro non cambierebbe nulla

21 Febbraio 2024

Auto elettriche flop in Italia, nel 2023 vendute 66mila contro le 300mila in Francia. Pochi incentivi ma anche costi alti per vetture e colonnine

Roger Abravanel, fonte: imagoeconomica

Carlos Tavarez, leader di Stellantis ha segnalato i rischi per la sopravvivenza delle fabbriche italiane ex Fiat causati dai pochi incentivi alle auto elettriche (EV) da parte dello Stato. Giorgia Meloni ha risposto che gli incentivi valgono per tutte le  auto vendute  e non solo quelle prodotte in Italia e comunque verranno aumentati a breve.

Dietro questo dibattito ci sono due problematiche poco note

La prima è che il mercato italiano EV in Italia è il più asfittico di Europa. Nel 2023 si sono vendute 66mila EV contro 300mila in Francia. Perché? Gli italiani non sono meno ambientalisti dei francesi e i sondaggi li dichiarano più che disponibili a comprare auto elettriche. Sono sicuramente preoccupati per la bassa autonomia delle EV, ma non più di tutti gli automobilisti del mondo.  La vera ragione è che le EV sono troppo care, la 500 elettrica costa 30mila euro e non è alla portata della maggioranza degli italiani. Il pieno di elettricità costa 30 euro e dato che si fanno circa 300km viene un costo al km più o meno come quello a benzina che costa 70 euro ma si fanno 700km. Succede in gran parte perchè le colonnine costano troppo. Oggi una ricarica (veloce) costa in Italia 0.74 euro/Kwh contro 0.2 in Cina (70% in meno) Solo 5 centesimi dei 55 di differenza sono dovuti al maggior costo dell’energia, il resto sono oneri parafiscali e soprattutto i margini di chi possiede le colonnine che non hanno sussidi e quindi sono a prezzi di mercato. E poi sono troppo poche: 47 mila contro il doppio che in Francia. Le colonnine sono una infrastruttura essenziale che deve essere sussidiata anche perché cambierebbero il volto delle città e ridurrebbero l’inquinamento atmosferico. Ben più che la lotta alla C02.  

 

Il secondo problema è che si prende coscienza che l’Italia non ha più un produttore di automobili da quando La Fiat è stata venduta alla PSA e del vero danno che ciò comporta. Non la perdita di produzione italiana. È scesa solo da 800mila nel 2019 a 750mila nel 2013, mentre in Francia è scesa da 1.2 milioni a 737mila: Stellantis sposta la produzione nei paesi a basso costo come l’Algeria. Il vero problema è che, se non perdiamo (sinora) i posti di lavoro a basso valore aggiunto delle fabbriche (li perde la Francia), perdiamo i high value jobs (progettisti, R&S, management, marketing) che da Torino si stanno spostando in Francia e la transizione elettrica accelera questa perdita.

Questo perché vanno dove c’è il cervello di Stellantis che, anche se ha fabbriche in Italia, è ormai una multinazionale francese. Con un importante azionista e presidente italiano. Ma resta francese. Il problema non sono le fabbriche ma il cervello e il cuore. Un'azienda importante per quanto multinazionale ha un passaporto che è dove sta il suo CDA, il suo CEO, i suoi stakeholders di riferimento e i suoi valori e le sue skills, non dove ha le fabbriche. Nessuno mette in dubbio che Toyota sia giapponese nelle sue fabbriche americane. Stellantis è francese. Punto. Con un importante azionista italiano e un presidente italiano. Ma è francese. Ed è importante accettare questa (triste) realtà

Senza produttore nazionale, noi andiamo verso un modello da paese in via di sviluppo mentre la Francia va in direzione opposta, quella dei paesi della economia della conoscenza.

C’è quindi ormai poco che il governo italiano può fare per l’occupazione di qualità ex Fiat.

Sicuramente non entrare nel capitale di Stellantis come ha ventilato un ministro non cambierebbe nulla. Lo Stato italiano conterebbe pochissimo, e comunque sicuramente non influenzerebbe la scelta di produrre più in Italia (non lo fa lo Stato francese che si lamenta che la Francia è stata penalizzata più dell’Italia). Potrebbe forse pensare altrove, magari a investimenti cinesi. Ma a condizione che da noi mettano anche i centri di ricerca, la progettazione di piattaforme internazionali, assieme alla produzione di batterie (che potrebbero anche servire alle fabbriche Stellantis). Difficile che ciò avvenga, anche perché deve essere coerente con le normative europee. Ma non si può escludere.

Comunque sia, se il governo non può fare molto per i 40mila delle fabbriche ex Fiat (ed è una triste inevitabile realtà), può fare molto per i 40 milioni di automobilisti italiani che rischiano di trovarsi in grave ritardo all’appuntamento tra 10 anni col divieto di vendere auto a benzina e diesel. Lanciando un importante programma di incentivi per le EV (come sta facendo) e anche  incentivare gli investimenti in colonnine che costano troppo perché gli investimenti dei privati devono avere un ritorno. E sono anche una infrastruttura essenziale che deve essere sussidiata.

Non tutto però è perduto sul fronte della economia della conoscenza dell’industria perché abbiamo ancora l’altra metà del settore auto, quella componentistica che si prepara a affrontare una riconversione industriale epocale a causa della transizione all’elettrico e dalla quale emergeranno vincenti e perdenti. Tra i vincenti ci saranno quei componentisti che negli anni  sono riusciti a rendersi meno dipendenti dalla Fiat e ad accreditarsi sul mercato internazionale e che  non verranno influenzati negativamente dalla rivoluzione elettrica perché anche le auto elettriche  avranno bisogno di freni (Brembo), pneumatici (Pirelli), sedili (Adler), cambi (Gnutti – pressofusioni in alluminio). Hanno anche un altro vantaggio sulla produzione del veicolo. Si possono concentrare sul high end come dimostrano Brembo e Pirelli che capitalizzano il 90% e il 75 % del loro fatturato contro il 25 % di Stellantis.

Chi dovrà reinventarsi o sparire saranno i componentisti del motore a combustione (candele, cinghie di trasmissione, serbatoi benzina, tubi di scappamento ecc). E, come sempre, saranno i più bravi e innovativi quelli capaci di reinventarsi con la tecnologia l’innovazione che porta i high value jobs.

Per aiutare questa trasformazione epocale ci vuole un enorme cambiamento di mentalità da parte dello Stato. La politica industriale italiana degli ultimi 50 anni è sempre stata quella di proteggere le aziende a rischio e con grandi numeri di lavoratori low skills invece di aiutare gli innovatori e le trasformazioni industriali che creano i posti di lavoro ad alto valore aggiunto.

La transizione energetica offre l'opportunità per cambiarla.

Di Roger Abravanel.

Fonte: Meritocrazia - Corriere della Sera

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