22 Gennaio 2024
Emma Marcegaglia, Presidente e Amministratore Delegato di Marcegaglia
Era dell'incertezza. Dei cigni neri che tanto rari non sono più.
Delle «policrisi», come, con un brutto neologismo, ci siamo abituati a chiamarle.
Ecco: quando parliamo degli Anni Venti sono queste le definizioni che, dal Covid in poi, usiamo un po’ tutti. Quella che invece ha scelto l'Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale è probabilmente la più efficace: “Frammentazione”.
Sarà il lead dell'incontro organizzato per dopodomani, mercoledì 24 gennaio a Milano, tra economisti e imprenditori invitati a confrontarsi sulle sfide sempre più ampie, stringenti, determinanti cui la geopolitica sottopone le economie.
Il titolo di questa dodicesima edizione dell'Osservatorio è: “Il mondo nel 2024: sempre più frammentato?”.
Il punto di domanda è questione di cautela; in fondo, appare inutile. Se la risposta sia effettivamente scontata, lo chiediamo a Emma Marcegaglia, e Amministratore Delegato di Marcegaglia Holding oltre che, tra le altre cariche, ex Presidente di Confindustria ed Eni, Presidente in carica del B7 e Vicepresidente dello stesso Ispi.
“La grande frammentazione”, si legge nel testo di presentazione dell'evento di mercoledì. Dà l'idea che “il mondo piatto” cui solo pochi anni fa pensavamo di essere approdati sia già ridotto ad “un mondo in pezzi”
“È così. Siamo partiti nel 2020 con il Covid, siamo andati avanti con la guerra in Ucraina e ora anche in Medio Oriente, in mezzo abbiamo avuto crisi di ogni tipo. I cigni neri sull'economia globale si sono via via moltiplicati, provenendo soprattutto dai fronti politici, ma li affrontiamo senza avere più organismi internazionali che siano riconosciuti punti di riferimento, né regole comunque condivise. Non è che il mondo di ieri non fosse complicato.
Aveva però una sua architettura, un suo framework.”
Che ora sono saltati.
“Quasi del tutto. A partire dal diritto internazionale. Possiamo anche pensare che fosse carente, che non fosse il massimo. Ma le poche regole che c'erano bastavano comunque a risolvere le crisi che si creavano. E le istituzioni sovranazionali, dal Fondo monetario alla Banca Mondiale, saranno anche state, a loro volta, piene di limiti. Però un ruolo e una certa influenza li avevano. Oggi non più. E appena partito il G7 a guida italiana: può essere una sede nella quale ragionare davvero sulle risposte da dare”
Nel frattempo: la geopolitica ha vinto sulla geoeconomia, che per un po’, sulla scia della globalizzazione, si era illusa di poter imporre la propria visione di ‘mondo aperto’?
“Speriamo non duri a lungo ma sì, per ora è così. Ieri le parole d'ordine erano ‘crescita’ o ‘efficienza’. Oggi: ‘difesa’ e ‘sicurezza nazionale’”.
La globalizzazione è finita?
“No. Intanto, ricordiamoci che ha tirato fuori milioni di persone dalla povertà. Per carità: non sto dicendo che era tutto perfetto, che fosse giusto mettere l'efficienza davanti a qualunque altro obiettivo, che non fossero necessari dei correttivi. Ma credo che queste lezioni le abbiamo imparate. Dall'altra parte, a lungo andare la parola d'ordine ‘sicurezza nazionale’ porterebbe il mondo al protezionismo, dunque all'indebolimento della crescita, quindi di nuovo a maggior povertà.”
Diciamo che comunque, in questo nuovo mondo massacrato dalle guerre e, sul piano economico, dominato dal duello Usa-Cina, la globalizzazione tanto bene non è messa. Lei non crede al decoupling, economia del dollaro da un lato e dello yuan dall'altro?
“No, non sono d’accordo. Le catene del valore sono più regionali, è vero, ma sempre globali. Il commercio mondiale ha toccato il suo record nel 2022. E se spingiamo l'analisi fino in fondo, ricordiamo una delle ragioni principali per cui parliamo di "frammentazione" Non abbiamo più solo due blocchi, Usa e Cina oggi come Usa e Urss ieri. Pur lasciando fuori dal discorso Russia, Iran, Corea del Nord, Yemen, che sono un'altra storia, abbiamo quella nebulosa che è il Global South, abbiamo l'India, abbiamo l'Arabia Saudita. Tutti dicono "vogliamo contare di più."
È l'altro grande tema. Non ci sono più due soli blocchi, come ai tempi della Guerra Fredda. Se a questo aggiungiamo il fatto che il 2024 sarà l'anno in cui voterà praticamente metà mondo, a partire da Usa, Unione Urropea, India, è esagerato dire che la prospettiva di un ennesimo, drastico cambiamento degli equilibri geopolitici è reale? E che chi rischia di più sono l'Occidente e i sistemi democratici?
“Temo sia così. E qui mi piacerebbe un'Europa all'altezza delle sue possibilità e responsabilità. In questo mondo multiblocco e senza veri leader, perché, ammettiamolo, la situazione è talmente frammentata che nessuno sembra più in grado di passare dall'analisi alle proposte di soluzione e, soprattutto, di farsi ascoltare, una delle grandi incognite è quello che succederà negli Stati Uniti. Se vincerà Donald Trump, e non il Trump del primo mandato ma quello dell'assalto a Capitol Hill, Europa e Stati Uniti saranno ancora alleati? E in caso contrario, abbiamo un piano B?”
Non si direbbe.
“Ma è di questo che ci dovremmo preoccupare. L'Europa, cioè noi, con i suoi valori e la sua storia potrebbe essere il punto di riferimento per le democrazie e, insieme, la voce autorevole capace di farsi ascoltare e di mediare. Ne beneficerebbero tutti. Non accadrà, purtroppo, se continueremo a non avere una politica estera, una difesa, un bilancio in comune”.
Fonte: Il Corriere Della Sera Economia
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