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Startup tecnologiche, USA e Cina leader: aziende UE investono 5 volte in meno in r&s rispetto a USA

Per riguadagnare posizioni di leadership, l'Europa dovrebbe aggiornare le leggi sull'occupazione che risalgono agli anni 70, per adattarle al contesto di boom tecnologico

04 Febbraio 2023

Startup tecnologiche, USA e Cina leader: aziende eu investono 5 volte in meno in r&s rispetto a USA

Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea, non ha usato mezzi termini al World Economic Forum di Davos: la Ue deve velocizzare gli investimenti in tecnologie legate alle energie pulite in risposta al forte impegno di Usa e Cina. Anche negli ultimi mesi abbiamo assistito a un aumento delle tensioni tra questi due colossi sul fronte della tecnologia. Ad esempio, nel maggio 2021 il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che «l'innovazione tecnologia è diventata il terreno principale di scontro e la concorrenza per la predominanza tecnologica crescerà ferocemente mai come prima d'ora». Nell'ottobre del 2021 il capo della Cia ha detto che la Cina è la «maggiore minaccia geopolitica che abbiamo davanti nel 21° secolo» e che «il principale ambito in cui si dispiega la concorrenza» tra Cina e Usa è rappresentato dalla tecnologia avanzata. Il 9 agosto 2022 il presidente Usa Joe Biden ha firmato un progetto di legge che ha stanziato 280 miliardi di dollari all'industria tecnologica americana per «contrastare la Cina», per utilizzare le parole della Casa Bianca. I leader Usa sanno che la loro potenza si basa sul tech. La Cina sa che la sfida agli Stati Uniti passa attraverso l'innovazione tecnologica.

Amazon, Apple e Google sono americani, Tik Tok è cinese, come possiamo creare una Google o uno Steve Jobs europei? Il tech sta diventando un tema politico caldo in Europa. Può l'Europa tornare in prima linea nell'innovazione? La leadership tecnologica è stata sempre un elemento chiave nell'equilibrio dei poteri tra Paesi. L'Europa ha conquistato le Americhe nel 15° secolo perché sapeva padroneggiare l'acciaio e le armi. La prima rivoluzione industriale (il carbone) del XIX° secolo ha permesso all'Europa di colonizzare l'India, in parte la Cina, il Sud Est dell'Asia e l'Africa. La seconda rivoluzione industriale (petrolio, elettricità, chimica) e le devastazioni in Europa e in Giappone hanno permesso agli Usa di fondare il suo dominio economico e militare globale, iniziato durante la seconda guerra mondiale. Siamo nel mezzo della terza rivoluzione industriale, guidata dall'informazione e dalle tecnologie della comunicazione. Imprevedibile e volatile, questa nuova rivoluzione porta computer, Internet, smartphones, il cloud, l'intelligenza artificiale, un giorno anche l'informatica quantistica. Dopo 70 anni di dominio dell'America, la Cina sta investendo massicciamente e sta sfidando gli Usa, innescando un confronto sulla tecnologia in quello che può essere definito un primo stadio di una nuova guerra fredda.

 In questa corsa alla tecnologia, l'Europa ha il più grande mercato al mondo e possiede un'industria molto solida, ma è molto indietro e sta perdendo terreno sul fronte dell'innovazione rispetto agli Usa e alla Cina. La maggior parte degli indicatori segnala che la situazione è critica. La quota investita dai Paesi europei nella R&S in campo tecnologico è in costante diminuzione negli ultimi 15 anni: in Germania si è registrato un calo dall'8 all'2% e in Francia dal 6 al 2%. Oggi le aziende europee investono cinque volte meno in R&S rispetto a quelle Usa e lo stesso ammontare in meno rispetto agli obiettivi fissati in Cina da Xi Jinping per il quinquennio 2020-2025. Un altro buon indicatore dell'innovazione tecnologica è rappresentato dalle risorse investite in start-up: l'Europa attrae capitali tre volte inferiori rispetto agli Usa. Inoltre Germania e Francia, i più grandi Paesi europei per Pil, attirano investimenti in start-up dalle due alle tre volte in meno rispetto al Regno Unito. La capitalizzazione di mercato degli unicorni tedeschi e francesi è molto al di sotto di quella del Regno Unito o di Israele. Le cause generalmente citate di questo gap sono numerose e note: la maggior avversione al rischio della cultura europea, la frammentazione del mercato, l'eccesso di burocrazia, una politica della concorrenza che indebolisce i campioni europei. Tutte motivazioni valide. Eppure i governi europei, ben consapevoli di questa situazione, hanno cercato di correggerla negli ultimi 30 anni, ma non sono riusciti a frenare il declino.

Ma c'è un'altra causa, sconosciuta ai più, ma naturale per chi si occupa di innovazione e quindi di investimenti con un profilo di rischio-rendimento più elevato: si tratta del «cost of failure». Il costo per ristrutturare un team di R&S di una startup in Europa è di circa 200 mila euro e comprende la durata delle trattative sindacali, le spese per le buonuscite e i programmi per la reindustrializzazione dei processi. Questi costi non esistono negli Usa, in Cina o in India, e rendono non conveniente per le grandi aziende europee investire in start-up hi-tech. Inoltre tali costi rallentano l'adattamento dei campioni europei della tecnologia ai cambiamenti del mondo digitale. Infine il costo del fallimento è un grande ostacolo per i giovani che vogliono far partire le start up in Europa. L'Italia non fa eccezione come dimostra il fatto che sempre più talenti vanno negli Usa dove trovano un mercato del lavoro molto più dinamico, una burocrazia meno invadente e maggiori opportunità di carriera: nel 2020, in base ai dati dell'Aire, erano 283.350 i cittadini italiani residenti negli Usa, due anni dopo erano saliti a oltre 297 mila, provenienti soprattutto dal Nord Italia. Per la prima volta dal 1945, il costo politico del non agire potrebbe essere maggiore di quello di affrontare la questione. L'Europa ha il più grande mercato al mondo e possiede un'industria solida, ma il suo focus sui settori più maturi è un rischio. Per prima cosa la tecnologia può fare da disgregatore di qualsiasi altro comparto industriale. Tutte le aziende europee mature possono essere minacciate da gruppi Usa o cinesi. In secondo luogo la tecnologia è fondamentale per il potere militare e l'indipendenza strategica. L'ultimo esempio arriva dalla perdita di accesso da parte della Russia alle armi di precisione dopo l'embargo americano del febbraio 2022 seguito all'invasione dell'Ucraina. Infine la drastica crescita della Cina nell'industria tecnologica sta provocando uno spostamento degli equilibri rispetto al predominio degli Usa. L'Europa dovrà affrontare una crescente pressione di Pechino se continuerà a dipendere dai cinesi per la tecnologia straniera.

Per riguadagnare posizioni di leadership, l'Europa dovrebbe aggiornare le leggi sull'occupazione che risalgono agli anni 70, per adattarle al contesto di boom tecnologico. Una tematica difficile da risolvere nel breve termine ma che nel medio termine l'Europa è in grado di affrontare. D'altra parte il progetto dell'euro è stato molto più complicato e il Continente ha bisogno di riconquistare un posto di primo piano nella tecnologia. Il suo ecosistema finanziario, politico, sociale ed economico è un ottimo punto di partenza: le istituzioni democratiche assicurano stabilità politica, le infrastrutture sono avanzate, la libertà di impresa è garantita, scuole e università sono di ottimo livello. Infine i capitali privati, da impiegare, insieme agli stanziamenti pubblici che dovrebbero comunque aumentare, sono molto disponibili in Europa anche se va accresciuta la redditività degli investimenti in tecnologia, almeno allo stesso livello di Usa e Cina. Tutto ciò non è solo possibile. È necessario.

Fonte: MF-MilanoFinanza

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