Sabato, 06 Settembre 2025

Seguici su

"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Smart working, Carmine Evangelista (AZ): “Ridimensionata la modalità di lavoro. I furbi? Ci sono sempre stati”

Evangelista, Ad Gruppo AZ: “Per i giovani la cultura dello smartworking fa parte del lavoro, è qualcosa di normale, quindi i giovani sono molto più attenti e ligi“

29 Dicembre 2022

Con lo smartworking sempre più aziende a caccia dei furbetti: crescono le investigazioni su lavoratori da remoto

Con lo smartworking crescono le attività investigative nei confronti dei dipendenti. A raccontarlo è Carmine Evangelista, Ad del Gruppo AZ, leader delle investigazioni in Italia.

“Il rapporto tra aziende e lavoratore è fiduciario – spiega Evangelista – e lo smartworking lo ha messo a dura prova. Sebbene il tema dell’assenteismo e di un approccio sbagliato al lavoro da parte di alcuni soggetti sia sempre esistito è pur vero che ultimamente c’è molta più attenzione nei confronti di chi lavora da remoto”.

Con lo smartworking i furbetti sono aumentati?

Lo smartworking ha ridimensionato la modalità di lavoro: l’attività non si svolge più in un luogo fisico riconosciuto e controllato ma in uno spazio che permette una gestione autonoma del tempo che può portare a un calo delle ore lavorative. Se il datore di lavoro se ne accorge allora interviene. Tipicamente il campanello d’allarme è rappresentato da un calo delle performance. Va anche detto, però, che chi è incline all’assenteismo lo è a prescindere dal fatto che lavori da remoto o in presenza. I furbi ci sono sempre stati, sono solo cambiate le modalità di raggiro.

Quali i segnali?

Tipicamente il campanello d’allarme è rappresentato da un calo delle performance, soprattutto legato a giorni vicini al week-end. Quindi scarsa presenza al venerdì pomeriggio o reazioni tardive il lunedì mattina. Il lavoro cambia, la disponibilità anche, e così il datore di lavoro inizia a monitorare la risorsa, da remoto ma anche sfruttando strumenti investigativi tradizionali come i pedinamenti, per esempio. Ci appostiamo fuori dalle case di lavoratori e osserviamo gli spostamenti. Devo dire che quando un datore di lavoro si rivolge ad un investigatore, nel 90 per cento dei casi sa già che la ricerca confermerà i sospetti avuti. Ma per procedere dal punto di vista disciplinare ha bisogno di prove.

Dove parte l’investigazione e dove si rischia, invece, di violare la privacy del dipendente?

La giurisprudenza è piuttosto robusta: la privacy è un diritto della persona ma il legislatore nel garantire la tutela non ha voluto creare una posizione inviolabile del soggetto e alterare il piano del diritto. Diritto alla privacy e diritto del lavoro stanno sullo stesso piano. Il datore di lavoro ha tutto il diritto di verificare se il rapporto di fiducia con il lavoratore viene rispettato oppure no. Inoltre le investigazioni vengono svolte da soggetti che hanno una licenza e quindi sono autorizzati a svolgere una determinata attività di ricerca che porti alla raccolta di prove e che verifichi la veridicità di una tesi o di un sospetto. Diversa è l’attività sui pc o altri dispositivi che non è possibile svolgere qualora non vi siano accordi individuali tra le parti.

 

Qual è l’età di chi cerca di violare le regole?

Per i giovani la cultura dello smartworking fa parte del lavoro, è qualcosa di normale, quindi i giovani sono molto più attenti e ligi. Chi, invece, ha sempre lavorato in presenza trova molto più difficile lavorare da remoto, è più distratto e rischia di rispettare meno le regole che in ufficio invece dava per scontato.

 

Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.

Commenti Scrivi e lascia un commento

Condividi le tue opinioni su Il Giornale d'Italia

Caratteri rimanenti: 400

Articoli Recenti

x