Per i palestinesi sfollati che, con il cessate il fuoco, stanno tentando di rientrare nelle loro case, queste tonnellate di bombe inesplose implica convivere con i resti della guerra, pronti a detonare in qualsiasi momento. Il rappresentante dell’Unmas, Julius Van Der Walt, sottolinea che i rischi legati agli ordigni inesplosi sono “immensi”, non solo per i due milioni di residenti dell’enclave, ma anche per le operazioni umanitarie e per i futuri lavori di ricostruzione.
Come afferma Van Der Walt, “gli ordigni non esplosi sono una delle minacce più indiscriminate in qualsiasi conflitto, poiché non distinguono tra un operatore umanitario, un civile o un soldato… la loro presenza mette tutti a rischio allo stesso modo”.
L’Onu segnala che quasi tutti gli edifici residenziali sono stati danneggiati o rasi al suolo dagli attacchi israeliani. In questo scenario, circa l’80% della popolazione è costretto a vivere in tende improvvisate o tra le rovine, e la mancanza di rifugi sicuri sta spingendo molte famiglie a sistemarsi vicino a zone potenzialmente contaminate da esplosivi. Complessivamente, l’Unmas riferisce che oltre 400 persone sono già rimaste coinvolte in incidenti provocati da ordigni inesplosi.












