25 Novembre 2025
Da più di tre anni, la parola guerra è ricorsa sulle labbra dei politici europei con una frequenza che è stata pari solo alla superficialità con cui l'hanno pronunciata, quasi che fossero giocatori di una partita di Risiko e non timonieri del futuro di centinaia di milioni di persone a cui, peraltro, son riusciti a compromettere il presente, innescando una delle peggiori crisi economiche del nuovo millennio.
Un'Europa che, dimentica della sua vocazione di mediatrice, figlia della sua drammatica storia fatta di guerre sempre più sanguinose, si è scriteriatamente arroccata sulla posizione guerrafondaia, che ha individuato nella “vittoria dell'Ucraina” la conditio sine qua non per porre la parola fine sul conflitto russo-ucraino.
Una proterva cocciutaggine che è costata agli Europei una barca di denaro perché, dal 2022, la UE ha sinora versato nelle casse dell'Ucraina circa 177,5 miliardi di Euro, una cifra mostruosa, che é l'equivalente di quasi 10 manovre finanziarie dell'Italia (quella per il 2026 è circa 18 miliardi di Euro), ma che sembrerebbe non bastare, visto quanto recentemente deciso dalla von der Leyen per ulteriori 6 miliardi di aiuti.
E si può affermare che, nell'ultimo anno, la più degna paladina di questa follia è stata sicuramente Kaja Kallas, Alto Rappresentante UE per la politica estera, che non ha perso occasione di esternare, con fredda brutalità verbale, le proprie convinzioni per la continuazione della guerra sino alla sconfitta della Russia, tanto da chiedersi se si renda effettivamente conto di ciò che afferma o se viva in un mondo tutto suo, scollegato dalla realtà. D'altra parte, che questo personaggio, al pari di molti altri tecnocrati europei, non abbia conosciuto più di tanto la vita dei comuni mortali, lo racconta il suo passato di predestinata, quale classico prodotto del più becero nepotismo politico. Suo padre, Siim Kallas, dopo aver fatto carriera ai tempi del Comunismo sovietico, riuscì a riciclarsi sino ad arrivare alle cariche di Capo di Governo e più volte ministro della nuova Estonia, nonché Parlamentare e Commissario europeo. E lei, cresciuta negli agi e facilitazioni paterne, ne ha seguito passo passo le orme, sino ad arrivare all'attuale incarico, che sta gestendo in maniera padronale, manco avesse la fiducia di ogni singolo Europeo.
E la Kallas è stata una delle più esaltate sostenitrici della politica della UE, di supportare a tutto campo l'Ucraina, sino al conseguimento della famosa “pace giusta” che, nella sostanza, oltre alla vittoria finale di Kiev, presuppone il completo ripristino della sua integrità territoriale. Una policy che, vista l'evoluzione delle operazioni sul campo, ormai da tempo risulta essere fallimentare politicamente e addirittura suicida per le finanze del Vecchio Continente. Ma la pasionaria estone non demorde e ha ulteriormente confermato la sua visione utopica qualche giorno fa, affermando che “la guerra la perde chi finisce prima i soldi o i soldati”, per cui è conveniente continuare a finanziare l'Ucraina, anche perché “il prezzo che l'Europa dovrebbe pagare, in caso di successo della Russia, sarebbe molto più alto”.
Affermazioni aberranti nella loro logica e indegne di un politico che vanta la superiorità morale di chi si ritiene nel giusto, perché evidenziano il più totale disprezzo della vita dei soldati ucraini, considerati solo numeri e la più cinica strumentalizzazione delle sorti dell'Ucraina, in un quadro di massima indifferenza verso le tasche dei Cittadini europei. Ma volendo confutare queste convinzioni della Kallas, con un cinismo pari al suo, si può evidenziare che le forze ucraine, su cui lei conta per combattere la sua guerra pressoché personale con la Russia, sono ormai allo stremo, in termini di numeri e di armamenti ed il fronte sta ormai cedendo in molti punti, di cui alcuni, come Pokrovsk, hanno grande valenza strategica. Il popolo ucraino sta soffrendo come mai in questa guerra sotto le incursioni aeree di Mosca, che stanno colpendo soprattutto le strutture energetiche. Infine, sono ancora tutti da valutare i probabilissimi effetti negativi che lo scandalo della corruzione in atto a Kiev provocherà sul morale e sulla motivazione di Comandi e truppe e sulla fiducia della gente verso uno Zelensky che, quantomeno, non ha saputo controllare i suoi collaboratori o, peggio, potrebbe addirittura essere direttamente coinvolto in questa pugnalata alla schiena del popolo ucraino.
Per onore di verità, bisogna ammettere che gli intendimenti della Kallas sono gli stessi che hanno animato la politica estera di gran parte dei governi europei i quali, pur con modi più diplomatici ed in nome di un'ipocrita tutela dei valori occidentali e del Diritto Internazionale (applicato a corrente alternata), hanno comunque considerato gli Ucraini come carne da cannone, in difesa dell'Europa da una minaccia russa sbandierata, ma mai dimostrata.
E ora, su questa situazione, desolante sotto tutti gli aspetti, si è abbattuta la spallata dell'accoppiata TrumPutin con un piano di pace in 28 punti, probabilmente figlio del loro incontro di agosto in Alaska, che non sembrava così positivo ma che, presumibilmente, ha convinto l'Americano, che vuole e deve chiudere questa guerra, sull'irremovibilità del Russo e sulla debolezza ucraina.
D'altra parte, che Zelensky non avesse “le carte per fare il duro” il Tycoon glielo aveva detto chiaro, al loro primo incontro a Washington nel febbraio scorso ed il concetto, rozzo ma sostanziale, glielo ha ribadito qualche giorno fa, affermando “Zelensky dovrà farsi piacere il piano di pace”. Trump non ha osato estendere apertamente tale determinazione anche all'Europa, ma nella sostanza l'ha fatto, probabilmente prevedendone anche la reazione stizzita ed isterica, puntualmente arrivata al grido comunitario “Senza l'Europa non si va da nessuna parte”, teoricamente sensato, ma praticamente inconsistente. E anche il piano alternativo di 24 punti, elaborato in fretta e furia dal Vecchio Continente, nella sua ormai proverbiale rincorsa della storia che altri stanno scrivendo, rischia di rimanere un disperato tentativo di recuperare una credibilità ed un protagonismo ormai compromessi da tempo.
Le principali varianti previste dagli Europei, rispetto al “piano TrumPutin”, che molto difficilmente saranno accettate da Mosca, in fondo rispecchiano il fallimentare approccio sinora adottato dalla UE la quale, in un ossessivo garantismo totale di Kiev, continua a non capire che all'equazione “sicurezza dell'Ucraina è sicurezza dell'Europa” ci credono veramente in pochi e che, soprattutto, il dissanguamento finanziario a cui sta sottoponendo i suoi popoli non potrà continuare a lungo. Inoltre, anche sotto l'aspetto puramente logico, alcuni dei punti del piano sembrano essere più di principio che avere un senso realistico. Si prenda ad esempio quanto previsto dal piano UE per le Forze Armate.
L'Europa pretende che le Forze Armate ucraine non siano ridotte a 600.000 effettivi, ma mantengano l'attuale consistenza, con 900.000 militari attivi (ante guerra erano 250.000), più di 1 milione in riserva e 100.000 paramilitari. Volendo fare i famosi “conti della serva”, si pensi che USA e Cina hanno entrambe poco più di 2 milioni di soldati, con un budget annuale (previsione 2026) rispettivamente di 1.010 e 350 miliardi di dollari, per cui si può pensare che per Kiev servirebbero almeno 150/200 miliardi di dollari all'anno. E a questo punto, sempre la famosa serva, si chiederebbe “e chi paga?”. Domanda fondamentale per comuni mortali, ma che le anime belle come la Kallas non sono use a porsi perchè, in fondo, non sono loro le tasche da cui escono sempre le montagne di soldi per i loro sogni.
E intanto Zelensky intasca i soldi europei, ma continua a pendere dalle labbra di Trump che, forse, rivedrà un pochino l'accordo (19 punti?!), ma sempre all'ombra del “DA” di Putin perché, in fondo, è quello che per lui conta.
Generale di Corpo d'Armata degli Alpini Marcello Bellacicco
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