25 Novembre 2025
Amnesty International ha raccolto nuove e drammatiche testimonianze, provenienti da persone fuggite da Al-Fashir, riguardanti le uccisioni di numerosi civili disarmati e gli stupri perpetrati ai danni di decine di donne e ragazze, avvenuti dopo che la presa della città da parte delle Rsf il 26 ottobre. Gli intervistati hanno raccontato di aver assistito a pestaggi e uccisioni di civili, oltre che a rapimenti compiuti con finalità di riscatto. Le sopravvissute hanno riferito di essere state sottoposte a violenze sessuali da parte delle Rsf, talvolta insieme alle proprie figlie.
“Il mondo non deve girarsi dall’altra parte via via che emergono nuovi dettagli sul brutale attacco delle Rsf ad Al-Fashir. Le persone che abbiamo intervistato ci hanno descritto orrori inimmaginabili”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Nelle prossime settimane emergeranno altre prove delle violenze commesse dalle Rsf. Queste azioni costanti e di vasta portata contro la popolazione civile sono crimini di guerra e possono costituire anche ulteriori crimini di diritto internazionale, i cui responsabili devono essere chiamati a risponderne”, ha aggiunto Callamard.
“Queste atrocità sono state facilitate dal sostegno fornito alle Fsr dagli Emirati Arabi Uniti, che stanno alimentando un ciclo senza fine di violenza contro la popolazione civile sudanese. La comunità internazionale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite devono pretendere che gli Emirati Arabi Uniti pongano fine a tale sostegno”, ha sottolineato Callamard.
“È doveroso che la Missione di accertamento dei fatti in Sudan, istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, abbia le risorse necessarie per svolgere fino in fondo il suo mandato e indagare sulle violazioni dei diritti umani nel paese, comprese quelle che stanno avendo luogo a El Fasher. Il Consiglio di sicurezza, che aveva deferito la situazione nel Darfur alla Corte penale internazionale, deve ora assolutamente deferire alla Corte ciò che sta avvenendo in tutto il Sudan”, ha concluso Callamard.
L’organizzazione per i diritti umani si sta inoltre appellando agli attori regionali e internazionali – tra cui gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Consiglio di sicurezza, l’Unione europea e i suoi stati membri, l’Unione africana, il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina – affinché esercitino pressioni diplomatiche immediate sui vertici delle Rsf, con l’obiettivo di fermare gli attacchi contro i civili, compresi gli episodi di violenza sessuale ai danni di donne e ragazze.
“Le Rsf uccidevano le persone come se fossero mosche”, racconta Ahmed, 21 anni, che ha tentato di fuggire insieme alla moglie, ai due figli piccoli e al fratello maggiore, seguendo un gruppo di soldati delle Forze armate sudanesi (Fas, l’esercito regolare) che avevano abbandonato le loro postazioni.
Durante il cammino sono caduti in un’imboscata delle Rsf: “Ci hanno chiesto se fossimo soldati o civili e abbiamo risposto che eravamo civili. Loro hanno replicato: ‘Qui non ci sono civili, sono tutti militari’. Hanno ordinato a mio fratello e agli altri tre uomini di sdraiarsi a terra e li hanno uccisi”.
Khalil, 34 anni, è fuggito il 27 ottobre. Dopo aver attraversato la zona desertica, è stato fermato insieme ad altre 20 persone da un convoglio delle Rsf: “Ci hanno ordinato di sdraiarci a terra poi due di loro hanno aperto il fuoco. Hanno ucciso 17 delle 20 persone che erano con me. Sono sopravvissuto fingendomi morto. Nessuna delle persone uccise era un soldato armato”.
Badr, 26 anni, è rimasto ad Al-Fashir fino al 26 ottobre con lo zio, ricoverato all’Ospedale saudita per una ferita da arma da fuoco. Il giorno successivo ha recuperato un carretto e un asino per portare fuori città lo zio, altri due degenti anziani e i loro parenti. Giunti al villaggio di Shagara, 20 chilometri a ovest di Al-Fashir, sono stati circondati da veicoli delle Rsf. I combattenti hanno ammanettato gli uomini e ordinato ai più giovani e non feriti di salire sul pick-up. Poi hanno imposto lo stesso ad altre tre persone, sui 50 anni e gravemente ferite. “Si notava che pensavano stessero sprecando il loro tempo. Uno di loro è sceso e ha aperto il fuoco con un fucile automatico. Li ha uccisi e poi ha ucciso l’asino. Si divertivano e ridevano”.
Ibtisam ha lasciato il quartiere di Abu Shoul la mattina del 27 ottobre con i suoi cinque figli e alcuni vicini, dirigendosi verso Golo. Il gruppo è stato fermato dalle Fsr: “Uno mi ha costretta ad andare con loro, ha lacerato la mia jalabiya [un abito tradizionale] e mi ha stuprata. Quando sono andati via si è avvicinata una delle mie figlie, di 14 anni. I suoi vestiti erano strappati e insanguinati, i capelli dietro la testa erano pieni di polvere. Mi ha detto: ‘Mamma, hanno stuprato anche me ma non dirlo a nessuno’. Dopo lo stupro, mia figlia si è ammalata. Quando abbiamo raggiunto Tawila l’hanno ricoverata ma è morta”.
Khaltoum, 29 anni, ha cercato di fuggire il pomeriggio del 26 ottobre con la figlia di 12 anni e altre 150 persone. Il gruppo ha raggiunto la zona chiamata “Babul Amal”, al confine occidentale della città, dove è stato fermato dalle Rsf. Le donne sono state separate dagli uomini e cinque di questi sono stati uccisi.
Khaltoum, la figlia e altre 20 donne sono state prese da parte dalle Rsf: “Hanno preso me e altre 11. Un uomo armato e un altro senza armi mi hanno portato in un rakuba [un rifugio provvisorio] dove mi hanno perquisita. Sono rimasta lì tutto il giorno e sono stata stuprata tre volte dall’uomo privo di armi, mentre quello armato guardava. Mia figlia non è stata stuprata ma le altre 10 donne sì”.
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