28 Ottobre 2025
Contesto politico e giuridico del Memorandum Italia-Libia
Il 15 ottobre 2025, il Parlamento italiano ha respinto due mozioni presentate dalle opposizioni che chiedevano la modifica o la revoca del Memorandum of Understanding (MoU) con la Libia. La richiesta di revisione nasce dalle gravi violazioni dei diritti umani riscontrate nei centri di detenzione libici, denunciate da ONG e organismi internazionali. Nonostante le proteste di associazioni come Refugees in Libya, che il 18 ottobre hanno manifestato davanti al Senato, il governo italiano non sembra intenzionato a interrompere il patto. Formalmente, il MoU sottoscritto nel 2017 a Roma definisce la cooperazione tra Italia e Libia nel contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e nel rafforzamento della sicurezza delle frontiere. L’accordo, rinnovabile tacitamente ogni tre anni, ha come obiettivo dichiarato il coordinamento nella gestione dei flussi migratori e lo sviluppo di iniziative comuni di sicurezza. Tuttavia, la sostanza si è tradotta in un sostegno operativo e finanziario alla Guardia costiera libica e ai centri di detenzione, trasformando l’intesa in uno strumento di esternalizzazione delle frontiere. Il MoU rappresenta un caso emblematico delle tensioni tra rispetto dei diritti umani e tutela degli interessi strategici italiani. Secondo stime giornalistiche, tra il 2017 e il 2020 l’Italia avrebbe speso circa 784 milioni di euro, di cui 213 milioni in missioni militari, con scarsa trasparenza sull’uso effettivo dei fondi. L’accusa principale al governo è quella di aver finanziato indirettamente milizie e trafficanti, che esercitano il controllo territoriale in Libia e sono responsabili di violenze sistematiche.
Dal punto di vista politico, la Libia rimane profondamente instabile. Il paese è diviso tra il Governo di Unità Nazionale (GNU) a Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite e guidato da Abdul Hamid Dbeibah, e l’amministrazione di Bengasi, sostenuta dal Parlamento di Tobruk e dal maresciallo Khalifa Haftar. Questa frammentazione accentua l’influenza di attori stranieri come Turchia, Russia, Egitto e Francia, aumentando il rischio che l’Italia perda il controllo sui flussi migratori e sulle risorse energetiche. Dal punto di vista del diritto internazionale, l’Italia si trova in una situazione delicata. Le corti italiane e la Corte europea dei diritti umani (CEDU) hanno stabilito che la Libia non può essere considerata un porto sicuro. Allo stesso tempo, la gestione dei flussi migratori attraverso Tripoli ha consentito di intercettare e respingere migliaia di persone, con numeri significativi: nel 2025, fino a settembre, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) ha segnalato il rimpatrio in Libia di oltre 20.000 migranti. Il dilemma è evidente: interrompere il MoU significherebbe fermare una collaborazione che limita i flussi, ma potrebbe migliorare la tutela dei diritti umani; mantenerlo garantisce controllo operativo e vantaggi strategici, ma espone l’Italia a responsabilità di natura morale e giuridica.
Criticità operative e conseguenze dei flussi migratori
Il Memorandum, pur essendo uno strumento di cooperazione formale, ha evidenziato diverse criticità operative. L’Italia, tramite il sostegno alla Guardia costiera libica e la gestione indiretta dei centri di detenzione, ha delegato gran parte della responsabilità della sicurezza marittima a un contesto instabile e non regolamentato. Le conseguenze dirette di questa strategia si manifestano nei flussi migratori. Nel 2025, l’88% degli arrivi via mare in Italia proviene dalla Libia, rendendo il paese nordafricano un punto di controllo cruciale. Un mancato rinnovo del MoU rischierebbe di aumentare le partenze, incoraggiando i trafficanti a sfruttare
la rotta centrale del Mediterraneo. Questo scenario potrebbe tradursi in un aumento dei morti in mare e della pressione politica interna, con ripercussioni sulle politiche di accoglienza e asilo.
Il sostegno italiano alla Libia comporta anche rischi reputazionali e legali. Le violazioni documentate da Amnesty International, Medici senza frontiere e dalle Nazioni Unite sollevano la questione della corresponsabilità italiana. Finanziando soggetti che operano fuori da qualsiasi garanzia legale, Roma si espone a critiche nazionali e internazionali, rischiando di minare la propria credibilità nelle sedi europee e ONU. A livello strategico, la Libia rimane vulnerabile a manipolazioni demografiche. L’indiscrezione di NBC News su un possibile spostamento di un milione di palestinesi nel paese, sebbene smentita, evidenzia la fragilità di uno Stato incapace di garantire diritti fondamentali. In uno scenario del genere, la presenza massiccia di rifugiati potrebbe essere strumentalizzata come leva geopolitica contro l’Italia e l’Europa, aumentando la complessità della gestione dei flussi migratori. Le sfide operative non si limitano alla gestione dei migranti. La frammentazione del territorio libico ostacola il monitoraggio delle coste, aumentando il rischio di attività criminali e militari. Le milizie locali, spesso finanziate indirettamente dai fondi italiani, rappresentano un fattore di instabilità continua, con potenziali ricadute sulla sicurezza nazionale ed europea.
Opportunità e rischi energetici
Oltre alla sicurezza migratoria, la Libia riveste un ruolo strategico per la fornitura energetica italiana ed europea. Il megaprogetto gasiero offshore, gestito da Mellitah Oil & Gas e partner internazionali come Eni, TotalEnergies e Adnoc, punta a una produzione di 750 milioni di piedi cubi di gas al giorno entro il 2026. L’iniziativa include investimenti in cattura e stoccaggio del carbonio, per rispondere agli standard di decabornizzazione europei. La Libia dispone di risorse stimate in 53 trilioni di piedi cubi di gas naturale, ma la loro valorizzazione è ostacolata dalla fragilità politica e dai conflitti tra Tripoli e Bengasi. La creazione di una nuova società inter-libica con sede a Bengasi rappresenta un tentativo di conciliare le rivendicazioni di entrambe le amministrazioni, favorendo una governance condivisa e una distribuzione più equa dei profitti. Tuttavia, le rivalità politiche e la presenza di attori stranieri rendono ogni progetto vulnerabile. La Turchia, tramite accordi di esplorazione marittima con Tripoli, e l’Egitto, attraverso accordi con la Grecia, amplificano la complessità della geopolitica energetica nel Mediterraneo centrale. Le dispute sulle Zone Economiche Esclusive (ZEE) aumentano il rischio di tensioni militari e di interruzioni della produzione, con potenziali impatti sulle forniture italiane. Dal punto di vista strategico, la diversificazione delle fonti energetiche e il rafforzamento della cooperazione con la Libia rientrano nel cosiddetto Piano Mattei, promosso dal governo italiano per garantire sicurezza energetica, transizione ecologica e stabilità regionale. L’iniziativa, se accompagnata da governance efficace, può trasformare il settore energetico in uno strumento di pace e sviluppo, contribuendo a ridurre le rivalità interne e le tensioni tra gli attori regionali.
Scenari e scelte strategiche
L’Italia si trova davanti a decisioni complesse: il MoU può essere modificato, ma una sua interruzione comporterebbe conseguenze immediate e significative. Gli scenari principali includono:
Mancato rinnovo del MoU: aumento dei flussi migratori e dei costi di accoglienza, riduzione del controllo sulle rotte libiche, potenziale destabilizzazione delle forniture energetiche e incremento della pressione politica europea.
Rinnovo senza modifiche: mantenimento del controllo operativo sulle partenze, ma persistenza della corresponsabilità in violazioni dei diritti umani, con criticità reputazionali e legali. Rinnovo con modifiche: possibile miglioramento della tutela dei diritti umani, mantenendo un canale operativo per la sicurezza e l’energia, se accompagnato da maggiore trasparenza e monitoraggio dei fondi.
Il futuro della Libia resta centrale per la stabilità mediterranea. La capacità del paese di garantire sicurezza, coesione politica e gestione responsabile delle risorse energetiche sarà determinante per il successo di qualsiasi strategia italiana. Roma deve bilanciare interessi geopolitici, sicurezza nazionale, tutela dei diritti umani e approvvigionamento energetico, in un contesto di crescente competizione internazionale. Il Memorandum Italia-Libia rappresenta quindi un nodo cruciale: un accordo in grado di influenzare non solo i flussi migratori, ma anche il futuro energetico, politico e strategico dell’Italia e dell’intera regione euro-mediterranea. La scelta italiana dovrà essere ponderata, allineando diplomazia, diritto internazionale e strategia economica, evitando decisioni improvvise che possano compromettere sicurezza e stabilità.
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