10 Settembre 2025
Raid Idf a Doha Fonte: Al Jazeera
Il 9 settembre 2025 resterà una data spartiacque nella storia delle relazioni internazionali. Per la prima volta, Israele ha lanciato un attacco aereo diretto contro la capitale del Qatar, colpendo i vertici di Hamasriuniti a Doha nel bel mezzo dei negoziati per un cessate il fuoco a Gaza.
Un'ardita e fortemente illegale operazione militare che ha scosso non solo le cancellerie mondiali, ma ha messo a nudo la profonda crisi che attraversa l'intero sistema del diritto internazionale.
Dieci caccia israeliani hanno attraversato indisturbati lo spazio aereo di diverse monarchie del Golfo, sganciando oltre dieci bombe di precisione su una villa nel quartiere residenziale di Katara, a Doha. L'operazione "Giorno del Giudizio" - questo il nome in codice scelto da Tel Aviv - aveva come obiettivo principale Khalil al-Hayya, capo negoziatore di Hamas e figura chiave nei colloqui di pace.
Il timing non potrebbe essere più significativo: l'attacco è avvenuto mentre i leader di Hamas stavano discutendo della proposta del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per un cessate il fuoco a Gaza. Un colpo che ha di fatto affossato le trattative e trasformato il Qatar - mediatore storico nel conflitto - da arbitro neutrale a bersaglio diretto.
La risposta della comunità internazionale è stata unanime nella condanna, ma frammentata nell'azione. L'Unione Europea ha definito l'attacco "una violazione del diritto internazionale e dell'integrità territoriale del Qatar", mentre il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha denunciato "una flagrante violazione della sovranità".
Il Qatar, dal canto suo, ha reagito con fermezza inusuale. Il Primo Ministro qatariota Mohammed bin Abdulrahman Al Thani ha accusato Israele di "terrorismo di Stato" e annunciato che il Paese "si riserva il diritto di rispondere". Una escalation verbale che riflette la gravità dell'atto di pirateria aerea effettuato da Israele a danno di altro Paese terzo e sovrano.
Particolarmente significativa la posizione degli Stati Uniti. Dopo iniziali contraddizioni, Trump ha chiarito che "la decisione di attaccare il Qatar è stata di Netanyahu e non mia", pur ammettendo di essere stato informato dell'operazione. Una presa di distanza che evidenzia le crepe anche nell'alleanza strategica israelo-americana.
L'episodio di Doha non è un caso isolato, ma l'ennesima conferma di una tendenza preoccupante. Andrea Margelletti, Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI) e consigliere del Ministero della Difesa, ha colto nel segno quando ha osservato che "siamo in un'epoca in cui sono saltati tutti gli equilibri internazionali".
L'analista militare ha messo in evidenza di come "non abbiamo un polo di attrazione internazionale, gli assetti sono saltati ma non c'è ancora un assetto nuovo". Una diagnosi impietosa di un mondo in cui le vecchie regole non valgono più, ma le nuove non sono ancora state scritte.Spietata ma corretta analisi di una comunità internazionale sempre più frammentata, dove le regole cedono il passo agli interessi geopolitici.
Il caso israeliano è emblematico di questa deriva. Dal 7 ottobre in poi, come sottolinea Margelletti, "Israele ritiene di potersi muovere in una maniera in cui non si era mai mosso prima". Una percezione di impunità alimentata dalla consapevolezza che nessuna potenza è oggi in grado - o disposta - a imporre realmente il rispetto delle norme internazionali.
Il paradosso del sistema internazionale contemporaneo emerge chiaramente analizzando il ruolo della Corte Internazionale di Giustiziadell'Aia. Nel luglio 2024, la Corte ha emesso un parere consultivo storico, dichiarando illegale l'occupazione israeliana dei territori palestinesie ordinando il ritiro totale entro il 17 settembre 2025.
La risoluzione dell'Assemblea Generale ONU ha confermato l'obbligo di tutti gli Stati di astenersi dal fornire a Israele qualsiasi forma di cooperazione, a partire dalla fornitura di armi. Eppure, questi pronunciamenti rimangono largamente inattuati.
Il problema strutturale è evidente: le sentenze della Corte internazionale di Giustizia sono giuridicamente vincolanti ma "il tribunale non ha modo di applicarle e quindi assumono di fatto un valore esclusivamente politico". Un diritto internazionale ridotto a tigre di carta.
Anche l'Italia si trova al centro di questa contraddizione. Dieci giuristi italiani hanno diffidato formalmente il governo dal rinnovare il Memorandum d'intesa militare con Israele, definendolo "incostituzionale e complice di crimini internazionali".
Il documento, rinnovato automaticamente ogni cinque anni, è sotto accusa per due profili di incostituzionalità: la segretezza che copre gli scambi di informazioni e la "palese, deliberata, sistematica violazione del diritto internazionale" da parte di Israele.
La diffida ricorda che "a Gaza ci troviamo in un contesto di distruzione, morte e costante mortificazione della dignità della persona umana, con 60mila vittime accertate di cui 18mila bambini". Numeri che dovrebbero far riflettere sulla compatibilità di tale cooperazione con i principi costituzionali.
Chi minimamente conosce le dinamiche del potere internazionale sa quanto sia tutto così incredibilmente complicato e complesso. Il caso dell'UNRWA è emblematico: mentre gli Stati Uniti sostengono le decisioni israeliane di bandire l'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, la Russia (più che giustamente) propone per l'UNRWA il Premio Nobel per la Pace. Esternazioni che dimostrano come anche i principi umanitari siano subordinati agli interessi geopolitici.
L'attacco a Doha rappresenta ad ogni modo un precedente estremamente pericoloso per il sistema internazionale. Per la prima volta, uno Stato ha colpito direttamente la capitale di un Paese mediatore durante trattative di pace ufficiali. È "la prima volta che l'Idfattacca il Qatar", come sottolineano i media israeliani.
Il messaggio è chiaro: non esistono più santuari diplomatici, non ci sono più mediatori "neutrali". L'operazione ha "chiuso pressoché definitivamente le speranze per un'imminente svolta nel negoziato per riportare a casa gli ostaggi israeliani" (Nello Scavo su Avvenire del 9 settembre 2025).
Quello che emerge dall'analisi dell'attacco a Doha è il ritratto di un sistema internazionale in profonda crisi. Le istituzioni multilaterali - ONU, Corte Internazionale di Giustizia, organismi regionali - mantengono una facciata di autorità ma sono sempre più impotenti di fronte alla realpolitik delle grandi e medie potenze.
Proprio mentre si consumava il perfido e vile attacco israeliano sui cieli di Doha, l'Europa annaspava tentando di dare una risposta che avesse un senso alla crisi del diritto internazionale. Nel suo discorso sullo Stato dell'Unione del 10 settembre, Ursula Von der Leyen ha annunciato quello che ha definito "un pacchetto di misure" contro Israele.
Le proposte della Commissione Europea includono la "sospensione del sostegno bilaterale a Israele", sanzioni contro "ministri estremisti e coloni violenti" e una "sospensione parziale dell'Accordo di Associazione sulle questioni commerciali". Ma la stessa Von der Leyen ha ammesso i limiti di questa iniziativa: "Sono consapevole che sarà difficile trovare la maggioranza. E so che qualsiasi azione sarà eccessiva per alcuni. Troppo poca per altri". Una confessione di impotenza che rivela la paralisi strutturale dell'Unione di fronte alle crisi internazionali. In buona sostanza, la montagna ha partorito il topo.
Il problema di fondo rimane quindi irrisolto: le proposte devono essere approvate dal Consiglio, "Non è chiaro però se le proposte di Von der Leyen avranno il sostegno necessario per essere approvate: in passato iniziative simili non hanno avuto successo a causa dell'opposizione di alcuni paesi più restii a sanzionare Israele, come Ungheria, Italia eGermania" (Il Post, 10 settembre).
Non ultimo tali teoriche misure vengono annunciate solo dopo l'ennesima violazione da parte di Israele della sovranità di un Paese terzo. Un tempismo che sottolinea come l'Europa sia sempre in ritardo rispetto agli eventi, costretta a rincorrere una realtà che sfugge al suo controllo.
L'episodio di Doha segna probabilmente la fine dell'illusione che il diritto internazionale possa ancora fungere da argine efficace contro l'uso arbitrario della forza. In un mondo multipolare ma privo di leadership condivisa, ogni attore sembra disposto a forzare le regole del gioco quando in ballo ci sono interessi vitali.
La risposta europea - tardiva e probabilmente inadeguata - dimostra come anche le potenze democratiche siano incapaci di imporre il rispetto delle norme che esse stesse hanno contribuito a creare. Come osserva Hilde Vautmans, deputata europea liberale belga vicina a Kaja Kallas (Vice-Presidente della Commissione europea): "Se l'Europa continua a parlare di valori senza agire, tradiremo la promessa del 'mai più'".
La domanda che emerge è cruciale: se il diritto internazionale non riesce più a garantire ordine e prevedibilità, quale sarà il nuovo equilibrio? La risposta, al momento, sembra essere quella della forza bruta temperata solo dalla capacità di deterrenza reciproca.
Il Qatar, dal canto suo, si trova ora davanti a una scelta storica: accettare passivamente la violazione della propria sovranità o reagire, rischiando una escalation che potrebbe coinvolgere l'intera regione, se non l'intero Pianeta. La valutazione di "se e come rispondere all'attacco israeliano" rappresenta forse il banco di prova finale per la credibilità del diritto internazionale nel secolo in corso.
In questo scenario, le parole di Margelletti assumono un valore profetico: in un mondo dove "è cambiato tutto", chi ha la forza detta le regole. E il diritto internazionale? Rimane una nobile aspirazione, sempre più distante dalla brutale realtà della politica di potenza.
Di Eugenio Cardi
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