11 Agosto 2025
Giornalisti morti Gaza Fonte: X @AbujomaaGaza
Nella notte tra il 10 e l'11 agosto, in una tenda di fortuna davanti all'ospedale Al-Shifa, sono stati freddati cinque giornalisti di Al Jazeera: Anas al-Sharif, 28 anni, Mohammed Qreiqeh, i cameraman Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa. L'ultimo video di al-Sharif, postato pochi minuti prima della morte, mostrava il cielo di Gazailluminato dalle bombe israeliane: "Bombardamenti senza sosta... da due ore l'aggressione israeliana su Gaza City si intensifica."
Non è stata una fatalità. Non un "danno collaterale". Israele ha rivendicato pubblicamente l'assassinio, accusando al-Sharif di essere "un terrorista travestito da giornalista". La stessa identica narrazione-menzogna utilizzata per giustificare l'eliminazione sistematica di oltre 217 giornalisti palestinesi uccisi dall'inizio dell'attacco armato continuo in quel di Gaza. La ragione è fin troppo evidente: Israele non vuole testimoni dell'orribile carneficina che ha compiuto fino ad oggi a danno del popolo palestinese e soprattutto di quel che si appresta a fare, davanti allo sguardo attonito ma immobile e impotente – spesso complice – di tutto il mondo.
I dati parlano di una catastrofe senza precedenti nella storia del giornalismo moderno:
Secondo il Committee to Protect Journalists, il 2024 è stato l'anno più letale per i giornalisti nella storia dell'organizzazione, superando anche il tragico record del 2007 durante la guerra in Iraq. La differenza sostanziale è che in Iraq la violenza era frammentata tra diversi attori, mentre a Gaza esiste un chiaro pattern di targeting sistematico da parte di un singolo esercito: l'IDF, l'esercito israeliano.
La strategia israeliana per silenziare Gaza segue un copione ormai consolidato:
Mentre a Gaza si consuma il più grande massacro di giornalisti della storia contemporanea, i media occidentali continuano a perpetrare quella che può essere definita solo come complicità attraverso il silenzio o, ancor peggio, alimentando la narrativa israeliana a proposito di inesistenti affiliazioni con Hamas dei giornalisti assassinati.
Più di 1.500 giornalisti di decine di organizzazioni statunitensi hanno firmato una lettera aperta denunciando la copertura occidentale del conflitto, accusando le loro stesse redazioni di:
Dieci giornalisti di CNN e BBC hanno rivelato ad Al Jazeera le dinamiche interne delle loro redazioni, esponendo:
Un caso emblematico: nel novembre 2024, CNN ha mandato in onda false accuse israeliane su un ospedale pediatrico di Gaza, ignorando i propri produttori palestinesi che avevano già segnalato l'inaccuratezza delle informazioni.
Nel 2024, l'UNESCO ha assegnato il World Press Freedom Prize ai giornalisti palestinesi di Gaza. Un riconoscimento che arriva mentre questi stessi giornalisti vengono sistematicamente eliminati, e che sottolinea l'ipocrisia di un sistema che premia post-mortem chi non ha saputo proteggere in vita.
Israele ha implementato quello che può essere definito solo come un assedio informativo totale:
Il risultato è che Gaza è diventata una "zona di morte" per l'informazione, dove solo i giornalisti locali - ormai ridotti drasticamente di numero - possono testimoniare l'orrore quotidiano.
Quando i media occidentali falliscono nel loro dovere di cronaca, quando trasformano la vittima in carnefice e il carnefice in vittima, non stanno solo tradendo l'etica giornalistica. Stanno diventando complici di un genocidio.
Ogni giorno di silenzio su Gaza è un giorno in cui la verità muore un po' di più. Ogni articolo che omette il contesto storico, ogni servizio che ripete acriticamente le versioni ufficiali israeliane, ogni intervista che chiede ai palestinesi di "condannare Hamas" senza chiedere agli israeliani di condannare l'apartheid, è un mattone nel muro di impunità che permette la continuazione di questa carneficina.
Nonostante tutto, i giornalisti palestinesi continuano a resistere. Con attrezzature improvvisate, senza elettricità, sotto le bombe, affamati e terrorizzati, continuano a documentare l'indicibile. Sono loro i veri eroi di questa guerra, i testimoni che rischiano tutto per impedire che Gazadiventi un buco nero dell'informazione.
Motaz Azaiza, Plestia Alaqad, Bisan Owda e decine di altri reporter hanno trasformato i social media nell'ultima trincea della verità, raggiungendo milioni di persone che non vedranno mai le loro storie sui media mainstream occidentali.
Anas al-Sharif, prima di morire, aveva scritto: "Tutto questo accade perché la mia copertura dei crimini dell'occupazione israeliana li danneggia e rovina la loro immagine nel mondo. Mi accusano di essere un terrorista perché l'occupazione vuole assassinarmi moralmente."
Aveva ragione. E ora è morto.
La sua morte, come quella dei suoi 216 colleghi, non deve essere vana. È nostro dovere - di giornalisti, di cittadini, di esseri umani - ricordare i loro nomi, amplificare le loro voci, denunciare chi li ha uccisi e chi, con il silenzio, si è reso complice.
Perché quando uccidi un giornalista, non uccidi solo una persona. Uccidi la verità. E senza verità, non c'è giustizia. Senza giustizia, non c'è pace.
I loro nomi non devono essere dimenticati. Le loro voci devono continuare a risuonare. La verità su Gaza deve emergere.
Questo articolo è dedicato alla memoria di tutti i giornalisti palestinesi uccisi a Gaza e al coraggio di chi, nonostante tutto, continua a testimoniare.
Di Eugenio Cardi
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