È stata sequestrata a 45 miglia da Gaza, in mare aperto, nella notte tra sabato 26 e domenica 27 luglio, la Handala, imbarcazione della Freedom Flotilla Coalition salpata dall’Italia con destinazione Gaza. A bordo, 21 attivisti internazionali — tra cui due italiani, Antonio Mazzeo e Antonio La Picirella — ora in stato di fermo presso il porto israeliano di Ashdod. L’azione della Marina israeliana ha suscitato numerose reazioni, con la Farnesina che segue il caso da vicino. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha riferito che ai due connazionali sono state offerte due opzioni: firmare una dichiarazione per il rimpatrio immediato oppure essere detenuti e rimpatriati forzatamente entro tre giorni.
La Handala rappresenta la 37ª missione della Flotilla in quasi due decenni. Una lunga serie di iniziative simboliche con l’intento dichiarato di “rompere l’assedio di Gaza”. Tuttavia, questa vicenda riporta alla luce le contraddizioni di un attivismo che fatica a incidere concretamente sulla realtà del conflitto. La nave, infatti, era una piccola imbarcazione civile, con una capacità di trasporto limitata. Nonostante l’intento dichiarato di "consegnare aiuti umanitari" — cibo e materiale sanitario — è evidente che il volume trasportato non sarebbe stato sufficiente.
Mentre si moltiplicano le dichiarazioni di solidarietà verso gli attivisti, alcuni osservatori sollevano dubbi sull’efficacia delle operazioni. La questione del blocco navale israeliano resta centrale e contrario al diritto umanitario internazionale.
Tajani, oltre a chiedere l’apertura di canali umanitari permanenti per gli aiuti — tra cui quelli dell’iniziativa italiana “Food for Gaza” — ha sottolineato la necessità di “interrompere definitivamente le operazioni militari”. Intanto, la Handala resta ormeggiata ad Ashdod.