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Casa Bianca, Trump immola Netanyahu per fare la sua “pace” a Gaza: "Risolvi rapidamente la guerra", Usa pronti contro Iran se salta accordo sul nucleare

Nello Studio Ovale c’è stato il “protocollo” Zelensky anche per Bibi, ma non sull’abbigliamento come era accaduto col presidente ucraino; il suo assenso forzato di Netanyahu ai colloqui tra Usa e Iran sul nucleare ha dimostrato la sua marginalità

10 Aprile 2025

Netanyahu a Washington per incontro con Trump, sul tavolo "aiuti" militari per un mld $ per Tel Aviv e annessione a Israele di parti della Cisgiordania

Trump e Netanyahu (screen video ItalPresse)

Pensava di ritornare dagli Usa come un trionfatore, come qualcuno in grado di parlare da pari a pari con il presidente Donald Trump, invece Benjamin Netanyahu ha trovato ad attenderlo al rientro solo la convocazione dei giudici per il suo processo e l’immagine evidente di essere solo una comparsa nello show che va in onda tutti i giorni dalla Casa Bianca.

Nello Studio Ovale c’è stato il “protocollo” Zelensky anche per Bibi, ma non sull’abbigliamento come era accaduto col presidente ucraino. Netanyahu era in Ungheria quando ha ricevuto l’invito dell’ultimo minuto a Washington. È improbabile che siano stati fatti preparativi sufficienti prima dell’incontro. Prima che iniziasse, i portavoce del premier ne prevedevano l’esito: Trump avrebbe esentato Israele dai dazi imposti la settimana prima o almeno ne avrebbe ridotto l’aliquota. Pensavano che avrebbe dato sostegno a Netanyahu contro l’immaginario “deep State” contro cui entrambi i leader si battono, o che avrebbe lanciato nuove minacce all’Iran. Niente di tutto ciò è accaduto. Mentre Trump parlava, Netanyahu con una orribile cravatta rossa – simile a quella di Trump – guardava il pavimento, a un certo punto è sembrato mordersi le unghie.

L’assenso forzato di Netanyahu ai colloqui tra Usa e Iran sul nucleare ha dimostrato la sua marginalità. Durante il primo mandato Trump fu convinto da Netanyahu a ritirarsi dagli accordi del 2015 – firmati anche dalla Ue – adesso ha perso quel ruolo di “consigliori” ed è diventato un attore marginale nel Trump-show. “Risolvi rapidamente la questione di Gaza”. Glielo ha detto chiaramente Trump a Bibi, che vede scomparire all’orizzonte anche le sue promesse preelettorali di chiudere la guerra di Gaza e quella in Ucraina in pochi giorni.

A Gaza il nuovo Chief of Staff israeliano – il generale Eyal Zamir – si muove strategicamente in maniera diversa dal suo precedessore. L’Idf sta isolando la città di Rafah con un corridoio che taglia a nord l’intero abitato, del tutto simile a quello a sud – noto come Philadelphia Road – che delimita il confine con l’Egitto. Con bombe e volantini di avvertimento, l’Idf vuole svuotare la città. Più a nord i fitti bombardamenti che “cercano” miliziani di Hamas – ieri è stato ucciso un comandante locale – si lasciano dietro una scia di morti palestinesi civili.

Ieri sono stati 35. Il generale Zamir sa perfettamente che senza un’avanzata di terra non ci può essere quella “vittoria totale” su Hamas che Netanyahu continua a promettere, indifferente alle grandi manifestazioni che chiedono di trattare con Hamas e far tornare gli ostaggi – forse 24 – ancora vivi. Il presidente Usa ha delineato le priorità della sua amministrazione: un accordo con l’Arabia Saudita, la fine della guerra di Gaza, una risoluzione della questione nucleare iraniana e interessi condivisi con la Turchia, Paese amico che ha messo sotto controllo la Siria, in maniera efficace. I colloqui – diretti o meno a Muscat in Oman sabato – sono il primo vero contatto fra Usa e Iran dall’insediamento di Trump.

Com’è nel suo stile, Trump invita l’Iran al dialogo – alle sue condizioni – nel frattempo è quasi completato il buid-up militare che ha ordinato in caso di fallimento delle trattative. Ci sono due squadre navali Usa con portaerei che presidiano Mar Rosso e lo Stretto di Hormuz.

Gli Stati del Golfo hanno imposto rigide limitazioni all’uso delle basi aeree Usa sul loro territorio per colpire gli Houthi nello Yemen, consentire agli Usa di bombardare l’Iran direttamente dai loro Stati sarebbe molto più rischioso per i monarchi del Golfo. Diventa così strategico un minuscolo puntino nella mappa dell’Oceano Indiano che gli Usa sfruttano da decenni per proiettare la loro potenza militare in Medio Oriente. Nella base sull’isola di Diego Garcia, sono già stati schierati 6 bombardieri B-2, velivoli “stealth” utilizzati per attacchi di precisione, utilizzati in Iraq e in Afghanistan. Sulle piste della base anche i grandi
aerei cisterna KC-135 per il rifornimento in volo. I B-2 sono in grado di trasportare bombe “bunker-buster” da 14 tonnellate necessarie per penetrare nei siti nucleari iraniani in profondità nel sottosuolo, note come Massive Ordnance Penetrator. La loro base d’attacco a Diego Garcia colloca i bombardieri Usa entro 4.000 chilometri dal territorio Houthi e 5.300 chilometri dall’Iran, ben entro il loro raggio di rifornimento di circa 11.000 chilometri.

Di Fabio Scuto, fonte: Il Fatto Quotidiano

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