01 Agosto 2023
Fonte: Ansa
Si allargano le fiamme dell’incendio scoppiato negli ultimi giorni in Niger. Dopo la presa del potere da parte della giunta militare del generale Abdourahamane Tchiani (ex comandante della guardia del presidente Mohamed Bazoum) continuano gli scontri tra golpisti e lealisti del deposto governo, in un gioco delle parti nelle quale si mischiano tanto gli interessi locali, in particolare degli altri Paesi del Sahel recentemente fatti oggetto di colpi di stato (Mali e Burkina Faso in primis), quanto quelli di attori internazionali come Stati Uniti, Unione Europea e Russia.
I primi a schierarsi contro i golpisti erano stati i rappresentanti della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), che già domenica 30 luglio avevano comunicato come la Comunità (di cui fanno parte 15 Paesi della regione) fosse pronta ad intervenire direttamente in Niger per riportare l’ordine e liberare il presidente Bazoum.
Un’affermazione forte e netta, alla quale era seguito il plauso occidentale, ma che sembra ora molto ridimensionata, dopo che due soggetti di primaria importanza nell’Ecowas, il Mali ed il Burkina Faso, hanno minacciato di prendere le difese, militarmente, degli insorti in caso di qualsiasi intervento esterno. Di fatto, facendosi protettori del colpo di stato.
Contro l’interventismo dell’Ecowas, poi, si schiera anche la Guinea, altro Paese recentemente interessato da un colpo di Stato e, come il Mali, il Burkina Faso e la giunta al potere in queste ore in Niger, ostile alla fazione filo occidentale.
Non è un caso quindi, se numerosi dei colpi di stato recentemente verificatesi nella regione del Sahel, compresi quelli dei paesi citati, sembrano aver visto l’influenza della brigata russa Wagner, i cui simboli, insieme alle bandiere della federazione russa e della repubblica nigerina, sono stati visti sventolare in numerose occasioni nelle ultime ore a Niamey, capitale nigerina.
Molti osservatori ritengono che la destabilizzazione degli ultimi mesi nella “cintura dei golpe” potrebbe essere una forma di attacco “di sponda” rivolto alla sicurezza europea. In un periodo nel quale la crisi dei flussi migratori nel Mediterraneo, infatti, è più che mai acuta, la presenza di regimi filo-Mosca nella maggior parte dei Paesi che compongono la prima linea dell’Africa sub-sahariana, appena al di là dei confini dei fragili alleati nord africani, rischia di presentarsi come un fattuale attentato alla stabilità tanto del continente africano quanto di quello europeo.
Una situazione, questa, chiara a diverse cancellerie europee, in particolare Parigi e Roma, con la prima interessata a mantenere la propria influenza sulle ex colonie (la cosiddetta Francafique) e la seconda più che mai determinata alla stabilizzazione ed alla ricostruzione di rapporti sani ed equilibrati con questa area del mondo, tanto sul piano energetico, quanto su quello migratorio.
Non a caso il Ministro della Difesa italiano ha invitato la controparte francese ad agire con raziocinio in Niger, cercando di evitare di ripetere i tragici errori del disastroso intervento nella Libia di Gheddafi, preparato oltralpe senza alcuna considerazione strategica sul lungo periodo e tramutatosi dopo l’assassinio dell’autocrate in decenni di instabilità, caos e guerra civile. “Non è il momento di fare i cow-boy”, sono state le parole pronunciate da Crosetto commentando la minacciosità francese nella risposta ai golpisti.
A preoccupare Italia e alleati, però, non c’è solo la possibilità di un nuovo regno del caos per mano di Parigi, ma anche il fatto che, per la prima volta, truppe francesi, e forse statunitensi (gli Usa hanno in Niger una delle più grandi infrastrutture mai costruite dalla loro aeronautica, la Air base 201, nella quale, secondo indiscrezioni, sarebbero alloggiati centinaia di militari e decine di droni), possano trovarsi faccia a faccia con reparti della Wagner.
Non sarebbe la prima volta che forze occidentali e russe si incontrano (è successo, e continua a succedere, in Siria), ma ciò nonostante tale situazione continua a rappresentare una pericolosa escalation, le conseguenze della quale non è ad oggi chiaro se andranno a ripercuotersi sul dossier ucraino, in particolare dopo l’ufficiale smentita di Mosca ad un proprio coinvolgimento nel Paese del Sahel. Un comunicato, questo, nel quale si è cercato di trasmettere l’idea di un colpo di testa della Wagner, ma per il quale, non solo in Occidente, si nutrono ad oggi non pochi dubbi.
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