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Confindustria, Mariotti su ddl mercato e concorrenza: "Concessioni, rimuovere barriere all’ingresso per i newcomer"

Francesca Mariotti, Direttrice Generale di Confindustria, è intervenuta in audizione presso la X Commissione del Senato: "Necessità di una normativa organica in tema di concessioni, che, nel garantire procedure competitive trasparenti, preveda una durata della concessione coerente con l’investimento realizzato dall’impresa, ai fini del relativo ammortamento"

08 Febbraio 2022

Confindustria, Mariotti ddl mercato e concorrenza:  "Modernizzare alcuni settori economici e rimuovere barriere all’ingresso per i newcomer"

Francesca Mariotti, Direttrice Generale di Confindustria, è intervenuta ieri in audizione presso la X Commissione del Senato sul disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 per illustrare la posizione dell'organizzazione delle imprese.

"Per quanto riguarda il sistema delle concessioni, il DDL ha anzitutto l’obiettivo di modernizzare alcuni settori economici e rimuovere barriere all’ingresso per i cosiddetti newcomer, intervenendo, tra le altre, sulle procedure concessorie in materia di porti e di distribuzione del gas naturale.

In generale, Confindustria ha più volte evidenziato la necessità di una normativa organica in tema di concessioni, che, nel garantire procedure competitive trasparenti, preveda - tra l’altro – una durata della concessione coerente con l’investimento realizzato dall’impresa, ai fini del relativo ammortamento, dovendosi valutare una quota di uscita nel caso di avvicendamento nel tempo dei concessionari.

Tali principi sono ben recepiti nelle misure del DDL riguardanti la concessione delle aree demaniali portuali, per le quali si prevedono procedure a evidenza pubblica, a garanzia di condizioni di concorrenza effettiva. Al contempo, segnaliamo l’esigenza di procedere all’adozione del regolamento attuativo previsto dalla legge-quadro sui porti, per evitare che la regolamentazione specifica nelle singole realtà portuali conduca a una frammentazione delle regole competitive, come sta già in parte avvenendo. La regolamentazione attuativa sulle concessioni portuali sarebbe anche l’ambito più idoneo per regolare in modo meno generico il ruolo della c.d. “istanza di parte” rispetto all’avviso pubblico per l’affidamento delle concessioni sulla base di procedure concorrenziali.

Riguardo alle competenze regolatorie, si evidenzia anche l’esigenza di precisare e chiarire meglio quelle del Ministero competente e delle Autorità di Sistema Portuale rispetto a quelle dell’Autorità dei Trasporti, per evitare sovrapposizioni o duplicazioni.

Positiva la previsione per cui è sottoposta a concessione anche la realizzazione e gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare, nell’ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee se interessati da traffico portuale.

Desta, invece, perplessità la previsione, in linea di principio condivisibile, di alcune eccezioni all’applicazione del principio del c.d. divieto di cumulo di concessioni, in un unico soggetto, per la stessa attività e nello stesso porto. In particolare, il DDL prevede che una stessa impresa possa essere affidataria di più concessioni, per lo svolgimento di medesime attività in aree demaniali diverse, laddove si tratti di porti di rilevanza economica internazionale e nazionale; tuttavia, il divieto di scambio di manodopera tra le due concessioni andrebbe meglio regolato, anche per dare spazio a potenziali sinergie industriali utili a sviluppare l’effettiva competitività delle aree portuali affidate in concessione.

In materia di concessioni di distribuzione del gas naturale, esprimiamo perplessità in relazione ad alcune specifiche misure del DDL.

In primo luogo, la previsione che consente all’Ente locale di sanzionare il gestore uscente, qualora questi non fornisca tutte le informazioni necessarie per predisporre il bando di gara entro un certo termine. Tale potere sanzionatorio si sovrapporrebbe a quello dell’AGCM, in quanto l’omessa trasmissione delle informazioni potrebbe integrare un abuso di posizione dominante, già valutabile dall’Autorità sul piano sanzionatorio. Pertanto, anche nel rispetto del principio del ne bis in idem, il potere sanzionatorio degli Enti locali andrebbe eliminato.

In secondo luogo, andrebbero introdotte misure di incentivazione e penalizzazione volte a responsabilizzare gli Enti locali nello svolgimento dei propri compiti in relazione alle procedure di gara. Nell’attuale contesto, infatti, l’inerzia anche di un solo Comune può bloccare la procedura di gara dell’intero ambito.

Infine, per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale a favore dei gestori uscenti, andrebbero riviste le modalità di semplificazione del procedimento di analisi degli scostamenti VIR-RAB (entità del valore di rimborso rispetto al valore delle immobilizzazioni nette di località calcolate nella regolazione tariffaria, al netto dei contributi) previste dal DDL. In particolare, andrebbe introdotto un unico regime semplificato d’ambito, che preveda un innalzamento delle soglie di scostamento VIR-RAB oggi previste, portandole al 20% per quanto riguarda il valore aggregato d’ambito e al 50% per quanto riguarda il singolo Comune, per superare le principali criticità nel percorso di pubblicazione dei bandi di gara oggi esistenti.

Nell'ambito della gestione dei rifiuti, riteniamo apprezzabili le misure contenute nel DDL finalizzate a rafforzare l’efficienza e il dinamismo concorrenziale nel settore della gestione dei rifiuti.

In particolare, condividiamo l’esclusione dalla corresponsione della componente tariffaria, rapportata alla quantità dei rifiuti depositati, per le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani, qualora li conferiscano al di fuori del servizio pubblico e dimostrino di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che lo effettua.

Parimenti apprezzabile la scelta di ridurre da 5 a 2 anni la durata degli accordi contrattuali con il gestore pubblico o con l’operatore privato per la gestione dei rifiuti, in quanto la disciplina vigente consente di rientrare nella gestione pubblica in ogni momento, quindi anche prima del decorso dei cinque anni, mentre tale possibilità non è consentita al privato. Ciò crea una disparità di trattamento tra operatori, pubblici e privati, che il DDL supera.

Inoltre, il DDL attribuisce specifiche competenze regolatorie all’ARERA per il rafforzamento degli standard qualitativi per l’erogazione delle attività di smaltimento e recupero. All’ARERA viene, tra l’altro, consentito di richiedere agli operatori informazioni relative ai costi di gestione, alle caratteristiche dei flussi e a ogni altro elemento idoneo a monitorare le concrete modalità di svolgimento dell’attività di smaltimento e di recupero e la loro incidenza sui corrispettivi applicati all’utenza finale. Al riguardo, evidenziamo che, anche attraverso il confronto preventivo con gli operatori, tali nuove competenze dovranno essere ispirate alla semplificazione degli adempimenti, senza aggravi informativi ed economici per le imprese.

Infine, condividiamo la scelta di escludere, dal novero dei soggetti coinvolti nell’accordo di programma CONAI sui rifiuti di imballaggio, i gestori delle piattaforme di selezione, perché evita potenziali conflitti di interesse nella definizione degli accordi, che devono riguardare i soggetti effettivamente responsabili del raggiungimento degli obiettivi europei di riciclo.

In materia di servizi pubblici locali, condividiamo le finalità di fondo del DDL di apertura dei mercati e di contrasto all’eccessivo ricorso all’affidamento in house. Al contempo, rileviamo anche l’esigenza di procedere a una riforma organica, omogenea, certa nei tempi, concretamente attuabile e con una fase transitoria coerente con i problemi economico-finanziari della pandemia ancora da assorbire e con le opportunità del PNRR.

In particolare, nel trasporto pubblico locale (TPL) si profilano misure differenti, che potrebbero produrre una segmentazione regolatoria del mercato, tra affidamenti in corso e prevalentemente in house che dureranno anche oltre il 2030, sui quali potrà agire la riforma dei servizi pubblici locali; e quelli da affidare con gara già quest’anno, per i quali si prevede l’obbligo di svolgere una gara, con penalità in caso di inadempimento.

In tal senso, sarebbe auspicabile che l’intervento in tema di affidamento dei servizi di TPL fosse inserito nel contesto di una revisione complessiva del quadro regolatorio di settore, secondo quanto suggerito nel documento finale della Commissione ministeriale di studio incaricata del tema.

Per quanto riguarda la rimozione degli oneri per le imprese, sono particolarmente apprezzabili le due deleghe in tema di revisione dei procedimenti amministrativi in funzione pro-concorrenziale.

La prima prevede la ricognizione, la semplificazione e l’individuazione delle attività oggetto di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio-assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso o è sufficiente una comunicazione preventiva.

Ove realizzata entro termini ragionevoli, e previa consultazione delle categorie interessate, si tratterà di una meritoria attività di eliminazione di vincoli ingiustificati o sproporzionati sulle attività economiche, ma anche di modernizzazione del modus operandi della PA, attraverso la reingegnerizzazione digitale di procedimenti e adempimenti. In proposito, Confindustria ribadisce che tra le priorità di intervento vi sono senz’altro le autorizzazioni ambientali ed energetiche, l’edilizia e la rigenerazione urbana, le Zone economiche speciali.

La seconda delega ha l’ambizioso obiettivo di semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche. Si condivide, in particolare, il criterio direttivo che prevede meccanismi di dialogo e valorizzazione dei comportamenti virtuosi delle imprese, anche attraverso strumenti premiali. Ciò potrebbe rappresentare uno stimolo all’implementazione di presidi organizzativi da parte delle imprese, non soltanto mediante il riconoscimento di un’efficacia esimente in sede sanzionatoria (spesso, peraltro, vanificato nella prassi) ma, ancor prima, escludendo tali imprese, almeno in prima battuta, dal perimetro dei soggetti da sottoporre a controlli da parte delle autorità pubbliche.

In altri casi, invece, il disegno di legge, pur perseguendo condivisibili obiettivi di trasparenza, rischia di favorire situazioni di “concorrenza imperfetta” tra operatori pubblici e privati.

È il caso dei nuovi criteri per le procedure di accreditamento e convenzionamento delle strutture sanitarie private. Tali requisiti concorrenziali, riguardanti la qualità e il volume dei servizi da erogare, sono previsti solo per gli operatori privati e viene mantenuto il limite massimo all’acquisto delle prestazioni sanitarie, sempre per le strutture private, previsto dal DL n. 95/2012. Ciò rende necessaria una modifica del DDL per garantire che la valutazione degli operatori sia effettuata tenendo conto, per quelli già titolari di accordi contrattuali, dell’attività svolta e dell’assetto di accreditamento esistente, nonché delle risorse disponibili, considerato il citato limite massimo imposto da ormai un decennio.

Esprimiamo poi contrarietà per l’abrogazione, prevista dal DDL, della norma vigente in base alla quale i medicinali equivalenti ai sensi di legge non possono essere classificati come farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale prima della scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare sui c.d. originatori.

Infatti, tale abrogazione, insieme all’attuale possibilità per i farmaci equivalenti di ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio durante la vigenza della tutela brevettuale del farmaco originatore, rischia di favorire condotte di contraffazione, attraverso l’immissione in commercio del generico prima della scadenza del brevetto, con la conseguenza di aumentare i contenziosi, a danno del titolare del brevetto su cui incombe l’onere della prova.

Questa prospettiva appare non solo contradditoria rispetto agli obiettivi di deflazione del contenzioso ma, soprattutto, insostenibile per l’industria innovativa, i cui investimenti in R&S e tutela brevettuale sarebbero minati dalla incertezza legata a contenziosi lunghi ed economicamente dispendiosi, soprattutto per le PMI.

Consentire la rimborsabilità dei farmaci equivalenti in vigenza di copertura brevettuale, comprometterebbe la fiducia nella tutela brevettuale, a danno delle imprese che investono in R&S, con preoccupanti ripercussioni sulla capacità competitiva del nostro Paese.

In ambito di antitrust, affianco all’attuale sistema obbligatorio di notifica da parte delle imprese, il DDL introduce la facoltà per l’AGCM di richiedere, motivandola, la notifica di operazioni di concentrazione sottosoglia di cui sia venuta a conoscenza, qualora sussistano concreti rischi per la concorrenza nel mercato nazionale, tenuto anche conto degli effetti pregiudizievoli per lo sviluppo di piccole imprese innovative.

La ratio della misura - aggiornare la disciplina all’evoluzione dei mercati, in particolare quello digitale - è comprensibile, tanto che la Commissione UE, in una recente Comunicazione, ha rilevato che alcune operazioni di concentrazione problematiche in chiave prospettica sono sfuggite all’attuale sistema di controllo. Tuttavia, non si può non considerare che le discipline antitrust nazionali sono state recentemente modificate a valle del recepimento della Direttiva ECN+ (Direttiva 2019/1). Se si intende assicurare un’effettiva armonizzazione, occorre evitare fughe in avanti e lasciare che sia il legislatore europeo a dettare una linea comune. Pertanto, la norma in questione andrebbe rimeditata.

Il DDL interviene poi sulla disciplina di contrasto dell’abuso di dipendenza economica: i) introducendo una presunzione relativa di dipendenza economica da parte di un’impresa che utilizzi servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale con un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori; ii) integrando le pratiche che possono dar luogo all’abuso. L’effetto sarebbe di anticipare uno dei contenuti della proposta di Regolamento europeo “Digital Market Act” (COM 842/2020), che punta a garantire equità e contendibilità dei mercati in cui operino i prestatori dei servizi digitali definiti come gatekeeper.

L’iter del DMA procede speditamente attraverso un’intensa attività di consultazione e analisi tra istituzioni, esperti e stakeholder, per cui l’approvazione della norma contenuta nel DDL rischia di creare un disallineamento della legislazione italiana rispetto a quella europea, che invece mira a definire un quadro uniforme.

Infine, il DDL amplia i poteri d’indagine dell’AGCM consentendole in ogni momento - quindi anche al di fuori di procedimenti istruttori - di richiedere, a imprese o ad enti, informazioni e documenti utili ai fini dell’applicazione della normativa, nazionale ed europea, in materia di intese restrittive, abuso di posizione dominante e operazioni di concentrazione e di irrogare sanzioni amministrative in caso di rifiuto o ritardo nel fornire le informazioni o i documenti richiesti o in presenza di informazioni ingannevoli od omissive.

La norma desta molte perplessità. Infatti, oltre a non essere chiaro il riferimento europeo cui si aggancerebbe, il recepimento della Direttiva ECN+ (col D. Lgs. n. 185/2021) è già stata l’occasione per modificare la Legge n. 287/1990 ampliando notevolmente le prerogative dell’AGCM. Pertanto, tornare a modificare profili procedurali, a così breve distanza di tempo, non favorirebbe di certo la certezza giuridica.

A nostro avviso, il DDL potrebbe poi essere rafforzato attraverso misure pro-concorrenziali in settori strategici per la competitività del paese, come quello dei servizi professionali e del mercato dei contratti pubblici.

Riguardo ai servizi professionali, Confindustria è consapevole che la competitività delle imprese dipende anche dall’efficiente funzionamento dei mercati dei servizi. Si stima che le riforme introdotte nel 2011 con il DL “Salva Italia” abbiano aumentato in modo permanente la produttività totale dei fattori di circa il 4%[3]. È il motivo per cui occorre evitare arretramenti in questo campo.

In particolare, è necessario avviare una riflessione sul tema dell’equo compenso.

Con diversi interventi normativi, che ne hanno via via ampliato l’ambito di applicazione, l’equo compenso è divenuto regola per i rapporti tra professionisti e imprese bancarie, assicurative, o comunque grandi imprese, regolati da convenzioni unilateralmente predisposte. Seppur si tratti di un istituto che, in alcuni casi specifici, può rivestire una funzione di riequilibrio delle posizioni negoziali, una sua applicazione estesa e generalizzata finirebbe per reintrodurre, di fatto, i minimi tariffari, con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo[4]. Occorre, quindi, chiarire la portata dell’equo compenso e circoscriverne l’applicazione solo laddove via sia un palese squilibrio nei rapporti negoziali tra le parti.

Inoltre, segnaliamo un’ulteriore problematica, che potrebbe derivare dall’attuazione della recente legge delega sulla riforma del processo civile, con riferimento allo strumento della conciliazione in sede sindacale. Infatti, la delega ha esteso l’ambito applicativo della negoziazione assistita alle cause di lavoro e ne ha previsto la possibilità di utilizzo in modalità telematica, laddove invece tali modalità sono, a oggi, precluse per la conciliazione in sede sindacale. Pertanto, sarebbe opportuno estendere l’utilizzo di modalità telematiche anche alla conciliazione in sede sindacale, che costituisce il più tradizionale e diffuso strumento di risoluzione alternativa delle controversie di lavoro.

In modo analogo, il DDL potrebbe essere rafforzato mediante interventi puntuali sul mercato dei contratti pubblici.

Ad esempio, sarebbe opportuno puntare in modo strutturato e sistematico sugli appalti di innovazione, che avrebbero ricadute positive in termini di qualità ed efficacia dei servizi resi dalla PA, oltre che di sviluppo tecnologico delle imprese. Proprio per questo, già in occasione di precedenti provvedimenti, Confindustria ha proposto una misura che fissi, per le amministrazioni medio-grandi, un obiettivo minimo di spesa non inferiore all’1% delle risorse stanziate per appalti di lavori e di beni e servizi, da destinare all'acquisto di soluzioni innovative e ad acquisti di ricerca e sviluppo, attraverso gli appalti di innovazione.

Più in generale, Confindustria ribadisce la necessità di rimuovere dai bandi di gara le clausole restrittive della concorrenza, che rischiano di disincentivare la partecipazione, introducendo sia limitazioni del novero dei soggetti che possono partecipare, sia discriminazioni tra coloro che sono ammessi a partecipare.

In proposito, sarà essenziale nel processo attuativo del PNRR costruire le misure e i bandi in modo da coinvolgere il più possibile l’intero tessuto produttivo nazionale, che si compone non solo di grandi “campioni”, ma anche di PMI, imprese localizzate in aree svantaggiate e centri di ricerca sparsi sui territori. Pertanto, il Piano dovrà coinvolgere le filiere produttive, al fine di superare squilibri, antichi e nuovi, e incentivare processi di ammodernamento.

Al contempo, auspichiamo che il DDL possa essere arricchito anche con misure volte a rafforzare il green public procurement (GPP), che può rappresentare uno strumento di politica industriale orientato alla sostenibilità ambientale, a condizione, però, di superare alcune rigidità connesse soprattutto alla messa a punto dei criteri ambientali minimi (CAM).

In particolare, la messa a punto dei CAM risente ancora di un approccio spesso restrittivo e selettivo, mentre sarebbe necessaria una norma quadro per l’individuazione dei CAM e la loro revisione, ispirata ai principi di better regulation e tutela della concorrenza, in modo da garantire: un processo aperto e trasparente di confronto tra le amministrazioni, gli istituti di ricerca e gli operatori economici coinvolti per l’adozione e la revisione dei criteri; ii) l’individuazione di criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori; un processo di revisione semplificato, a vantaggio soprattutto di realtà medio-piccole che non dispongono di adeguate strutture tecniche.

Infine, anche ai fini di un’efficace attuazione della Missione 1 del PNRR, occorrerebbe intervenire sull’adeguamento dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici.

Infatti, l’attuale disciplina costituisce un vincolo strutturale di natura normativa al rapido ed efficace dispiegamento sul territorio italiano della rete 5G. Nelle zone urbanizzate o semi urbane del nostro Paese il limite vigente è inferiore rispetto al range di raccomandazioni europee ed internazionali. Tali limiti costituiscono una penalizzazione competitiva del settore delle telecomunicazioni, se si considera anche che il maggior numero di antenne necessarie per la copertura del territorio con il servizio radiomobile comporta maggior consumo di suolo e maggiore impatto paesaggistico. È pertanto auspicabile allineare la normativa nazionale alle raccomandazioni internazionali, adottando così anche nel nostro Paese i risultati di anni di studi, utili a garantire l’innovazione e la tutela della salute.

Concludo formulando l’auspicio che l’iter del DDL proceda in modo spedito, correggendo le criticità che abbiamo evidenziato, ma senza prestare il fianco ad arretramenti o peggio, e per paradosso, a derive anti-concorrenziali. Inoltre, crediamo che questa discussione possa e debba porre le premesse per un utilizzo davvero sistematico della legge annuale, al contempo stimolando la riflessione su quegli adattamenti delle politiche pro-concorrenziali necessari a sostenere le prospettive di trasformazione dell’economia indotte dagli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione dei sistemi produttivi europei".

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