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Audaci sculture protagoniste della mostra dell’artista Stefano Bombardieri allestita tra il lungomare e le vie del centro di Forte dei Marmi

Interamente composta da opere monumentali allestite tra il lungomare e le vie del centro della città, in dialogo con gli spazi urbani e il paesaggio circostante, la mostra dal 9 aprile al 16 luglio 2022 è l’evento espositivo della primavera e dell’estate fortemarmina

09 Aprile 2022

Stefano Bombardieri

Stefano Bombardieri

Nuova proficua collaborazione tra Comune di Forte dei Marmi, Galleria Oblong Contemporary Art di Dubai e Forte dei Marmi, e Villa Bertelli, che insieme hanno dato vita ad un progetto d’arte interessantissimo dal titolo “Bombardieri e altri animali”, una mostra dell’artista Stefano Bombardieri a cura di Luca Beatrice, che si terrà a Forte dei Marmi dal 9 aprile al 16 luglio 2022.

Elefanti, rinoceronti, animali selvatici, spesso in dialogo con bambini, grandi e audaci sculture sono i protagonisti della nuova mostra dell’artista Stefano Bombardieri  allestita tra il lungomare e le vie del centro di Forte dei Marmi, in dialogo con gli spazi urbani e il paesaggio circostante, evento espositivo della primavera e dell’estate fortemarmina.

Il percorso espositivo inizia in piazza Garibaldi, al Fortino, con Marta e l’elefante, opera emblematica dell’artista che si racconta attraverso un Qr-code da cui si attiva il dialogo tra la bambina e l’elefante interpretato da due attori. Anche Testa Rino, l’imponente testa di rinoceronte è installata in piazza Garibaldi che si arricchisce, così, di una possente presenza scultorea.

Il peso del tempo sospeso/rinoceronte (1), un rinoceronte a grandezza naturale sospeso nello spazio tramite due fasce che ne sollevano il grande peso è collocato nel parco di via Spinetti, mentre, una scultura analoga, Il peso del tempo sospeso/rinoceronte (2), stesso titolo ma grandezza inferiore si trova in via Carducci all’incrocio con via Veneto, nel cuore della passeggiata fortemarmina.

Si prosegue in via Carducci con Struzzo Rubik Whitehorse, dove uno struzzo, che notoriamente nasconde “la testa nella sabbia”, si tuffa nel celebre e magico poliedro inventato dall’ungherese Erno Rubik nel 1974 e che, come affermato dallo stesso creatore, riguarda molto la comprensione del nostro mondo. Quest’opera, fortemente simbolica, che unisce al paradigmatico rompicapo il selvatico struzzo è anch’essa espressiva metafora del mondo contemporaneo secondo la visione di Stefano Bombardieri.

In viale della Repubblica, angolo con via Veneto, nello spazio verde antistante il mare è installata Box Big, una testa di rinoceronte ingabbiata in una struttura metallica che non concede spazio al grande corno centrale che fuoriesce dalla struttura come un vessillo ad indicare il centro dell’opera.

Tribute to group side, posizionata in piazza Kurz, vede ancora un rinoceronte protagonista della monumentale scultura, questa volta il grande mammifero è racchiuso in un blocco da cui fuoriesce la testa, mentre il corpo rimane racchiuso nel parallelepipedo. Qui la visione dell’artista è davvero emblematica e invita a riflettere su questi giganti buoni che rappresentano la natura, quella natura così strettamente legata all’uomo che non può essere vista come un “mondo altro” poiché nelle opere di Bombardieri non è l’animale in sé ad essere protagonista, ma lo è la vita stessa.

Negli spazi aperti che caratterizzano Forte dei Marmi vi è il famoso pontile, l’angolo sospeso sul mare e meta costante di tutti i visitatori. Nello slargo che si apre tra il lungomare e il percorso del pontile stesso sono posizionate due sculture: Totem, che riprende alcuni degli elementi proposti nelle sculture precedenti qui composte a formare un’immagine totemica per sottolineare il valore simbolico della scultura, e l’imponente Insegna torno che, distanziandosi completamente dalle opere che caratterizzano la prima parte del percorso, si compone di cinque bocche sospese su una grande struttura metallica. Ognuna di esse è nell’atto di parlare e tutte insieme compongono un racconto che si esprime in un’immaginaria lingua senza suono ma che invita all’ascolto e alla riflessione.

Dagli spazi aperti si passa alla mostra nella Galleria Oblong Contemporary Art di Via Carducci 45 dove il percorso sull’artista si apre con l’opera Balancing on the past, formata da quattro elementi scultorei posti in sequenza che compongono il dialogo tra il bambino e gli elementi stessi: il teschio di mammut, di una scimmia, un umano memento mori e il globo, su ognuno di essi c’è un bambino in equilibrio, il figlio stesso dell’artista cui l’opera è dedicata. Il messaggio di Stefano Bombardieri riguardante quest’opera è molto preciso e lo riportiamo con le parole stesse dell’artista: “l’opera parla del presente che abbiamo consegnato ai nostri figli e che daremo alle nuove generazioni. Un presente che è il risultato di un passato fatto di scelte sbagliate. Prima noi, e adesso i nostri figli, ci siamo ritrovati in equilibrio instabile ancora alle prese con problemi che avrebbero dovuto risolvere le generazioni che ci hanno preceduto. La storia si ripete”. È chiaro come l’urgenza sia rappresentata dal fare dell’uomo verso la natura.

Seguono un’altra serie di opere di medie e piccole dimensioni che raccontano in scala ridotta il mondo dell’artista come Gorilla seduto; Il peso del tempo sospeso, Il peso del tempo sospeso/Hippo; Il peso del tempo sospeso/Elefante; Barriera invisibile. Nel percorso della mostra in Galleria si può ammirare un’opera unica: la Poltrona rinoceronte, un vero e proprio capolavoro.

Luca Beatrice è il curatore della mostra Bombardieri e altri animali e in un tratto del suo saggio, pubblicato nel catalogo della mostra, suggerisce come: “Dai bisonti dipinti sulle pareti della Grotta di Altamira al gigantesco gallo blu di Katharina Fritsch installato a Trafalgar Square, sono innumerevoli gli episodi in cui gli artisti hanno inserito rappresentazioni monumentali di animali. Vado a memoria: il ragno di Louise Bourgeois, i cani di Velasco e Davide Rivalta, i rettili in plastica della Cracking Art, il Puppy di Jeff Koons. Sono stati raffigurati individualmente o in gruppo, protagonisti sulla scena, complici o potenziali pericoli per gli uomini, depotenziati all’interno di vasche ricolme di formaldeide o conservati in tassidermia. Sebbene abbiano accompagnato centinaia di produzioni pittoriche, scultoree, cinematografiche e pubblicitarie, gli animali non sono quasi mai riusciti a ottenere una posizione autonoma e prominente. Ciò suggerisce che le dinamiche di controllo e potere esercitate dall’essere umano sono state evidenti. La complessità dell’atmosfera bio-politica e multi-geografica nello scenario creativo contemporaneo dimostra che il punto nodale della ricerca artistica è sempre più spesso rappresentato dalla volontà di tornare alle origini, alle pulsioni ancestrali dell’uomo e alla capacità di tessere rapporti paritari”.

Stefano Bombardieri è noto per le sue sculture grandi e audaci, che spesso includono la fauna selvatica come soggetto: balene, rinoceronti, coccodrilli ed elefanti. Bombardieri, concentrato su temi quali il tempo e la sua percezione, l'uomo e il significato dell'esistenza e l'esperienza del dolore nella cultura occidentale, ha descritto il suo lavoro come minimale e concettuale, caratterizzato da un grande mix di strumenti e mezzi artistici, che variano dalle grandi sculture alle installazioni video. L'artista utilizza spesso materiali sintetici, come le fibre plastiche, le resine, ma anche il bronzo più tradizionale, elaborando con sapienza, ed un certo mistero, le forme che riproduce; lo scultore non dialoga più solo con l'aspetto formale dell'opera, che è una componente significativa, ma mette in gioco l'ironia che la caratterizza, come se l'arte avesse il ruolo, per farsi ascoltare, di esorcizzare la verità sorridendo. Bombardieri inventa situazioni, capovolge il nostro buon senso, mina i sensi percettivi del nostro sguardo.

 Bombardieri e altri animali  a cura di Luca Beatrice

 Come faranno quattro elefanti a stare in una Cinquecento?

Due davanti e due di dietro.

Elio e le Storie Tese, Cinquecento

Ci voleva Marta e la forza di una ragazzina che proprio non ha paura di niente per riuscire a tirare la corda e tira ancora, tira ancora, ecco che l’elefante si solleva da terra, imbragato come un salame oscillante per il troppo peso. Cose così accadono solo nelle favole, dove i più piccoli scoprono poteri magici che non sapevano di avere, il giovane orfanello Semola che di nome vero fa Artù, l’unico che riesce a estrarre la spada dalla roccia e per tornare agli elefanti, la signora Jumbo che non sopporta le prese in giro al suo piccolo dalle orecchie grandi.

Ci voleva Marta, il suo coraggio e la sua spavalderia per fare ciò che non riescono omaccioni nerboruti, giganti, lottatori di sumo. Occorreva una donna a sfidare i limiti, la gravità, la logica, poiché certe sfide partono dalla testa e l’istinto non basta. Ce ne fossero di più donne a tirare ‘sta corda e non solo perché questo testo l’ho scritto l’8 di marzo.

A Stefano Bombardieri piacciono gli animali grandi. Il rinoceronte è il suo totem e chi ne ha analizzato prima di me il lavoro non ha mancato di studiare l’iconografia di questo strano erbivoro, pericoloso e aggressivo pur non essendo un predatore. Colpa, insomma, delle sue dimensioni abnormi, del corno sulla fronte, della pellaccia dura che lo fanno somigliare a un reperto preistorico. Piaceva molto a Federico Fellini -anche questo è stato detto e scritto- che si inventava ogni volta storie diverse e quasi sempre bugie, infatti credergli era impossibile. Mi raccontò tanti anni fa lo scultore marchigiano Valeriano Trubbiani di aver disegnato dal vero un rinoceronte tirato su con una gru da una nave al porto di Ancona, poi mi disse che Fellini aveva visto i suoi disegni, li prese con sé e in seguito sviluppò l’idea per E la nave va. L’arte è bella perché esistono tante verità e a nessuno viene in mente di indagare quale sia più vera delle altre, tanto che importa. 

Bombardieri è nato nel 1968, io nel 1961. Abbiamo tutti e due la barba, pochi capelli e parecchi chili. Entrambi siamo parte di una generazione di bambini che videro gli animali allo zoo e al circo. All’epoca della nostra infanzia nessuno si preoccupava della loro sofferenza ed era piuttosto normale passare allo zoo il sabato pomeriggio o la domenica, mentre il circo era una tappa fissa nei giorni di festa sotto Natale. Oggi abbondano le famiglie etiche e fin dalla tenera infanzia ai bambini viene spiegato che gli animali non possono stare in gabbia, che in prigione impazziscono, che è davvero crudele starli a guardare e ridere della loro sofferenza. Ma ai tempi nostri no, e infatti al Giardino zoologico torinese del Parco Michelotti in riva al Po ci andavo decine di volte ogni anno ed era tutto cemento e odore forte di sterco e fieno. Ora questo complesso è abbandonato, dimora per senza tetto e vandalizzato da orrendi graffiti. Un peccato perché in particolare il rettilario, progettato da Enzo Venturelli, è considerato tra i migliori esempi di architettura nuclearista e atomica degli anni ’50, molto vicina alle ricerche pittoriche coeve, insomma non lontana dal gusto dello spazialismo di Fontana.

Oggi un luogo del genere non ha più senso di esistere, mentre allora si pensava allo zoo come uno spazio per instaurare con gli animali un legame istintivo, e non ci si rendeva realmente conto che l’atto del mettere in gabbia, amplificato dalla stessa architettura di controllo, non faceva altro che alimentare le gerarchie sociali e la separazione tra ciò che era libero e ciò che era imprigionato. All’interno delle celle di pochi metri si tentava di ricostruire ambienti vagamente familiari per l’animale ma in realtà si consumava un’idea di architettura in stretta connessione con il potere, tipico di tutti gli edifici costruiti per esercitare la coercizione. Le celle, abitate da uomini o animali, sono il mezzo per speculare su questioni etiche, politiche e sociali, per riflettere su questioni di pubblico interesse, quali la limitazione di libertà, il rispetto dei diritti umani e animali, gli strumenti di sorveglianza e controllo, l’evoluzione urbanistica e le sue influenze sulle forme dell’abitare.

A partire dagli anni Novanta si sono concentrate quelle spinte di ricostruzione, non solo edilizia ma anche metaforica e ideologica, che hanno portato alla trasformazione degli zoo in bioparchi. Nel 1994 è stato inaugurato il Bioparco di Roma, evoluzione del vecchio zoo di Villa Borghese: libero, senza barriere, rispettoso, capace di tutelare le specie ospitate e di sensibilizzare i visitatori a una maggiore educazione ambientale. Illusione che l’animale sia più libero? Può darsi, però la libertà ha un costo molto alto e i bombardamenti delle scorse settimane hanno distrutto lo zoo di Khariv in Ucraina. Molti animali sono morti, altri feriti, altri ancora in fuga, terrorizzati. “Non abbiate paura di loro, non sono pericolosi” ha dichiarato il direttore Vitaly Ilchenko. Sono loro piuttosto che devono aver paura di noi, e parecchia.

Bombardieri, con questo nome bello esplosivo, rappresenta grandi sculture di animali, alcune addirittura monumentali. Non spaventano nessuno e infatti vengono installate nei parchi, nei giardini, nelle piazze o sul lungomare come qui a Forte dei Marmi. Impossibile resistere al fascino del selfie con un rinoceronte o scattare una foto ricordo accanto a Marta e al suo elefante. La rappresentazione di un rinoceronte non è un rinoceronte, però è pur sempre strano ritrovarselo in un centro storico, è una situazione non ordinaria che culminerà infatti in un post su instagram. In effetti lo spazio migliore per collocare l’opera di Bombardieri è quello pubblico, dove non c’è protezione e gli incontri avvengono per caso, aperti, dialogici ed esplorativi per autodefinizione.

Noi davvero dovremmo prendere maggiore coscienza nei confronti della natura. Che il fenomeno di consapevolezza sia in crescita lo testimonia il capovolgimento dell’enigma della Sfinge: se in passato era l’animale a porre all’umano la domanda sull’uomo, ora è l’artista a interrogare l’animale sul suo destino. Nella storia gli animali hanno sempre avuto un ruolo fondamentale, è innegabile. Dai bisonti dipinti sulle pareti della Grotta di Altamira al gigantesco gallo blu di Katharina Fritsch installato a Trafalgar Square, sono innumerevoli gli episodi in cui gli artisti hanno inserito rappresentazioni monumentali di animali. Vado a memoria: il ragno di Louise Bourgeois, i cani di Velasco e Davide Rivalta, i rettili in plastica della Cracking Art, il Puppy di Jeff Koons. Sono stati raffigurati individualmente o in gruppo, protagonisti sulla scena, complici o potenziali pericoli per gli uomini, depotenziati all’interno di vasche ricolme di formaldeide o conservati in tassidermia. Sebbene abbiano accompagnato centinaia di produzioni pittoriche, scultoree, cinematografiche e pubblicitarie, gli animali non sono quasi mai riusciti a ottenere una posizione autonoma e prominente. Ciò suggerisce che le dinamiche di controllo e potere esercitate dall’essere umano sono state evidenti. La complessità dell’atmosfera bio-politica e multi-geografica nello scenario creativo contemporaneo dimostra che il punto nodale della ricerca artistica è sempre più spesso rappresentato dalla volontà di tornare alle origini, alle pulsioni ancestrali dell’uomo e alla capacità di tessere rapporti paritari.

Da queste volontà non è escluso Stefano Bombardieri: anche lui vuole tornare e lo dichiara apertamente con la parola “Torno” installata sul lungomare di Forte dei Marmi. Bastano cinque lettere a ricordarci che tutto, come in un cerchio, è destinato a tornare all’origine. Lo stesso vale per le storie, i cui temi, una volta narrati da Omero, si sono esauriti per i secoli a venire. E dunque torna in auge l’atto di recupero di un passato che non riesce a fuggire il presente; mi torna (per l’appunto) in mente Un’ Odissea di Daniel Mendelsohn, maestro delle digressioni e nume tutelare della mia scrittura. Una storia straordinaria che ripercorre attraverso Omero l’amore, la fedeltà, i rapporti familiari, il viaggio, il coraggio, il conflitto, l’astuzia e l’errori, mostrandoci che all’interno di queste storie ognuno di noi può ritrovare la sua via per Itaca. E chi è il primo a riconoscere Odisseo dopo vent’anni al momento del Nostos? Il fedele Argo, il suo cane.

 

 

 

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