21 Luglio 2025
Secondo una sentenza della Consulta per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese sono pochi 6 mesi di risarcimento. Il tema era già contenuto in uno dei quesiti del referendum. Per i giudici della Corte fissare un tetto di questo tipo non permetterebbe alla Corte di valutare singolarmente i vari casi di interruzione di rapporto non legittima. Per Unimpresa "la sentenza introduce un importante principio di tutela individuale, ma rischia di avere conseguenze sulla tenuta delle aziende".
La Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo numero 23 del 2015, sentenziando che sono pochi 6 mesi di risarcimento per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese. La Corte sostiene che il limite non consentirebbe né al giudice di personalizzare il risarcimento in modo adeguato rispetto al danno subito dal lavoratore, né di adempiere al suo scopo specifico, quella di fungere da deterrente per i datori di lavoro.
L'articolo preso in esame stabilisce che l’ammontare delle indennità risarcitorie "non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità" dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio. Limite valido nel caso di licenziamenti illegittimi da parte di un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, vale a dire che abbia meno di 16 lavoratori presso un’unità produttiva e comunque non occupi più di sessanta dipendenti.
Il limite, inteso come "massimo, fisso e insuperabile" potrebbe impedire di valutare in maniera congrua la gravità del vizio del licenziamento. Al tetto massimo andrebbe infatti aggiunta la "previsione del dimezzamento degli importi indicati agli articoli 3, comma 1, 4, comma 1, e 6, comma 1, del citato decreto legislativo numero 23 del 2015". Un modo per circoscrivere l’indennità complessiva entro "una forbice così esigua da non consentire al giudice di rispettare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento", e al contempo non assicurare "la funzione deterrente della stessa identità nei confronti del datore di lavoro".
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