05 Giugno 2025
Giovanni Brusca nel giorno del suo arresto (fonte LaPresse)
Giovanni Brusca è un uomo libero. Il boss mafioso che il 23 maggio 1992 azionò il telecomando nella Strage di Capaci, uccidendo il giudice Giovanni Falcone, ha concluso anche il periodo di libertà vigilata. Dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, vivrà sotto protezione, lontano dalla Sicilia e con una nuova identità.
Giovanni Brusca, il mafioso che premette il tasto del telecomando che fece saltare in aria l'autostrada nei pressi di Capaci, uccidendo Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta il 23 maggio 1992, è oggi un uomo formalmente libero, paradossalmente dalla legge voluta da Falcone, la legge del 15 marzo 1991 n. 82. Brusca è libero dopo la conclusione del periodo di 4 anni di libertà vigilata impostogli dalla magistratura di sorveglianza, ultimo tassello di un lungo percorso giudiziario.
Brusca, ex boss di San Giuseppe Jato, è stato uno dei protagonisti più sanguinari di Cosa Nostra. Alla sua mano si attribuiscono oltre 100 omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, rapito, torturato e sciolto nell'acido nel 1996. Un crimine che lo ha reso, per l’opinione pubblica, il simbolo stesso dell’orrore mafioso.
Arrestato nel 1996, Brusca ha trascorso 25 anni in carcere. Dopo un primo tentativo di depistaggio, scelse di collaborare con la giustizia, offrendo un contributo importante alle indagini sulla struttura e le dinamiche interne di Cosa Nostra. Collaborazione premiata dallo Stato con una significativa riduzione della pena, ma che ha sempre diviso il Paese, sollevando interrogativi morali e polemiche accese ogni volta che si apriva uno spiraglio verso la sua scarcerazione.
Nel 2021 Brusca tornò in libertà, protetto dal programma per i collaboratori di giustizia e sottoposto a 4 anni di libertà vigilata. Periodo che si è concluso alla fine di maggio 2025, chiudendo ufficialmente ogni pendenza giudiziaria nei suoi confronti. Resterà comunque sotto falsa identità e continuerà a vivere lontano dalla Sicilia, protetto dai servizi di sicurezza.
Federico Carbone, criminologo impegnato da anni in indagini “controverse”, ha rilasciato dichiarazioni che aprono nuovi scenari. L’esperto, che segue anche il caso della misteriosa morte del parà della Folgore Marco Mandolini (trovato senza vita nei pressi di Livorno il 13 giugno 1995), ha raccontato di aver intervistato un generale dell’esercito USA di stanza a Camp Darby, vicino Livorno, una figura vicina alla Cia. Secondo quanto riferito da Carbone, l’ufficiale americano avrebbe confidato, in via riservata, che “erano coinvolti ‘loro’”. Con il termine “loro” intendeva proprio la Central Intelligence Agency. Una presenza, dunque, quella dei servizi segreti statunitensi, che avrebbe avuto un ruolo attivo nella strage di Capaci.
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