09 Maggio 2025
Pietro Parolin, fonte: imagoeconomica
“Chi entra Papa al conclave, esce cardinale”. È questa l’espressione che descrive al meglio l’esito del Conclave per Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede dal 2013. Un proverbio che a Roma ha origini antiche e che, nel linguaggio della politica ecclesiastica, rappresenta una delle leggi non scritte ma più puntualmente rispettate della storia dei conclavi.
La frase “Chi entra Papa al conclave, esce cardinale” si applica a quei cardinali che entrano in Conclave da papabili, con i favori dei pronostici e le qualità richieste per il pontificato, ma che alla fine non vengono eletti. È il caso proprio di Parolin, figura di spicco della diplomazia vaticana, considerato da molti il naturale successore di Papa Francesco. Eppure, come vuole la tradizione, chi non riesce a ottenere i voti necessari nelle prime votazioni finisce per essere accantonato: l’essere troppo favorito, infatti, può generare resistenze trasversali.
Il proverbio, di origine romana e attribuito al cardinale Jean Daniélou, ha un significato più ampio: invita all’umiltà e ricorda che nulla è certo finché non si realizza. La figura del Papa è storicamente circondata da aspettative e potere, e il detto riflette anche la distanza tra ambizione e realtà. Nella storia della Chiesa non sono mancati esempi illustri: Giuseppe Siri, pur candidato forte in più conclavi, non fu mai eletto; Carlo Maria Martini, volto dei progressisti, fu rapidamente scartato nel 2005; Jorge Mario Bergoglio stesso venne messo da parte nel 2005, salvo poi essere eletto nel 2013, quando il più quotato fu Angelo Scola.
Nel caso di Parolin, il meccanismo si è ripetuto. Forte di un grande seguito e di un ruolo centrale nella Curia, non ha però superato la soglia decisiva. Non è stata una bocciatura personale, ma l’effetto della regola non scritta secondo cui il vero Papa spesso è colui che parte in sordina. E così Parolin, come altri prima di lui, è entrato Papa. Ed è uscito, semplicemente, cardinale.
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