19 Dicembre 2024
Una bambina a uno degli hub vaccinali per il Covid, fonte: imagoeconomica
La Cassazione ha stabilito con una rivoluzionaria sentenza che il rispetto delle linee guida mediche non esonera un medico da responsabilità penale in caso di colpa grave, quando cioè le condizioni specifiche del paziente richiedano un approccio diverso. La sentenza n. 40316 del 4 novembre 2024 sottolinea come le linee guida non siano regole rigide, ma orientamenti da adattare alle esigenze del caso concreto.
"Il rispetto delle linee guida che, a causa delle condizioni del paziente, si rivelino inadeguate al caso, così suggerendo altra terapia secondo buona prassi medica, non esonerano il sanitario da colpa grave in caso di morte", scrive la Cassazione. Parole pesanti, che riorganizzano il modo di pensare di tutta la professione medica.
Basta tornare indietro di qualche anno, al periodo del lockdown e del Covid, per trovare le implicazioni più dirette di questa sentenza. Uno dei tanti protocolli che si sono seguiti durante quel periodo, uno dei "mantra" più famosi, è il "tachipirina e vigile attesa". La frase deriva dal protocollo per la presa in carico a domicilio dei pazienti Covid, a cui poi sono seguite tante piccole modifiche, di fatto ininfluenti. Ciò che emerge è che molte delle vite spezzate - anche con l'aiuto di questa linea guida medica - si sarebbero dovute salvare proprio evitando la rigidezza del sistema medico, che avrebbe avuto il dovere di considerare i quadri clinici singolarmente e rispetto alle reali condizioni di partenza dei pazienti.
Il caso specifico su cui la Cassazione si è espressa di recente riguardava una paziente sottoposta in passato a due cesarei, che presentava dolore pelvico e condizioni cliniche critiche. Nonostante ciò, il medico non aveva predisposto un controllo cardiotocografico continuo, né monitorato adeguatamente la ripresa del travaglio, omettendo di diagnosticare tempestivamente il rischio di rottura uterina. La mancata diagnosi ha portato, appunto, a una rottura della parete uterina, con conseguente shock emorragico e grave sofferenza ipossica per il neonato, poi deceduto.
La difesa sosteneva che il medico avesse agito in conformità con le linee guida, le quali non prevedevano obbligatoriamente un monitoraggio continuo in quel contesto. Ma la Cassazione ha rigettato del tutto l'argomentazione. In un'altra circostanza era già stato dato un giudizio simile, e cioè che quando si parla di linee guida, "non si tratta di uno 'scudo' contro ogni ipotesi di responsabilità". Esse devono essere utilizzate solo se adeguate rispetto all'obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente. Questo è quanto era emerso dalle Sezioni Unite nella sentenza Mariotti n. 8870 del 2017.
Così, il sanitario avrebbe un "mezzo attraverso il quale recuperare l'autonomia nell'espletare il proprio talento professionale e, per la collettività, quello per vedere dissolto il rischio di appiattimenti burocratici. Evenienza dalla quale riemergerebbero il pericolo per la sicurezza delle cure e il rischio della 'medicina difensiva', in un vortice negativo destinato ad autoalimentarsi", ha concluso la Cassazione nel 2017.
Nel caso in questione, il quadro clinico della paziente richiedeva un controllo costante che avrebbe potuto prevenire l’evento fatale. La donna, nonostante i precedenti, dopo la somministrazione di un farmaco per le contrazioni è stata lasciata sola per quattro ore, fino all'emorragia a cui è seguito un intervento chirurgico che ha portato a conseguenze fatali per il neonato.
La Corte ha ritenuto la condotta omissiva del medico caratterizzata da un grado di colpa elevato e penalmente rilevante. Il principio sancito dalla Cassazione rafforza l’obbligo per i medici di adottare un approccio personalizzato, discostandosi dalle linee guida quando queste si rivelano inadeguate, in linea con le migliori prassi mediche.
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