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Genova è il vertice del triangolo della cocaina con Brasile e Gioia Tauro, quattro portuali a processo

La Direzione distrettuale antimafia ipotizza legami tra i lavoratori e la malavita organizzata calabrese. La banda aveva nascosto la droga nel container di caffè

29 Aprile 2024

Genova è il vertice del triangolo della cocaina con Brasile e Gioia Tauro, quattro portuali a processo

Hanno chiesto il rito abbreviato i portuali arrestati su richiesta della Direzione distrettuale antimafia un anno fa, e il gup Carla Pastorini ha fissato l’udienza per la discussione il prossimo 4 luglio. Alla sbarra Alberto Pinto, 48 anni, Natale Giuliano, 34 anni, Rocco Lazzaro, 39 anni, e Massimo Malinconico, 49 anni. I primi tre sono accusati di aver fatto arrivare sulle banchine di Pra’ quattordici borsoni contenenti oltre 400 chilogrammi di cocaina (435 chilogrammi, per la precisione) dentro un container pieno di sacchi di caffè che si trovava sulla nave Msc Adelaide partita dal Brasile; Malinconico, camallo della Culmv, invece, è accusato di aver aiutato il collega Fabio Papa, sorpreso dalla guardia di finanza nel 2022 mentre cercava di recuperare lo stupefacente per portarlo fuori dal porto. Papa era stato arrestato in flagranza (nel frattempo è stato pure condannato a dieci anni con il rito abbreviato), mentre Malinconico l’aveva momentaneamente scampata. Ma era finito in cella l’anno dopo in seguito all’indagine della Dda che aveva incastrato anche Pinto, Giuliano e Lazzaro. 

Per gli inquirenti  il coinvolgimento degli indagati era totale. Era stato il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Marco Zocca a chiedere la misura cautelare del carcere per i quattro, da mesi sotto indagine, perché sospettati di voler fare affari con la ’ndrangheta. Dopo gli arresti, la Dda di Genova aveva lavorato pure su un altro filone, che riguardava lo scambio di manovalanza tra i porti della Lanterna e di Gioia Tauro: Pinto e Giuliano erano impiegati come gruisti in Calabria ed erano arrivati in Liguria perché servivano addetti esperti. Le società che li avevano messi in organico - ha accertato la Procura - erano all’oscuro dei traffici, la loro assunzione però era stata formalizzata in concomitanza con la spedizione della cocaina dal Brasile. Non solo. Pinto, dopo il sequestro della droga, era pure tornato a Gioia Tauro. Secondo l’accusa, basata su intercettazioni telefoniche, la banda grazie a lui cercava di tornare in affari, nonostante la perdita del carico arrivato dal Brasile. Sulla sponda calabrese, però. I pm Zocca e Federico Manotti, titolare della prima tranche di indagine che ha portato all’arresto di Papa, volevano capire se dietro ai trasferimenti di sede dei due lavoratori ci fosse la mano della malavita organizzata calabrese. Un sospetto che non ha trovato conferme, ma gli accertamenti non sono conclusi.

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