15 Giugno 2023
Tu fai un figlio, lo cresci cinque anni per vederlo smembrato contro la macchina di lusso di cinque balordi dediti alle “sfide estreme” tipo ammazzare il primo che capita. La narrazione lurida e mafiosa dei telegiornali, subito: “è stato un incidente”. No, un incidente è qualcosa che capita, non qualcosa che si mette in conto, si cerca, questo è omicidio puro e semplice, non stradale, non preterintenzionale, omicidio volontario e andrebbe punito di conseguenza. Invece manderanno tutti sostanzialmente assolti, qualche settimana a drogarsi dal solito prete pederasta e via, in sella come prima. Quanto danno questi preti sociali, che raccattano la schiuma della feccia in cambio di soldi. Un bimbo di cinque anni annientato perché cinque stronzi ricchi e balordi volevano filmarsi mentre giravano su un bolide di lusso usato come un missile. E poi chiamano le psicologhe inutili, con quelle facce da vecchie che non hanno capito un cazzo della vita e dicono le banalità delle gattare, “la cosa mijore è sempre er dialogo”. Er dialogo con dei viziati nullafacenti, potenziali assassini che finiscono per diventarlo realmente. “La tua Smart costa 300 euro al supermercato” si vantavano: e ne hanno subito travolta una con un bimbo dentro. Il pilota pure drogato. L’incidente, dicono, per dire la fatalità: quale fatalità? Ma nessuno si costerna, al massimo un po’ di cordoglio di facciata, la solita recita a base di pupazzi, dita a cuore, “addio angelo”, fiori e palloncini, e vuoi farti mancare la fiaccolata a Casal Palocco che al compagno Nanni Moretti non piaceva perché quartiere di ricchi in tuta, videocassette, pizze in scatole di cartone e berlusconismo? La fiaccolata ad uso telegiornali. C’era pure la solita stronza influencer, no, scusate, “content digital”, la classica analfabeta ventenne, esperta di niente, che miagola cazzate da postribolo morale, moderazione, rispetto per poi finire subito in pose ginecologiche su Onlyfans. Un incidente? E perché no colpa dei “cambiamenti climatisci” o del “nuovo fascismo che stermina i migranti”?
Ci sono parole inutili che annacquano il linguaggio e dunque la rappresentazione della realtà e con essa la sua comprensione. Parole bugiarde, usate per ribaltare la verità, per sgravarsi da tutto, parole che sono come ancelle della nuova religione della percezione ovvero io sono quello che mi conviene quando mi conviene; e poi ci sono parole non a caso sparite, perché con la dittatura della percezione e della menzogna non si sposano: una è responsabilità, fateci caso, nessuno parla più di responsabilità: incidente, fatalità, riscaldamenti globali, coincidenze esoteriche, ma nessuno è più responsabile di niente. Un’altra, collegata alla prima, è individuo: declassato, anche dal nostro papa da centro sociale, in individualismo che porta un’accezione negativa, spregevole. Ma l’individuo è la creatura del Dio cristiano, unica, insostituibile ai suoi occhi e degna d’amore; l’individuo è la coscienza libera nelle sue scelte e scegliere implica responsabilità. Noi affoghiamo nel colpevolismo moralista che subito stempera in perdonismo ipocrita, ma il cristianesimo, a volerlo indagare un po’ più a fondo, a sgravarlo dal voyeurismo maniacale dei preti, non giudica sui peccati del catechismo, giudica sulla mancanza della coscienza nel fatto da parte dell’individuo; decide sul coraggio della persona nell’assumersi i propri carichi, senza cercare alibi o totem da abbattere. Gli esibizionisti o i disadattati che vanno ai funerali di Berlusconi con la maglietta “io non sono in lutto”, questo fanno: incolpano un’entità astratta, e trapassata, per dirottare le proprie responsabilità. Così i parassiti che cagano nelle fontane per “salvare il pianeta”, puntualmente sorpresi a girare in taxi o a fare il pieno di nafta. C’è un colmo di cialtronaggine, di gesuitismo che pare giunto oltre il livello di non ritorno, da cui il perenne ricorso a formule sempre più paracule, come le lesbiche che diventano “esseri non maschi che amano altri esseri non maschi”. O l’estetica non binaria, che dalla sfera sessuale si è dilatata in quella esistenziale e sarebbe non mi sbilancio, non mi assumo responsabilità su chi sono e cosa debbo fare. Povero Fichte col suo moralismo idealistico: “L’uomo è ciò che deve, se dice non posso è segno che non vuole”. E povero anche il Popeye di Segar con la sua ingenua dirittura morale: “Io son chi sono e soltanto chi sono, e questo è tutto quello che sono”. Oggi c’è il non individuo lbgtqia++, ogni tanto aggiungono una lettera dell’alfabeto e presto le avranno esaurite e partiranno coi numeri che almeno sono infiniti. Ma per cosa? Per dire io sono centocinquanta cose insieme cioè nessuna di queste? Io non sono niente, per eccesso retorico, linguistico?
Cinque bastardi assassini di un individuo di 5 anni diventano, loro, le vittime di una fatalità, un incidente “che rischia di rovinargli la vita”: a loro? Siccome è un incidente, scattano subito i Nessuno tocchi Caino, i garantisti dei miei coglioni che li tutelano schiacciando il bimbo morto. E nessuno si disturba perché ormai questa è la morale, una morale post consumistica, iper classista, ma avvolgente, per la quale chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori ma chi è fuori vuole disperatamente entrare e non ha tempo da perdere con scrupoli etici o mistici, con la responsabilità, con l’uomo individuo che è quello che è e soprattutto quello che fa, che disfa, è l’amore che reca e il dolore che provoca. Niente di tutto e tutto di niente, in un miscuglio nauseabondo, una schiuma etica da refluo di fogna, come chi la predica e chi la mette in pratica. “’A mejo cosa è er dialogo”, nessuno tocchi i pezzi di merda ventenni dediti alle “sfide estreme”, sempre nel banale e nel criminale, mai una volta nella generosità e nel dono; e sempre in adorazione di Mammona alimentato dall’esibizionismo laido, questi sarebbero un gruppo di “youtuber” che, ci fa sapere, non senza un fremito di ammirazione, la libera informazione, hanno tot migliaia di seguaci con cui fanno tot migliaia di euro ad ogni impresa. Difatti, come premio per l’ultima, davvero estrema, stanno già facendo il giro delle interviste, ascoltati come l’oracolo santo perché il mostro ha sempre il suo fascino specie se giovane, uno che “potrebbe essere nostro figlio” e magari lo è davvero. Assassini in Lamborghini, ma nessuno si permetta di giudicare: lo dice il Vangelo, non è così? Ma giudicare non significa condannare, giudicare vuol dire stabilire un confine tra una vittima e un assassino, e senza giudicare mettiamo pure in pensione la società democratica, teoricamente responsabile e sostituiamola con una società emotiva, fluida, decerebrata, dove anche se ti sfondo il cranio con una pietra è stato un incidente e in ogni caso non mi percepisco un boia e tu mi devi credere perché siamo uguali, non individui ma mattoni di un muro di gomma, di merda e di miseria non più umana.
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