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Dolci & Natale, le ghiottonerie della tradizione svelano tanti itinerari tra sfide all’ultimo panettone, presepi da Guinness e un pastore dormiglione

Eventi, arte, gospel e news fanno da sfondo a leggende, curiosità e tavole imbandite con i “purcedduzzi” fritti

25 Novembre 2024

dolci Natale (da Pixabay)

Non c’è festa più dolce del Natale, si sa. E i dolci natalizi sono appunto allo start da nord a sud, pronti per essere sfornati tra  usanze incrollabili e qualche secolare dilemma.

A Napoli, per esempio, le tradizioni natalizie trionfano rigorosissime, e guai ad infrangerle! sarebbe peggio di uno sgarro a San Gennaro, addirittura peggio di una pizza con i bordi bassi…E quindi la città ogni anno viene puntualmente inondata dalla pioggia dei multicolori “diavulilli”: i microscopici confettini che decorano “roccocò”, “mostaccioli”, “struffoli”, “raffiuoli”, “susammielli”, ovvero le intramontabili leccornie del Natale partenopeo.

D’obbligo sgranocchiarle mentre si fa il giro dei ricchissimi presepi, non solo quelli celeberrimi di via San Gregorio Armeno ma anche quelli che bisogna scovare in angoli più appartati e colmi di suggestione: i presepi viventi in piazza San Gaetano con sottofondo di inni religiosi, l’immenso presepio del Chiostro di Santa Chiara con oltre 200 metri di esposizione, il Presepe Cuciniello con 800 pezzi del 1879 nella Certosa di San Martino, le creazioni dell'Associazione Italiana Amici del Presepio che curano la XXXVIII rassegna di arte presepiale nel complesso di San Severo al Pendino (visitabile fino  al 7 gennaio).

Imperdibili anche i presepi in miniatura nella bellissima Basilica di San Lorenzo Maggiore, avvantaggiati da una marcia in più: “The Inspirational Choir of Harlem” di Anthony Morgan, il 20 e 21 dicembre, trascinanti concerti di musica gospel giunti alla X edizione in un’autentica esplosione di ritmo, energia, passione, tra jazz e pop.

Di presepi, insomma, ce ne sono per tutti i gusti, e tutti hanno un elemento in comune, irrinunciabile: la statuetta del pastore Benino che è l’unico a dormire mentre bettolieri, lavandaie, fabbri, falegnami si affaccendano gioiosamente intorno alla capanna del Bambinello. Ma, dice una poetica leggenda, Benino non è ozioso, anzi, ricopre un ruolo fondamentale: sta appunto sognando il presepe, il presepe nasce proprio grazie al sogno di Benino, e quindi non bisogna assolutamente svegliarlo altrimenti il presepe, pafff!, scomparirebbe.

Non sia mai! E che fine farebbero allora le cene e i pranzi tanto attesi, con le loro pietanze severamente suddivise tra Vigilia, Natale e Santo Stefano? A Napoli, infatti, il menù natalizio è spietato, non ammette deroghe. La sera del 24 dicembre si mangiano i fritti, gli spaghetti con le vongole e il capitone - la massaia napoletana più tetragona, quella che davvero non transige sugli antichi costumi, lo acquista vivo in pescheria, lo porta a casa e lo decapita con un colpo secco… ma voi pensateci bene prima di emularla, la povera bestia non si sottopone a questo trattamento senza opporre una strenua resistenza, è ovvio, e ricordatevi la scena di “Natale in casa Cupiello” con la famiglia che cerca disperatamente di riacchiappare il capitone fuggitivo…

Il 25 poi è la volta della lasagna, farcita con provola affumicata e uova sode come se non ci fosse un domani. E il 26 si scodella il brodo di carne…che sembrerebbe un timido accenno di moderazione, quasi la parvenza di un ritorno alla dieta. Ma non fidatevi! la micidiale “insalata di rinforzo” è sempre presente sulla tavola natalizia dei napoletani, in agguato come se fino a quel momento avessero scherzato (o meglio pazziato, come dicono loro): cavolfiori, cipolle, cetrioli, acciughe, peperoni piccanti (papaccelle). Tenete il digestivo a portata di mano: con lei non si scherza…  

Spostiamoci poi a Lecce. Anche qui, sul loro Natale, non nutrono dubbi di sorta: i pittoreschi mercatini animeranno come sempre piazza Sant’Oronzo dall’8 al 22 dicembre tra una cascata di luminarie artistiche e le star inconfutabili saranno i pesci di pasta di mandorla farciti con la cosiddetta faldacchiera (crema liquorosa), le “cartellate” di sfoglia arrotolata con vincotto, i purcedduzzi fritti (gnocchetti senza uova a base di miele e limoncello, antichissimi, risalgono al Medioevo), la croccante cupeta simile al torrone (i “cupetari” devono obbligatoriamente servirla calda in sacchetti di carta, ne va del loro onore, altrimenti non la si apprezza al meglio), e le montagne di pasticciotti, cotognata e fichi ripieni.

Stesse idee ben chiare a Torino dove il Natale è impensabile senza l’amatissimo appuntamento di “Luci d’artista”: quest’anno giunge alla 27° edizione e fino al 12 gennaio decora monumenti e strade con 28 spettacolari installazioni luminose di arte contemporanea. La parola d’ordine? Bellezza e creatività. Gli autori? Artisti di fama internazionale, con due new entry d’eccezione: Luigi Ontani e Andreas Angelidakis che firmano rispettivamente “Scia’Mano” in piazza Carlo Felice, ispirata all’inimitabile atmosfera esoterica torinese, e “VR Man” in piazza Vittorio Veneto, interpretazione in chiave moderna di una millenaria cariatide greca.

Per ammirare queste splendide sculture da un punto di vista privilegiato, a naso in su, l’ideale è salire sul bus aperto “Choco&Wine Cabrio” (8 e 26 dicembre, 4 gennaio): durante il tour, ben riparati da soffici coperte, si potranno assaggiare cioccolata calda, gianduiotti e “cri cri” (le tipiche praline di nocciola), sorseggiare un robusto calice di vino piemontese e ascoltare singolarità, leggende, segreti della gastronomia cittadina.

Intorno, le sfarzose pasticcerie ottocentesche calano i loro assi nella manica: il Vermouth - mitico vino da dessert nato a Torino nel 1786, dry, bianco, ambrato o rosso - il “bicerìn” con caffè, cioccolata e crema di latte - ne andava pazzo Camillo Benso Conte di Cavour tra un intrigo politico e l’altro - la biscotteria sabauda fresca o secca, e i panettoni della caratteristica scuola piemontese, ovvero bassi con glassa mandorlata: anche quest’anno protagonisti della simpatica contesa “Una Mole di panettoni 2024” che li vede in lizza contro gli “eterni rivali” milanesi, alti senza glassa (Hotel Principi di Piemonte, 29 e 30 novembre, 1° dicembre).   

A Verona, invece, tutti gli anni si batte sempre sullo stesso punto: è meglio il Pandoro, inventato nel 1894 dal pasticcere Domenico Melegatti, o il Nadalìn creato dai nobili Della Scala per celebrare il primo Natale della loro signoria nel 1262? È più buono il primo, alto, molto burroso e a lunga lievitazione? O il secondo, basso, con poco burro e meno lievitato? Belle domande. Ma voi, per non fare un torto a nessuno, mangiateveli entrambi serenamente - magari dopo una bella visita nel Palazzo della Gran Guardia che fino al 19 gennaio espone 400 presepi entrati nel Guinness dei primati - e già che ci siete aggiungeteci pure le “frolle di Santa Lucia”: friabili biscottini al limone che dal XIII secolo vengono sempre preparati per i “banchéti” dell’omonima Fiera in piazza Bra (10-13 dicembre), e in casa non mancano mai perché i bambini aspettano i regali della Santa e vogliono offrirglieli per farla rifocillare…una credenza dei tempi lontani, certo,  quando i pargoli erano ingenui (oggi più probabilmente se li sgraffignano loro zitti zitti), ma la leggenda resta comunque delicata e romantica. E a Natale, in fondo, è questo quello che conta.

Di Carla Di Domenico.                                                        

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