26 Luglio 2023
In occasione della presentazione al Senato del Terzo Rapporto Ital Communications - Censis “Disinformazione e fake news in Italia”, Giuseppe De Rita, Presidente Censis, ha dichiarato al Giornale d'Italia:
“Un aspetto su cui è opportuno riflettere, all’interno di questo rapporto, è che oggi il problema nostro, di fare informazione, ha due pericoli fondamentali. La prima è la fake news, cioè la notizia falsa o la falsificazione. La seconda, invece, è la traduzione in cultura orale.
Dico due cose banali. Ad un certo punto, noi professionisti della comunicazione, mi ci metto anch’io, ricercatore, ma tutti i giornalisti, coloro che fanno gli operatori televisivi, hanno un problema di dire: “Ma io come faccio a resistere a una disinformazione, a un dubbio, a un negazionismo, si dice oggi, così forte?”
Non lo posso fare soltanto rafforzando la mia forza, cioè facendo più professionalità, più rete di comunicazione, più verifica dell’informazione.
Lo devo fare facendo ancora più opinione di quanto ne abbia fatta finora. Soltanto che, a fare opinione oggi, si rischia, ed è il secondo pericolo, di entrare in un mondo, in cui tutto è non verificato.
Sapete tutti, sappiamo tutti, che la parola d’ordine è: nell’opinione uno vale uno.
Quindi, se parlo io e poi parla magari un altro, che non ha neanche letto la ricerca, mi dice: “Ma lei chi è? Lei vale la mia opinione.”
Questo slittamento verso l’opinione, slittamento verso la cultura orale, che poi è la matrice vera della cultura d’opinione. Sono i due pericoli che abbiamo di fronte.
I professionisti, diceva stamattina Ruffini, devono darsi carico, siamo noi professionisti che dobbiamo darci carico. Però non basta. Perché non è soltanto un fatto professionale.
È un fatto di società nel suo complesso, troppo legata a una dimensione arcaica della cultura personale, quasi della cultura orale.
Importanza delle agenzie, cioè non basta più la professionalità singola. Non basta più la professionalità del ricercatore o del giornalista.
Ci sono figure nuove, nelle agenzie, il manager dell’informazione, il manager dei dati, per garantire qualcosa di più solido, che non sia soltanto la dimensione del la penso così e velo dico.
Questo è il vero problema, è il "la penso così e ve lo dico". Addirittura, soltanto con la parola e non commentato con la tabella.
L’Italia è piena di gente, che dice proprio “la penso così e ve lo dico e vi dico che ho ragione pure.” Non è tanto facile, poi, reagire.
Sì noi abbiamo avuto già la pandemia come focus. C’è questa lotta, fra una cultura tecnico scientifica, che dice che il clima va in una certa maniera, bisogna controllare. Forse un po’ catastrofica, da un certo punto di vista. E un negazionismo di rimando, che in parte, contrariamente alla pandemia, è molto anche parascientifico.
Non è che oggi si dice che non fa caldo e le battaglie del clima non valgono, non valgono niente, che il caldo passa e passa anche la battaglia per il clima. Non è solo quello… E anche una dimensione più profonda di informazione negazionista che, in qualche misura, ha una sua base, alcune volte. E quindi, giustamente, abbiamo detto nella ricerca, usiamo l’intelligenza artificiale, usiamo questa capacità di mettere insieme deti molto più complessi, molto più ricchi. Usiamola per far capire, a chi ha dei dubbi, a chi pensa soltanto che la sua opinione è importante, più importante la sua esperienza nel campo del freddo, usiamo l’intelligenza artificiale.
Io non sono un grande sostenitore dell’intelligenza artificiale, perché ho sempre detto che sono intelligenza naturale.
Non mi ci metto nell’intelligenza artificiale, però so che la massa di informazioni, che con l’intelligenza artificiale riusciamo a manovrare, può veramente garantire una reazione seria, ad alcuni negazionismi, alcune volte anche coperti tecnicamente in modo serio.“
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